Author Archives: Paolo Stefanini

L’oleodinamica nelle applicazioni industriali

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Quello della oleodinamica è un settore fondamentale, grazie alla capacità di gestire notevoli potenze utilizzando componentistica di dimensioni e pesi ridotti rispetto ad altre tecnologie alternative.

Nelle foto d’epoca di vecchie officine, in bianco e nero o seppiate, il manutentore, con in mano l’immancabile straccio ed un bell’oliatore, è intento ad accudire il proprio macchinario lubrificando i vari meccanismi. Poi la tecnica ci ha dato materiali migliori, elettronica ed informatica, l’olio però è rimasto sempre al centro della meccanica, attore insostituibile: possiamo senza dubbi affermare che l’intera industria moderna poggia su un film di olio, non più spesso di 10 micron. L’olio, oltre che lubrificare, viene utilizzare per trasferire energia e quindi muovere cilindri, motori, ruote, interagendo con tutte le parti di un circuito. Per questa ragione, sul mercato esistono diversi tipi di olii, che vengono scelti seguendo le varie caratteristiche: viscosità, capacità lubrificante, resistenza all’invecchiamento, igroscopicità, elevato punto di fiamma, bassa nocività.

In sintesi, un sistema oleodinamico deve avere:

  • un gruppo generatore, in cui si ha la trasformazione di energia meccanica in energia idraulica;
  • un gruppo di controllo, in cui il fluido viene condizionato facendo assumere ad esso determinati valori di pressione e portata e distribuendolo ove necessario;
  • un gruppo di utilizzo, formato da attuatori di diverso tipo.

La tribologia è la disciplina che studia l’attrito, la lubrificazione e l’usura di superfici a contatto e in moto relativo. Essa è inerente quindi a tutti quei processi produttivi che utilizzano la trasmissione dell’energia: le forme più comunemente usate sono la meccanica, la pneumatica, l’idraulica e quella elettrica. Queste forme di energia presentano caratteristiche peculiari con relativi vantaggi e svantaggi che, per ogni settore applicativo, ne orientano in molti casi la scelta. Una caratteristica peculiare di un impianto oleoidraulico è quella di ottenere molto facilmente movimenti in grado di vincere forze resistenti di centinaia di tonnellate, unitamente ad una precisione di posizionamento elevato. Un classico attuatore lineare oleodinamico è il cilindro idraulico, costituito da una camicia in cui scorre un pistone, il quale spinge uno stelo che esplica il moto. Per eseguire moti di rotazione basti pensare alle ruote delle macchine movimento terra come gli escavatori, i grandi trattori agricoli, alle pale eoliche oppure pensare agli argani per issare le reti dei pescherecci, dove servono coppie elevate e solitamente velocità angolari modeste.

1Nell’ambito di questa disciplina il sostantivo “idraulica” e l’aggettivo “idraulico“, utilizzati spesso per coerenza con la terminologia inglese e francese, corrispondono al termine “oleoidraulica” o “oleodinamica” della letteratura tecnica italiana corrente.

Il fluido. Il fluido che permette la trasmissione dell’energia, possiede, seppur in minima quantità, una certa elasticità, che, se da un lato diminuisce la prontezza di intervento e la precisione, dall’altro permette di eliminare i giunti elastici meccanici sulle trasmissioni. L’olio, sia minerale che sintetico, è il liquido comunemente utilizzato per la trasmissione di energia. Le sue caratteristiche sono la viscosità, che influisce direttamente sull’attrito che incontra nel passaggio attraverso tubazioni ed apparecchiature, il potere lubrificante e la protezione contro la corrosione dei vari componenti. Inoltre, la sua capacità di asportare calore nei punti dove si generano perdite di energia consente di utilizzare motori molto piccoli rispetto alla potenza erogata, con buone possibilità di ripetere partenze ed arresti con elevata frequenza, senza necessità di accorgimenti particolari o sovradimensionati.

Moto dei fluidi. Il movimento dei fluidi entro condotti a sezione chiusa o canali aperti può essere a regime laminare e turbolento. Per individuare il tipo di moto viene utilizzato il numero di Reynolds (Re): per numeri di Reynolds minori di 2000, si ha un moto laminare. Per numeri di Reynolds compresi fra 2000 e 3500 si ha una zona critica di instabilità, caratterizzata dal fatto che possono verificarsi sia condizioni di moto laminare che turbolento, a seconda di particolari situazioni contingenti. Per numeri di Reynolds maggiori di 3500 si ha moto turbolento. Come in tutti fenomeni fisici, la linea di demarcazione fra i due tipi di moto non è esattamente definita, vi è cioè un passaggio graduale dal moto laminare al turbolento. Il moto laminare avviene quando il fluido in movimento segue traiettorie che costituiscono dei filetti rettilinei e paralleli. Il moto turbolento si ha quando il moto dei filetti segue traiettorie irregolari e tortuose, continuamente variabili con creazione di moto vorticosi, in modo che tutta la massa liquida subisce un incessante rimescolamento. Poiché il tipo di moto influenza in modo determinante le perdite di carico nelle tubazioni, è evidente la notevole importanza di poter disporre di un criterio per individuare a priori il tipo di moto. Nei processi pratici di trasmissione di fluidi in condotte, a meno che il fluido abbia una viscosità molto elevata o il tubo sia un capillare, si opera normalmente in condizioni di moto turbolento.

Fluidi. Da un punto di vista generale un buon liquido idraulico deve possedere i seguenti requisiti:

  • trasmettere energia con basse perdite ed elevate velocità di risposta;
  • lubrificare le aperti in movimento relativo;
  • possedere viscosità adeguata alle diverse condizioni operative che si possono prevedere nell’esercizio dell’impianto;
  • mantenere puliti gli organi meccanici e proteggerli dalla corrosione;
  • possedere una buona conducibilità termica,
  • non essere pericoloso per gli operatori o per gli impianti;
  • possedere elevata stabilità chimica;
  • essere difficilmente infiammabile.

I fluidi idraulici possono essere raggruppati nelle seguenti quattro categorie fondamentali:

  1. acqua: si utilizza acqua industriale normale o, quando si vuole attenuare il potere ossidante del fluido base, in emulsione con olio.
  2. olii : sono a base minerale e sono generalmente migliorati con l’aggiunta di speciali additivi
  3. fluidi sintetici a base di acqua: emulsioni di acqua in olio; sono costituite da un elevata percentuale di olio emulsionabile e contengono speciali additivi stabilizzanti, antiruggine, antiusura,…
  4. fluidi sintetici non acquosi: fra i più comuni gli esteri fosforici, idrocarburi clorurati, silicati esteri.

Colpo d’ariete: propagazione di forti perturbazioni generate in una colonna liquida a causa della chiusura o apertura rapida di valvole di efflusso

Alcuni richiami di fisica utili in manutenzione

Principio dei vasi comunicanti: poiché in ogni punto di uno strato orizzontale deve esistere la stessa pressione, un liquido contenuto in recipienti diversi, tra loro comunicanti, raggiunge in tutti lo stesso livello.

2014-09-16Principio di Pascal: la pressione esercitata su un qualunque elemento di superficie di una stessa massa liquida, contenuta in un recipiente, è trasmessa con pari intensità in tutte le direzioni.

Il principio di Pascal ha la sua più nota applicazione nel torchio idraulico, costituito essenzialmente da due cilindri nei quali scorrono stantuffi di diverso diametro.

Principio di Archimede: un corpo immerso in un fluido viene premuto su tutta la sua superficie e la risultante di tali pressioni è una forza verticale (spinta) diretta verso l’alto e di intensità uguale alla massa del volume spostato.

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Leonardo da Vinci così spiegava a Ludovico il Moro il Principio di Archimede, quando gli propose la costruzione di un ponte canale: “il gran peso della barca che passa per il fiume sostenuto dall’arco del ponte, non cresce peso a esso ponte, perché la barca pesa di punto quanto il peso dell’acqua che tal barca caccia dal suo sito“.

Equazione di continuità: in una corrente liquida a regime permanente la portata è costante attraverso qualunque sezione; la velocità del fluido varia in proporzione inversa rispetto alla sezione della condotta.

Spiega che l’aumento della velocità di un fluido attraverso la strozzatura di una tubazione.

Teorema di Bernoulli: teorema fondamentale dell’oleodinamica, stabilisce che in un tubo la somma dell’energia potenziale, dell’energia cinetica e dell’energia di pressione è costante.

L’equazione vale per tutti i sistemi che consentono il trasferimento di energia sfruttando il movimento di un fluido (acqua, olio,…); serve al progettista per definire pressioni e portate e dimensionare correttamente i vari componenti del circuito oleodinamico.

TPM Total Productive Maintenance

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Total Productive Maintenance è una metodologia finalizzata al miglioramento delle prestazioni di un sistema produttivo: essa è focalizzata sugli aspetti tecnici del processo produttivo, l’owner è comunque la Produzione, non (solo) la Manutenzione!
Infatti il termine “maintenance” indica non solo il termine manutenzione, ma anche l’azione di sostegno (al processo di eliminazione delle perdite, caccia agli sprechi e ricerca della eccellenza), con la partecipazione di tutti, in modo efficiente, efficace e propositivo, orientata al miglioramento continuo.

La TPM si articola su 5 pilastri:

  1. miglioramento delle prestazioni (OEE)
  2. manutenzione autonoma
  3. manutenzione pianificata
  4. formazione
  5. manutenibilità (Early Equipment Management)

Ad essi il JIPM (Japan Insitute of Plant Maintenance) ha aggiunto altri 3 pilastri

  1. quality maintenance (QM)
  2. amministrazione ed uffici
  3. sicurezza, salute e ambiente

Il pilastro caratteristici e più innovativo (rispetto al modello produttivo tradizionale) è costituito dalla Manutenzione Autonoma (di cui le 5S, caratteristiche del Toyota Production System costituiscono lo step iniziale), cioè dallo spostamento agli operatori di produzione di alcune attività di pulizia, ispezione e minuta manutenzione (asset care).
Molte aziende infatti hanno concentrato la loro azione sullo sviluppo di questo aspetto, ovviamente collegato alla crescita delle competenze, che si integra perfettamente con i concetti delle Lean Production.

La TPM migliora le persone, le persone migliorano i processi

La TPM, studiata ed introdotta nelle aziende giapponesi negli anni sessanta, è ormai riconosciuta in modo unanime come lo strumento più attuale ed efficace di gestione dei processi produttivi in un’azienda lean.

Vuoi conoscere tutti gli aspetti della TPM?
Vuoi capire come implementare la TPM?
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Benefici attesi (Nakajima)

Brevetto per invenzione: come tutelarsi

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La garanzia legale che riguarda i “brevetti” e regola i diritti sulle invenzioni industriali è di importanza fondamentale nel mondo produttivo perché “mette ordine” in un ambito di estrema vitalità e ampiezza, quello delle invenzioni appunto, consentendo quindi giusti profitti a chi contribuisce al progresso tecnologico. La legge, com’è noto, tutela chi, mettendo a frutto le proprie competenze scientifiche e investe in ricerche tecnologiche all’avanguardia, introduce “novità” che possano rivelarsi proficue per le imprese e per gli utilizzatori. Tale tutela viene definita come “brevetto” (o più propriamente “brevetto per invenzione”); esso rappresenta un titolo giuridico in forza del quale al titolare viene conferito un diritto esclusivo di sfruttamento dell’invenzione, in un territorio e per un periodo ben determinati, e che consente di impedire ad altri di produrre, vendere o utilizzare l’invenzione senza autorizzazione. Il diritto relativo al brevetto per invenzione attiene al campo della cosiddetta “proprietà intellettuale”, unitamente al diritto d’autore e ai marchi.

La rivendicazione
Può accadere che un’opera risulti assai simile ad altra precedentemente realizzata e brevettata, e abbia le stesse finalità, ma mostri qualche elemento di differenziazione tale che possa essere nuova, unica oltre che di rilevante “altezza inventiva”. Si capisce bene come sia facile, scontrandosi interessi economici a volte assai rilevanti, giungere alla controversia giudiziaria per iniziativa di colui il quale ritiene di essere stato “derubato” dell’idea innovativa brevettata e che vede danneggiato il suo diritto di avvalersene in via esclusiva. In tali casi, sarà il giudice, con l’ausilio di tecnici specializzati, a pronunciarsi.
Oltre al riconoscimento della validità del brevetto e della relativa “paternità”, il compito del giudice è quello di decidere sulle altre possibili conseguenze, come per esempio quella di “risarcimento del danno” che, nelle controversie brevettuali, sono sempre molto frequenti.
Nel processo civile è allora importante che un brevetto per invenzione sia perfettamente individuato nelle sue caratteristiche (caratteristiche definite tecnicamente “rivendicazioni”) per consentire al giudice di confrontarle analiticamente con le caratteristiche di altre invenzioni similari, e decidere quindi se è copiato (o derivato) da altri, o al contrario se è “nuovo” e ha “altezza inventiva”.
Le suddette caratteristiche si chiamano “rivendicazioni” in quanto chi le adduce rivendica per sé la novità e utilità delle singole caratteristiche e quindi dell’invenzione nel suo complesso; a tal fine offre tutti gli elementi perché l’invenzione stessa possa essere convenientemente valutata dal giudice e il brevetto concesso o confermato.
Poiché le questioni in ambito brevettuale sono quasi sempre di natura squisitamente tecnica, occorrerà l’intervento di un consulente d’ufficio (CTU) il quale vaglierà i diversi prodotti e valuterà se le rivendicazioni siano o meno da considerare originali (nuove) e hanno “altezza inventiva”, cioè non siano già di uso comune o addirittura già superati dallo “stato dell’arte”, anche a livello internazionale. Infatti, solo nel caso in cui il nuovo trovato, o metodo produttivo, o nuova applicazione scientifica risultino proficuamente utilizzabili, e siano dotati di caratteristiche tecniche con significativi elementi di novità anche rispetto allo stato dell’arte, la tutela brevettuale potrà essere accordata.

Strumenti di misura della temperatura

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La temperatura è la proprietà fisica che regola il trasferimento di energia termica da un sistema a un altro. I primi tentativi di misurare la sensazione di caldo o di freddo risalgono ai tempi di Galileo, mentre il termometro a mercurio viene attribuito a Fahrenheit, che introdusse nel 1714 una scala di temperature in uso ancora oggi, mentre un’altra, detta all’epoca scala centigrada, si deve a Celsius nel 1742. La relativa precocità delle misure di temperatura non implica che il concetto di temperatura fosse ben chiaro già a quei tempi. La distinzione fra calore e temperatura è stata posta chiaramente solo dopo la metà del 1700. Il termometro consente di definire il concetto di equilibrio termico: dei corpi, A e B, si dicono in equilibrio termico quando hanno la medesima temperatura, misurata con l’aiuto di un terzo corpo, il termometro C. Si tratta dell’applicazione alla fisica del principio della transitività dell’uguaglianza e per questo alcuni chiamano l’affermazione sopraddetta principio zero della termodinamica.

foto n.1-galileoMisurazione della temperatura

Sono stati sviluppati molti metodi per la misurazione della temperatura. La maggior parte di questi si basano sulla misurazione di una delle proprietà fisiche di un dato materiale, che varia in funzione del variare della temperatura. Uno degli strumenti di misura più comunemente utilizzati per la misurazione della temperatura è il termometro a liquido. Esso consiste di un tubicino capillare di vetro riempito con mercurio o altro liquido. L’incremento di temperatura fa espandere il liquido e la temperatura può essere determinata misurando il volume del fluido all’equilibrio. Questi termometri possono essere calibrati in modo che sia possibile leggere le temperature su una scala graduata (osservando il livello del fluido nel termometro). I termometri che acquisiscono immagini nella banda dell’infrarosso sfruttano tecniche di termografia, basate sul fatto che ogni corpo emette radiazioni elettromagnetiche la cui intensità dipende dalla temperatura.

foto n.2-termometro

Unità di misura della temperatura

In senso stretto, la temperatura non costituisce una vera e propria grandezza fisica. La proprietà fisica che il concetto di temperatura intende quantificare può essere ricondotta essenzialmente a una relazione d’ordine fra i sistemi termodinamici, rispetto al verso in cui fluirebbe il calore se fossero messi a contatto. Per questo, alla scelta, necessariamente arbitraria, di un’unità di misura per una grandezza fisica, corrisponde, nel caso della temperatura, la scelta, anch’essa necessariamente arbitraria, di una scala termometrica e di relative unità di misura.

La scala assoluta di misura della temperatura

L’unità di misura base della temperatura nel Sistema Internazionale è il kelvin (simbolo K). Un kelvin viene formalmente definito come la frazione 1/273,16 della temperatura del punto triplo dell’acqua, cioè del punto in cui acqua, ghiaccio e vapore acqueo coesistono in equilibrio.

La scala Celsius

Nelle applicazioni di tutti i giorni è spesso conveniente usare la scala Celsius, nella quale si assume il valore di 0 °C corrisponde al punto di fusione del ghiaccio e il valore di 100 °C corrisponde al punto di ebollizione dell’acqua a livello del mare. Il simbolo °C si legge «grado Celsius». La dizione «grado centigrado» non è più accettata dal Sistema internazionale di unità di misura. Anche il grado Celsius è utilizzato nel Sistema Internazionale

La scala Fahrenheit

Un’altra scala usata spesso nei paesi anglosassoni è la scala Fahrenheit. Su questa scala il punto di congelamento dell’acqua corrisponde a 32 °F e quello di ebollizione a 212 °F. La seguente equazione può essere usata per convertire i gradi Fahrenheit in gradi Celsius: T(°C)= (T(°F)-32)*5/9 . La conversione fra le tre scale si può effettuare attraverso pratici strumenti grafici.

foto n.3-scaleI Termometri

Un termometro è uno strumento di misura per misurare la temperatura. Esistono vari tipi di termometri, utilizzanti diversi principi fisici per la realizzazione della misura: gas, liquido, solido. Tra questi consideriamo due tipi particolarmente utili nel settore industriale: termocoppie e pirometri.

Termocoppie

La termocoppia è un sensore di temperatura largamente diffuso. Sono ampiamente utilizzate perché economiche, facilmente sostituibili, standardizzate e possono misurare un ampio intervallo di temperature. Il loro limite più grande è il grado di accuratezza nella misura; infatti errori minori di un grado Celsius sono difficili da ottenere. Una termocoppia è costituita da una coppia di conduttori elettrici di diverso materiale uniti tra loro in un punto. Questa giunzione è convenzionalmente chiamata giunzione calda ed è il punto nel quale viene applicata la temperatura da misurare. L’altra estremità, costituita dalle estremità libere dei due conduttori, è convenzionalmente chiamata giunzione fredda. Quando esiste una differenza di temperatura tra la zona del giunto caldo e la zona del giunto freddo, si può rilevare una differenza di potenziale elettrico tra le estremità libere della termocoppia in corrispondenza del giunto freddo. Tale valore di potenziale elettrico è funzione diretta della differenza di temperatura, secondo una legge non lineare. Negli impianti industriali, la termocoppia è inserita all’interno di una guaina di protezione che penetra all’interno dell’apparecchiatura della quale si vuole misurare la temperatura. I due conduttori sono connessi ad una morsettiera di porcellana, contenuta dentro una testina di protezione, da cui partono altri due conduttori, collegati alla morsettiera di uno strumento o di un registratore di temperatura. Lo strumento misuratore permette di leggere sul display l’indicazione della misura della temperatura all’interno della macchina.

foto n.4-termocoppieTermometri ad infrarosso

Si chiamano pirometri quei termometri che sono particolarmente adatti per la misura delle temperature elevate. Nella tecnica moderna si usano pirometri che permettono esattezza nella misura e capacità di seguire continuamente le sue variazioni, anche a distanza, e che consentono di ottenere il tracciamento di diagrammi oppure la regolazione automatica della temperatura. Sono di particolare interesse e praticità per le misure industriali i cosiddetti termometri (pirometri) laser o ad infrarossi, che utilizzano la radiazione infrarossa. La radiazione infrarossa è una parte della luce solare e può scomporsi riflettendosi attraverso un prisma. Questa radiazione possiede energia, per cui tutti gli oggetti con una temperatura al di sopra dello zero assoluto irradiano energia infrarossa. La quantità di energia cresce in maniera proporzionale alla temperatura.

foto n. 5 - Fluke_62Perché utilizzare un termometro a infrarossi? La temperatura è spesso il primo e più evidente segnale di un problema in atto e può essere utilizzata rapidamente per identificare situazioni che necessitano di ulteriori analisi con altri strumenti di misura, quali, ad esempio, il multimetro digitale o la pinza amperometrica. Un pirometro consente di rimanere a distanza di sicurezza dall’oggetto e di ottenere le letture più precise in un vasto range di temperature. Ecco perché il termometro a infrarossi è definito “senza contatto”. Esso permette letture di temperature di superficie rapide e affidabili. Questi strumenti portatili consentono ai tecnici di monitorare lo stato di motori e quadri elettrici, individuare problemi relativi a impianti di riscaldamento e di ventilazione e diagnosticare con facilità malfunzionamenti di impianti e loro componenti. Inoltre lo sviluppo della tecnologia ha portato ad avere termometri con immagini IR che ulteriormente facilitano l’individuazione dei punti critici , velocizzano così il lavoro del professionista.

foto n.7 Fluke_62Come si eseguono le misure con i termometri ad infrarossi? I termometri a raggi infrarossi hanno, rispetto ai termometri tradizionali, alcune caratteristiche interessanti, infatti permettono la misura senza contatto e con risposta molto rapida (1 secondo). Ciò permette misure veloci, igieniche e senza danni per esempio sui prodotti alimentari (ricevimento merce, controlli di routine) oppure su parti in movimento, superfici sotto tensione o su componenti elettronici. I termometri ad infrarossi sono semplici da usare: si dirigono verso la superficie da misurare e si preme un pulsante, quindi si legge la misura sul display. Per ottenere misure corrette tuttavia è necessario seguire due semplici regole.

1 – Distanza dall’oggetto da misurare. La distanza corretta dipende dal coefficiente ottico del termometro che è il rapporto fra la distanza del sensore ed il diametro della superficie di cui il termometro misura la temperatura media. Se ad esempio questo rapporto è di 3:1, significa che se ci si pone con il termometro a 15 cm dal punto da misurare, la temperatura che si legge sul display è quella media di una circonferenza centrata nel punto mirato e con un diametro pari ad 1/3 della distanza, cioè di 5 cm. Per inquadrare una superficie più piccola è quindi necessario avvicinarsi. La distanza minima per eseguire la misura è di 3 cm.

foto n.8 - Fluke Serie 60

2 – Tipo di materiale su cui si effettua la misura. Il termometro ad infrarossi che si utilizza deve avere un coefficiente di emissività idoneo al materiale su cui si esegue la misura. Questo coefficiente dipende dal colore e dalla opacità della superficie del materiale. Ad esempio, i termometri ad infrarossi con un coefficiente di emissività pari a 0.95 sono idonei per la maggior parte di sostanze organiche (prodotti alimentari, carta), per muratura ed in generale per le superfici opache. Per misure su materiali con superfici riflettenti o trasparenti si può ricorrere all’espediente di ricoprire la zona da misurare (se possibile) con dell’adesivo scuro.

Funzionamento e Troubleshooting delle pompe oleodinamiche

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La famiglia delle pompe volumetriche sono impiegate in vari campi dell’industria. Quelle che in genere troviamo nella maggioranza dei circuiti oleodinamici sono divise in due grandi tipologie: pompe rotative e pompe a pistoni alternativi. In questo articolo ci occuperemo delle prime, generalmente più diffuse grazie alla loro semplicità costruttiva, economicità ed affidabilità.

Le pompe rotative basano il loro funzionamento grazie al passaggio di un fluido attraverso un meato o gioco, cioè una millimetrica o micrometrica intercapedine, che separa le superfici di due corpi in movimento relativo, riempita di lubrificante che ne evita lo sfregamento. Esso viene realizzato meccanicamente attraverso l’uso di coppie di ingranaggi o di viti oppure sfruttando gli spazi generati da palette mobili. Le pompe a pistoni alternativi sfruttano invece il classico movimento dei pistoni nei cilindri e possono avere strutture sia radiali che assiali.

Caratteristiche delle pompe rotative

In questo articolo prenderemo in considerazione le più comuni pompe rotative ad ingranaggi esterni. In effetti esistono anche pompe ad ingranaggi interni, che danno la possibilità di fornire prestazioni e rendimenti superiori a quelle con ingranaggi esterni, ma hanno un costo più elevato, a causa di un livello di costruzione più raffinata; risultano essere un’alternativa valida qualora si abbia la necessità di portate e pressioni maggiori, unite ad un basso livello sonoro.

figura 1bis - pompa-idraulica-a-ingranaggi

Tornando alla tipologia ad ingranaggi esterni ed a cilindrata costante, queste si apprezzano per avere una costruzione semplice e robusta, sinonimo di affidabilità, e pertanto hanno una notevole diffusione, in quanto uniscono la buona affidabilità ad un costo molto contenuto.

Per ottenere un buon rendimento volumetrico è opportuno fare in modo che vengano utilizzate a pressioni di esercizio non elevate: nell’adozione di questi componenti è bene tenere presente il fattore “rumorosità”, che risulta strettamente collegato alle dimensioni (portata).

Funzionamento delle pompe rotative

La ruota dentata primaria (2) ruota nel senso indicato dalla freccia (vedi figura 2), trascinando la ruota dentata secondaria (3), in senso di rotazione contrario. A seguito della rotazione, si rendono liberi i vani di dentatura: la conseguente depressione che viene generata e l’azione della pressione atmosferica, fanno in modo che il fluido affluisca nella camera di aspirazione E. Il fluido riempie i vani dei denti e, percorrendo la parte esterna, viene spinto verso l’uscita P, la cosiddetta mandata: per un buon rendimento volumetrico occorre tenere sotto controllo il gioco di accoppiamento laterale (rasamento sui fianchi) tra ingranaggi (5) e gli organi di tenuta, le ralle (6). Inoltre questo tipo di pompe sono dotate di cuscinetti di sostentamento e bilanciamento idrostatico funzionanti tramite i dischi (7), i quali, spinti dalla pressione del sistema, premono sui fianchi degli ingranaggi. Grazie a questo fenomeno, il gioco dell’accoppiamento si adegua alla pressione e, di conseguenza, il rendimento della pompa ad ingranaggi esterni risulta praticamente indipendente dalla pressione di esercizio.

Troubleshooting.

Come si sottolineato all’inizio di questo articolo, la pompa costituisce il cuore di ogni impianto oleodinamico, per cui è fondamentale conoscerne le modalità di guasto, le possibili cause ed i rimedi più efficaci. Di seguito riportiamo una serie di anomalie più frequenti, sulle quali conviene porre particolare attenzione.

Presenza d’aria nel circuito, olio emulsionato, formazione di schiuma nel serbatoio

  1. Livello dell’olio nel serbatoio troppo basso, il tubo di aspirazione non sufficientemente immerso fa si che la pompa aspiri contemporaneamente olio ed aria.
  2. Bolle o fessurazioni nel tubo di aspirazione o paraolio della pompa rotto, difettoso che permettono l’ingresso di aria nell’impianto.

La pompa non eroga olio

  1. -Pompa non adescata.
  2. -Senso di rotazione errato.
  3. -Filtro di aspirazione intasato.
  4. -Livello dell’olio troppo basso.
  5. -Olio troppo viscoso.
  6. -Albero pompa o giunto di trascinamento rotti.

La pompa non da la pressione richiesta

  1. -La pompa non eroga olio.
  2. -Valvola di massima non regolata correttamente.
  3. -Valvola di massima difettosa (rimane aperta e trafila).
  4. -Pompa usurata.

Pompa e motore rumorosi

  1. -Presenza di aria nel circuito.
  2. -Viscosità dell’olio eccessiva (crea fenomeni di cavitazione in aspirazione).
  3. -Difetto di allineamento del trascinamento pompa-motore.
  4. -Usura del giunto di trascinamento motore-pompa.
  5. -Pompa o motore usurati.

Surriscaldamento dell’olio

  1. -La pompa è usurata e permette trafilamenti interni.
  2. Funzionamento della pompa ad una pressione troppo elevata rispetto la taratura della valvola di massima pressione (la valvola di massima pressione trafila internamente).
  3. -Eccessivi trafilamenti del distributore o del motore.
  4. -Raffreddamento insufficiente.
  5. -Insufficiente capacita di dispersione di calore del sistema (richiede l’installazione di uno scambiatore).
  6. -Viscosità dell’olio eccessiva.
  7. -Funzionamento del motore idraulico a pressione continua troppo elevata rispetto la taratura della valvola di massima pressione.

Perdite dalle guarnizioni

  1. -Olio contaminato (Sostanze abrasive nell’olio).
  2. -Olio contaminato (Trucioli o altre sostanze estranee nell’olio).
  3. -Pressione di esercizio eccessiva.
  4. -Difetto di allineamento, accoppiamenti difettosi.

La pompa sovraccarica il motore primario

  1. -Velocità superiore a quella specificata.
  2. -Valore di pressione eccessivo.
  3. -Condotti di mandata ostruiti.
  4. -Motore con caratteristiche inadatte a quelle richieste dalla pressione e dalla portata.

Rumore nel distributore

  1. -Cursore usurato.
  2. –Portata eccessiva.

Velocità insufficiente

  1. -Portata insufficiente (pompa o motore con rendimenti scarsi).
  2. -Mancanza di pressione.
  3. -Motore usurato e drenaggi elevati.

Pressione e portata irregolari

1) -Regolatore di portata difettoso o tarato male.

2) -Aria nel circuito.

3) –Segnale di pilotaggio insufficiente (Linea di pilotaggio troppo lunga).

4) -Accumulatori scarichi.

5) –Stick-slip (avanzamento a scatti).

6) -Instabilità della valvola di max. pressione inserita nel circuito o a bordo del distributore.

Manutenzione ordinaria

Un programma di manutenzione ordinaria deve riportare gli interventi periodici preventivi che sono consigliati per garantirne l’affidabilità di funzionamento.

Si consiglia di prevedere un periodico controllo, con cadenza semestrale, del funzionamento generale della pompa, con particolare attenzione a fenomeni di perdite di olio (stillicidio) e rumorosità: come sopra indicato, le perdite possono essere causate dall’azione del fluido contaminato da sostanze abrasive, per cui è importante garantire e controllare il corretto filtraggio dell’olio.

E’ necessario controllare i valori della pressione nelle fasi di lavoro più impegnative, rispetto ai valori di targa indicati dal costruttore.

Un ulteriore parametro fondamentale, indicatore dello stato di salute della pompa, è il Rendimento: esso viene considerato normale se pari a 95% o comunque superiore a 90%. Se si avvicina a valori pari o inferiori ad 80%, significa che la pompa drena troppo e scalda in modo sensibile, a causa di problemi di tenuta.

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Circuiti idraulici: scambiatori di calore e serbatoi

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L’aggettivo “accessori” serve più per distinguerli che per classificarli, visto che la loro funzione è determinante per valorizzare al meglio i pregi della trasmissione di potenza oleodinamica. Per facilitare l’analisi abbiamo dividiso i componenti accessori in due gruppi: quelli dedicati alla regolazione del regime di flusso e quelli dedicati al collegamento delle varie parti del circuito. Vengono assunti come:

Componenti di regolazione: accumulatori, scambiatori di calore, serbatoi e filtri.

Componenti di collegamento: tubi rigidi, tubi flessibili, raccorderia /guarnizioni

In questo articolo completeremo la trattazione dei componenti accessori “di regolazione”, ad eccezione dei filtri che, avendo un’importanza fondamentale ed una diversificazione particolarmente complessa saranno trattati in forma specifica.

Scambiatori di calore

La temperatura dell’olio di un circuito idraulico aumenta per effetto delle perdite dovute all’attrito durante il flusso nei condotti e, soprattutto, a causa delle perdite di rendimento nelle trasformazioni energetiche compiute. Anche le caratteristiche intrinseche dell’olio usato danno un contributo significativo. E’ qualcosa di molto simile all’effetto Joule per un circuito elettrico. Alla dissipazione in calore corrispondono diminuzione di energia: potenziale, di velocità o di pressione; l’energia corrispondente rimane nel sistema ma non è utilizzabile. Si produce dunque uno spreco ma anche un potenziale danneggiamento delle caratteristiche dell’olio indotte dall’aumento della temperatura oltre i limiti consentiti.

Molto dipende dal tipo di applicazione: se le condizioni di lavoro non sono particolarmente gravose, l’aumento della temperatura dell’olio è contenuto: se il serbatoio è sufficientemente grande e ventilato la permanenza dell’olio è abbastanza lunga da dissipare verso l’esterno il calore accumulato. Quando la dispersione di calore operabile dal serbatoio non è sufficiente, occorre inserire nel circuito uno scambiatore di calore opportunamente dimensionato, caratterizzato dalla capacità di raffreddare rapidamente volumi di olio relativamente piccoli, in modo da evitare accumuli di olio troppo caldo nel serbatoio stesso.

Nella pratica comune esistono essenzialmente due tipi di scambiatori: ad acqua e ad aria.

Scambiatori di calore ad acqua

Sono normalmente a fascio tubiero e con flussi in controcorrente. Questo permette la regolazione di temperatura dell’olio variando la portata dell’acqua. Risultati ancora più precisi si ottengono se è possibile variare anche la temperatura dell’acqua stessa.

La manutenzione è quella classica degli scambiatori e viene programmata in funzione dell’efficienza dello scambio termico, a propria volta strettamente correlata alla pulizia delle superfici di scambio. Si tratta quindi di monitorare le temperature di entrata e uscita dell’acqua e dell’olio secondo uno scadenziario adeguato. E’ una tipica attività di “automanutenzione” , ovvero di manutenzione svolta autonomamente dall’Esercizio. In caso di rilevazione di situazioni diverse da quelle attese si lancia la “Richiesta di Lavoro” alla Manutenzione.

In caso di perdite d’olio, l’acqua di raffreddamento potrebbe risultarne contaminata: pertanto è obbligatorio usare circuiti chiusi. Il raffreddamento ad acqua richiede quindi installazioni fisse di grandi dimensioni, con bacini di accumulo /intercettazione e sistemi di refrigerazione per l’acqua (torri di refrigerazione o altri sistemi).

figura 1

Scambiatori di calore ad aria

Pur con capacità refrigeranti nettamente minori, l’aria è il fluido più comodo ed immediato per asportare il calore dai fasci tubieri percorsi dall’olio. La superficie di scambio termico deve essere però molto più ampia e quindi si utilizzano tubi sottili, numerosi, di materiali con coefficiente di scambio termico elevato ed alettati. E’ il classico “radiatore”. Per avere una buona portata d’aria è indispensabile un flusso forzato della stessa: si usano ventilatori o dispositivi analoghi.

Anche in questo caso la manutenzione preventiva consiste soprattutto nel monitoraggio della temperatura e nella pulizia periodica delle superfici alettate, molto soggette a sporcamento a causa del flusso di aria forzata. Una macchina di movimento terra che lavori nella Pianura Padana nel mese di maggio, è esposta a vere e proprie nuvole di fiocchi (pappi) provenienti dai pioppi, che ostruiscono rapidamente qualsiasi alettatura. Una pulizia periodica con aria compressa è indispensabile. Anche eventuali “ammaccature” del pacco alettato devono essere riparate per evitare variazioni di flusso e riduzioni di scambio termico.

figura 2

Una puntualizzazione

Nella pratica comune gli scambiatori di calore hanno il compito di mantenere l’olio e i fluidi idraulici in genere entro un range prestabilito di temperatura. Poiché il fabbisogno più corrente è essenzialmente di raffreddamento, si dovrebbe più propriamente parlare di refrigeratori.

Non è però sempre così: con temperature esterne molto basse si rende necessario uno scambio termico inverso, con cessione di calore all’olio o al fluido idraulico, che altrimenti sarebbe troppo viscoso ed inutilizzabile.

Un metodo consiste nel far circolare un fluido diatermico a temperatura nettamente più elevata di quella ambiente in appositi elementi scambiatori situati nei serbatoi a monte delle pompe principali, in modo che almeno gli elementi operatori possano iniziare a lavorare in condizioni non troppo dissimili da quelle previste come “a regime”.

Per le macchine semoventi ( tipiche quelle di movimento terra ) si possono sfruttare i gas di scarico dei motori termici, convogliandoli in appositi fasci tubieri situati nei serbatoi o addirittura utilizzando veri e propri scambiatori accessori inseribili in parallelo al circuito principale. Considerando che si tratta di motori a ciclo Diesel, salvo forse alcuni equipaggiamenti militari, la manutenzione consiste anche qui sostanzialmente in una sistematica pulizia /disincrostazione.

Serbatoi

I motivi ( le funzioni svolte) per cui i serbatoi sono classificati a pieno titolo tra i componenti di regolazione e non come semplici contenitori sono numerosi e sintetizzabili come segue.

  • Scambio termico: raffreddamento a regime e/o riscaldo in avviamento (climi freddi, viscosità elevata), in “affiancamento” agli scambiatori veri e propri. Nelle figure: presenza di diaframma.
  • Spurgo dell’aria e degli areiformi in genere (bollicine in risalita), grazie alla permanenza in regime di moto lento Nelle figure: presenza di diaframma e sfiatatoio con filtro aria
  • Prima purificazione/separazione di particelle solide estranee via decantazione sul fondo. Nelle figure: rubinetto di spurgo e presenza di diaframma.
  • Prima filtrazione ( in aspirazione ). Nelle figure: filtro in aspirazione
  • Compensazione delle espansioni e contrazioni di volume dovute alle variazioni di temperatura dell’olio, in “affiancamento” agli accumulatori. Sono impiegati anche serbatoi pressurizzati. La pressione è relativamente bassa. Lo scopo è quello di impedire l’ingresso di contaminanti/umidità dall’esterno ed il traboccamento del liquido dal serbatoio. L’applicazione è tipica dei servomeccanismi di aerei, sommergibili e altri semoventi. I sistemi di pressurizzazione sono del tutto analoghi a quelli usati per gli accumulatori (gas in pressione o molla-pistone e valvola di sicurezza).

Come si vede dalle figure la struttura del serbatoio tipico (non pressurizzato, nel caso rappresentato), deve rispondere a requisiti non solo funzione dell’esercizio ma anche funzione della manutenibilità.

figura 3

figura 4L’espressione non in dica soltanto una “virtù” generica: la mautenibiità è un parametro (quindi misurabile e misurato) classificato da UNI 9910 – Riferimento 191.13.01: [Manutenibilità ] la probabilità che un’azione di manutenzione attiva, per un’entità data, utilizzata in condizioni assegnate, possa essere eseguita durante un intervallo di tempo dato, quando la manutenzione è assicurata nelle condizioni date e mediante l’uso di procedure e mezzi prescritti.

Una buona parte di manutenzione preventiva è eseguibile vantaggiosamente in automanutenzione: spurgo periodico delle morchie dal fondo (dal rubinetto di spurgo) e controllo sistematico del livello.

Anche l’olio può essere sistematicamente pulito mediante l’utilizzo di filtri carrellati con pompa autonoma. La filtrazione (più spinta di quella effettuata dai filtri a bordo macchina) può quasi sempre essere effettuata senza fermare l’impianto. I vantaggi sono notevoli: a titolo esemplificativo e non esaustivo, si eliminano impurità che possono creare problemi nei passaggi di piccolo diametro e si allungano i tempi di sostituzione della carica.

figura 5.1

figura 5.3

Interessantissime le possibilità di manutenzione predittiva (diagnostica precoce), attraverso l’analisi periodica dell’olio: esistono correlazioni precise tra i tipi di inquinanti, la relativa concentrazione, la progressione della medesima e il grado di affidabilità del sistema. Questa attività è di norma affidata a Specialisti esterni ed è normalmente utilizzata per tutti i tipi di olio (lubrificanti, isolanti nei trasformatori etc.). Il ricorso a Specialisti esterni è raccomandabile anche perché condizione necessaria che la diagnostica precoce sia attendibile è che i campioni di olio siano prelevati con modalità assolutamente rigide e ripetitive nonchè in posizioni indicate e (meglio ancora) predisposte dal provider. Il rubinetto di spurgo non è consigliabile.

La manutenibilità (e non solo in questo caso ! ) si persegue soprattutto in fase di progetto e viene perfezionata eventualmente come manutenzione migliorativa. Nel caso rappresentato nelle figure precedenti, il serbatoio è facilmente ispezionabile e pulibile grazie ai due portelli di ispezione (fase progettuale espressamente rivolta alla manutenibilità). Va corredato di almeno una presa per campioni di olio se si vuole attivare la manutenzione predittiva (manutenzione migliorativa), mentre la filtrazione con filtro carrellato può avvenire utilizzando il foro di riempimento e il rubinetto di spurgo (fase progettuale, per altri scopi e utilizzabile per la manutenzione).

Circuiti idraulici: accumulatori

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I componenti accessori di un sistema idraulico

Premettiamo che l’aggettivo “accessori” serve più per distinguerli che per classificarli, visto che la loro funzione è determinante per valorizzare al meglio i pregi della trasmissione di potenza oleodinamica. Per facilitare l’analisi dividiamo i componenti accessori in due gruppi: quelli dedicati alla regolazione del regime di flusso e quelli dedicati al collegamento delle varie parti del circuito. Vengono assunti:

Come componenti di regolazione: accumulatori, scambiatori, serbatoi e filtri.

Come componenti di collegamento: tubi rigidi, tubi flessibili, raccorderia /guarnizioni

In questo articolo inizieremo col trattare i componenti accessori “di regolazione”, ad eccezione dei filtri che, avendo un’importanza fondamentale ed una diversificazione particolarmente complessa saranno trattati in forma specifica. Sempre nei prossimi numeri completeremo la nostra esposizione in ottica manutentiva sui componenti accessori.

Accumulatori

Si trovano installati su tutti i circuiti, oleodinamici ma non solo, in cui operano fluidi incomprimibili soggetti a variazioni di pressione. Nel caso dei circuiti oleodinamici tali variazioni derivano sostanzialmente dalle normali modalità di impiego dei sistemi, in quanto i tipi di pompe volumetriche normalmente impiegati erogano un flusso assimilabile al continuo ( pompe a ingranaggi, palette, pistoncini ). In figura è riportata una classica centralina con accumulatore a sacca e blocco di sicurezza. In altri circuiti industriali gestiti con pompe volumetriche di altra tipologia è invece il tipo di pompa stesso a produrre pulsazioni ( pompe a membrana, a pistoni, a disco cavo, peristaltiche etc.). Il fenomeno è ad esempio tipico delle pompe dosatrici.

Figura 1Rimanendo nell’oleodinamica, sempre a titolo esemplificativo e non esaustivo, brusche variazioni di pressione possono essere normalmente indotte dall’azionamento di valvole, da variazioni di carico, dall’arrivo a fine corsa degli attuatori e, non trascurabile, da sovrasollecitazioni dovute al comportamento degli operatori, errori compresi. Essendo l’olio incomprimibile, repentini incrementi di pressione determinano quello che in idraulica prende il nome di “colpo di ariete”. L’energia in eccesso impatta su tutto il circuito, causando danni o usura precoce. Esiste anche il problema opposto, quello di bruschi cali di pressione, quando ad esempio la richiesta di portata degli attuatori supera la portata della pompa e la mancanza di continuità di pressione crea problemi nell’esecuzione della funzione richiesta (es. allentamento di un bloccaggio, movimenti discontinui, perdita di ciclo etc.). Per inciso, quanto sopra descritto costituisce anche un segnale per il manutentore. L’intensità del segnale può spaziare tra quella del “sintomo premonitore” , percepibile strumentalmente in sede di Predittiva a quella del malfunzionamento conclamato con effetti sul funzionamento ( con richiesta di intervento). Se ci sono problemi in un circuito oleodinamico dotato di accumulatori, in fase di ricerca del guasto questi sono tra i primi componenti a dover essere controllati.

Costruttivamente gli accumulatori sono realizzati secondo tre soluzioni canoniche: accumulatore a membrana, accumulatore a sacca, accumulatore a pistone.

La figura mostra in sezione un accumulatore a sacca e uno a pistone

Figura 2Funzione fondamentale degli accumulatori è mantenere il più possibile regolare nel tempo l’andamento dei valori di pressione e di portata dell’olio che circola nel sistema oleodinamico, rendendone “fluide” e senza picchi le variazioni. Spesso infatti sono detti anche “smorzatori”. Fisicamente questo compito viene svolto da un fluido comprimibile, tenuto separato dall’olio e in grado di comprimersi od espandersi in funzione e sincronia con le fluttuazioni di pressione dell’olio stesso. Abbiamo scritto “funzione fondamentale” in quanto gli accumulatori possono essere impiegati in sostituzione o integrazione delle pompe, anche se ciò è possibile per intervalli di tempo molto brevi. Tipicamente, “punte” di fabbisogno di energia oppure il caso di dispositivi di emergenza che debbano comunque intervenire in caso di blocco dei componenti operatori veri e propri (es. Valvole di intercettazione ad azionamento oleodinamico) oppure l’impiego di accumulatori a scarica comandata preposti a fornire un surplus di energia in fase di avviamento e messa a regime di impianti complessi. In questo caso si realizzano vere e proprie batterie di accumulatori di grandi dimensioni, molto simili alle “rampe” di bombole per lo stoccaggio dei gas tecnici. In figura è addirittura riportata la pressione di pre-carica.

YASHICA Digital CameraIl funzionamento degli accumulatori destinati agli impieghi “normali”, come vedremo, è di tipo automatico; numero e dimensioni ( es. per una centralina oleodinamica di una macchina utensile) sono decisamente contenuti. A causa dell’incomprimibilità dell’olio basta infatti una piccola perturbazione nel circuito per far impennare o cadere la pressione ma basta anche una piccola compensazione di volume per mantenerla entro un range voluto.

Sempre per completezza è anche necessario puntualizzare che esistono accumulatori in cui il fluido incomprimibile (olio o altro) è a diretto contatto col gas compresso. Il pericolo di contaminazione e di formazione di bolle nel circuito ne rendono l’uso molto ridotto.

Accumulatori a membrana e a sacca

Sono i più diffusi sugli impianti oleodinamici. L’olio entra dalla parte inferiore andando a ridurre il volume a disposizione del gas , che viene a sua volta compresso e può restituire il volume d’olio accumulato in caso di calo di pressione.

Il punto di installazione ottimale è il più possibile vicino agli attuatori che generano le perturbazioni da controllare. Tra l’accumulatore e il punto del circuito in cui questo è installato ( molto frequentemente sulle centraline) è interposto il blocco di sicurezza. (visibile in Fig. 1, proprio sotto l’accumulatore ). Esso è costituito da manometro, valvola di sicurezza e valvola di esclusione e permette la manutenzione dell’elemento con impatto minimo o nullo sui tempi di interferenza col funzionamento, dal controllo della pressione di carica gas alla sostituzione preventiva o a guasto dell’elemento stesso.

I due tipi di accumulatori sono abbastanza simili, somigliando a una piccola bombola ed essendo accomunati dal fatto che olio e gas compresso sono separati da un elemento in elastomero, ma hanno caratteristiche diverse. Quello a membrana infatti è costituito da due metà, saldate di testa dopo il fissaggio della membrana oppure filettate. Quello a sacca è monolitico, senza saldature.

Il materiale di costruzione più comune per l’involucro è l’acciaio al Carbonio, ma sono normalmente presenti accumulatori in acciaio inox , PVC, polipropilene e altri materiali ancora.

Anche per sacca e membrana la varietà di elastomeri disponibili è molto ampia, in quanto le condizioni di esercizio sono tra le più diverse. Pensiamo ad una macchina di movimento terra che opera in climi rigidi, dove le basse temperature possono produrre indurimento degli elementi deformabili. In questo caso si raccomandano compositi a base di epicloroidrina (ECO), mentre applicazioni più “tranquille” la famiglia delle membrane in gomma nitrile (NBR) copre una vasta gamma di fabbisogni. L’ accumulatore a membrana saldato, in caso di rottura della medesima non è riparabile, mentre quello filettato lo è. L’accumulatore a sacca è sempre riparabile, in quanto la sacca è inserita ( con opportune procedure) dalla parte superiore.

In figura è riportato un assortimento di entrambi i tipi in versione “compatta”.

Figura 5

Altra differenza è che la membrana oscilla secondo un movimento indotto dal sistema di fissaggio sul mantello ma senza o quasi deformazioni elastiche, mentre la sacca si espande e si contrae come un palloncino.

Infine nella versione a membrana l’otturatore è fissato alla medesima, mentre nella versione a sacca esso è costituito da una valvola a fungo con molla di apertura.

I costruttori di accumulatori forniscono appositi kits di pre-carica (manometro e connessioni varie) che devono essere consegnati alla Manutenzione in fase di Commissioning, assieme ai dati di taratura previsti. Il kit è tipicamente fornito in apposita valigetta. Sarà compito dell’a Manutenzione eseguire controlli periodici e prevenire un tipo di malfunzionamento tanto dannoso per impianto e processo quanto facilmente individuabile in sede di Predittiva.Figura 6Accumulatori a pistone

In questo caso la variazione controllata di volume è affidata allo scorrimento di un pistone flottante, che funge anche da elemento di separazione tra l’olio e l’azoto. Il principio di funzionamento non cambia. La testa del pistone lato olio ( piana o opportunamente sagomata) funge anche da otturatore. Gli accumulatori a pistone sono utilizzati per impieghi mediamente più gravosi degli altri e richiedono una lavorazione accurata della camicia di scorrimento; pertanto si usano di norma acciaio al Carbonio, acciaio Inox e alluminio. Limitatamente alla famiglia degli accumulatori a pistone, lo sforzo antagonista che permette di mantenere l’olio in pressione, anziché da un gas può anche essere esercitato da dispositivi meccanici, quali molle a caratteristica idonea, dispositivi meccanici proporzionali o anche da un carico costante. La figura mostra in sezione un accumulatore a molla e uno a carico costante. In questo ultimo caso l’assorbimento delle variazioni di portata avviene senza variazioni di pressione. Il contrasto meccanico serve anche spesso per ricavare un segnale di posizione del pistone, utilizzabile per scopi diversi.

Figura 7Volendo abbinare il controllo di posizione alla funzione principale di accumulatore, la tendenza dominante è quella di dotare di appositi sistemi ( senza contatto diretto) il pistone flottante classico con contrasto a gas in pressione. Affidabilità, precisione, compattezza e facilità di regolazione ne traggono indiscutibili vantaggi. Questo grazie a sensori – trasduttori magnetici, capacitivi etc. che dialogano con centraline esterne. Modalità e frequenza di intervento dell’accumulatore risultano monitorabili in continuo, consentendo un controllo in tempo reale della funzionalità dell’accumulatore da parte della Manutenzione e di eventuali scostamenti dal range prefissato. La possibilità di connessione a sistemi di telecontrollo completa il quadro delle potenzialità di diagnostica precoce e remota. Inoltre l’apparecchio può essere utilizzato anche in operatività, per le funzioni di commutazione al raggiungimento di determinate posizioni del pistone flottante, posizioni strettamente correlate al raggiungimento di valori “sensibili” di pressione nel circuito.

Circuiti idraulici: tubi e raccordi

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Premettiamo che l’aggettivo “accessori” serve più per distinguerli che per classificarli, visto che la loro funzione è determinante per valorizzare al meglio i pregi della trasmissione di potenza oleodinamica. Per facilitare l’analisi abbiamo diviso i componenti accessori in due gruppi: quelli dedicati alla regolazione del regime di flusso e quelli dedicati al collegamento delle varie parti del circuito.

Componenti di collegamento sono  i tubi flessibili, raccorderia, guarnizioni.

Premettiamo che, stante l’infinita varietà di tipi, dimensioni, materiali esecuzioni, impieghi etc. non pretendiamo sicuramente che la trattazione sia completa ed esaustiva: dovrà forzatamente essere per famiglie. Vorremmo però in parallelo focalizzarci sugli aspetti che maggiormente impattano sull’affidabilità e la disponibilità dei sistemi su cui sono installati. Questo sarà in particolare evidente per le guarnizioni, la cui vastissima gamma obbliga, in questa sede, ad una trattazione quanto mai sintetica.

Tubi flessibili

Un’importante caratteristica dei sistemi oleodinamici, ai primi posti tra quelle che li rendono particolarmente appetibili rispetto ai corrispondenti sistemi meccanici, è costituita dalla relativamente grande facilità nel variare con ripetitività le posizioni relative tra i componenti o tra intere parti del circuito durante il lavoro (impiego dinamico). Ciò è reso possibile dalla famiglia dei tubi flessibili. Esiste anche un impiego statico dei tubi flessibili, che semplifica di molto installazioni, specie se a carattere provvisorio, in cui pompe ed attuatori siano fermi tra loro ma distanti e con ostacoli o dislivelli che renderebbero complicato e costoso l’uso dei tubi rigidi. Ci sono molte similitudini coi cavi elettrici.

A differenza dei cavi elettrici, però, l’energia trasmessa è energia di pressione. Questo comporta che i “conduttori” siano sollecitati meccanicamente non solo per quanto riguarda le deformazioni, ma anche da notevolissime forze interne. La pressione del’olio tenderebbe a disporre il tubo secondo una retta. Inoltre gli spostamenti sistematici durante il lavoro inducono un classico stato di sollecitazione a fatica e la gravosità di certi ambienti di lavoro può danneggiare fisicamente la superficie esterna, producendo potenziali inneschi a rottura. Montaggio e scelta del tipo di esecuzione dei tubi flessibili sono dunque strategici.

Tubi flessibili : montaggio

L’affidabilità di servizio esige quindi il rispetto rigoroso di una serie di regole di montaggio, il cui mancato rispetto determina la rottura in tempi molto brevi.

Anche i raggi di curvatura non possono essere indotti arbitrariamente: il tipo di impiego (dinamico o statico), il diametro nominale e il tipo di esecuzione del flessibile comportano dei valori limite al di sotto dei quali il funzionamento affidabile non può avvenire.

Va ricordato che i tubi flessibili hanno la possibilità di dilatarsi elasticamente e di funzionare (entro limiti molto ristretti, ovviamente) come elemento smorzatore di vibrazioni. Tipiche, ad esempio, quelle presenti negli impianti oleodinamici con motori e componenti operatori di tipo volumetrico. A maggior ragione il montaggio deve essere fatto a regola d’arte.

Infine ricordiamo che l’unica sollecitazione esterna ammissibile per i tubi flessibili (come dice il loro nome…), è la flessione. Non sono ammissibili sollecitazioni a trazione o a torsione, pena la rapida distruzione del componente.

Tubi flessibili : tipologie

Come già accennato in apertura, le tipologie sono pressoché infinite. Strutturalmente i tubi flessibili sono costituiti da uno più strati concentrici in elastomero (gomme o altri elastomeri) alternati a strati di tessuti in fibre naturali, sintetiche o a strati di trecce metalliche. Le trecce possono essere a più strati e sono sempre disposte ad eliche alternate dello stesso passo per coniugare resistenza e flessibilità L’esterno può essere in elastomero come in treccia metallica a scopo protettivo e di sicurezza. In caso di perdita il “dardo” d’olio ad alta pressione (pericolosissimo) viene nebulizzato o quantomeno smorzato drasticamente. L’interno, la parte a contatto col fluido idraulico, è sempre in elastomero. La scelta del tubo flessibile più adatto è comunque funzione del rispetto di due famiglie tipiche di condizioni al contorno:

  • ELASTOMERO: da verificare la compatibilità Natura del fluido operante con l’elastomero con cui è a contatto. Temutissimi dai manutentori: rigonfiamenti, irrigidimenti, perdita di impermeabilità, forature.
  • TRECCIATURA: la scelta è in funzione delle esigenze di flessibilità, del numero di deformazioni per unità di tempo, dalla pressione del fluido. Le possibilità di scelta comprendono il materiale prescelto, il diametro dei fili di solito disposti come nastri, il numero degli strati (schiere, in gergo), il passo dell’avvolgimento elicoidale. Temutissima dai manutentori: l’estrusione dell’elastomero dall’interno del tubo attraverso la treccia. N.d. R: Le macchine trecciatrici sono particolarmente complesse e la qualità dei tubi è strettamente funzione della buona manutenzione delle medesime.

Raccorderia per tubi flessibili

Trattiamo ovviamente la raccorderia terminale. Al raccordo terminale è demandato il collegamento tra il tubo flessibile e le parti del sistema idraulico a cui deve essere connesso con facilità ed affidabilità. Si individuano due famiglie fondamentali: la raccorderia fissa, a perdere, che va sostituita assieme al flessibile e la raccorderia recuperabile, che può essere reimpiegata cambiando solo il flessibile.

Raccorderia fissa

Il flessibile viene graffato tra il collare esterno deformabile plasticamente e un porta gomma interno opportunamente corrugato. L’operazione è effettuata con un’apposita macchina-rullatrice ad azionamento idraulico, un tempo presente in molte officine di manutenzione aziendali che avevano necessità di sostituzioni immediate.

Se la deformazione plastica è eccessiva il flessibile subisce però un principio di tranciatura (appare inizialmente come un rigonfiamento) che causerà la rottura del flessibile presso l’innesto sul raccordo, punto dove peraltro si verifica la maggioranza delle rotture. Questo è il motivo per cui attualmente si preferisce il ricorso a terzi specializzati, magari tenendo a magazzino flessibili di scorta già intestati.

La graffatura fornisce prestazioni ottimali in caso di sollecitazioni pesanti, vibrazioni, colpi d’ariete etc. ed è anche relativamente economica.

Raccorderia recuperabile

Il vantaggio dei raccordi recuperabili sta nel non necessitare di attrezzature particolari per il fissaggio del flessibile. Per emergenze, se il flessibile si rompe in prossimità del raccordo e se è abbastanza “ricco” in lunghezza, si può tentare un intervento tampone, ma è un caso limite.

Si distinguono due tipologie: raccordo recuperabile filettato e raccordo recuperabile a gusci.

Il raccordo recuperabile filettato ottiene l’effetto di serraggio del tubo flessibile azionando una ghiera di bloccaggio. Il tutto è potenziato dalla conicità delle superfici affacciate e dalle rugosità interne alla ghiera. Le prestazioni sono decisamente inferiori rispetto al tipo graffato ma gli ingombri sono identici o leggermente maggiori.

Il raccordo a gusci (è detto anche a conchiglia) ha invece prestazioni identiche a quello graffato, essendo di fatto una morsa serrata con bulloni. La facilità di installazione o rimozione è ancora migliore di quello filettato ma l’ingombro è notevole e non sempre l’intervento tampone è possibile.

Raccorderia per tubi rigidi

La raccorderia per tubi flessibili può essere classificata come raccorderia normale e raccorderia speciale.

La raccorderia normale svolge le tipiche funzioni di collegamento tra tubi o di parti del sistema idraulico mediante i tubi stessi. La raccorderia speciale (complessa e varia) svolge sempre compiti di connessione ma decisamente più sofisticati. Un giunto girevole permette azionamenti di componenti idraulici su elementi rotanti. Il principio costruttivo ha molti punti in comune con le tenute meccaniche e consente rotazioni relative continue o alternate anche veloci e con possibilità di trasmettere elevata energia di pressione agli attuatori finali. Per i manutentori si tratta di componenti strategici, delicati (e molto costosi) che devono essere controllati sistematicamente. Anche il montaggio richiede perizia in quanto molti problemi nascono proprio da errori di montaggio (ortogonalità e allineamento).

L’uso di innesti rapidi permette ad esempio di sostituire rapidamente utensili oleodinamici su una stessa centralina di tipo mobile. La gru a cestello dei pompieri è dotata di una centralina idraulica mobile e l’innesto rapido permette di installare divaricatore, cesoia, martinetti e qualunque altra attrezzatura idraulica portatile in rapida successione e secondo necessità.

Un cenno alle guarnizioni

La tenuta degli accoppiamenti ( statici e dinamici) è in tutti i casi affidata alla deformabilità ed all’elasticità dei materiali costituenti le guarnizioni stesse. I problemi manutentivi derivano dall’usura e/o dall’incompatibilità tra elastomero e fluido impiegato. Ricordiamo ancora che i fluidi idraulici sono incomprimibili e che quindi anche una piccola perdita compromette la pressione di esercizio. Inoltre, le guarnizioni di un circuito sono numerosissime e quasi sempre invisibili, il che può rendere particolarmente lunga e difficile la ricerca del guasto.

Per contrastare l’usura è fondamentale il grado di lavorazione delle superfici in moto relativo e l’impiego di soluzioni costruttive capaci di compensare l’usura stessa (entro certi limiti). L’anello MIM con la molla interna è il più noto dei sistemi. Fondamentale è anche l’accuratezza del montaggio.

Il fenomeno più dannoso prodotto dall’incompatibilità tra elastomero e fluido impiegato è la contrazione del materiale di tenuta. E’ piuttosto raro e circoscritto e un buon produttore fornisce tabelle di compatibilità che permettono di evitarlo. Più frequenti ed altrettanto temibili sono le alterazioni di elasticità, resistenza, impermeabilità. Questo sia per cessione di componenti reciproca sia per vere e proprie reazioni chimiche.

Anche fluidi di uguale origine (es. sintetici /petroliferi) hanno comportamenti molto diversi rispetto agli elastomeri in funzione dei contenuti di famiglie di idrocarburi presenti nella loro composizione (es. prevalenza paraffinica piuttosto che aromatica). Nel primo caso resistono bene le gomme, nel secondo caso sono necessari polimeri fluorurati (es. Viton ).

L’analisi periodica dell’olio idraulico è una forma collaudata di manutenzione predittiva e permette di individuare (tra l’altro) anche impurità provenienti da usura e/o attacco chimico degli elastomeri a contatto col fluido.

I sistemi idraulici

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In questo articolo tratteremo in ottica di pratica quotidiana, i temi più comuni ed attuali della manutenzione dei sistemi idraulici. Si tratta di un mondo tanto vasto quanto vario ed in continua crescita: l’evoluzione di elettronica e tecnologia dei materiali rendono i sistemi idraulici sempre più affidabili , manutenibili ed efficienti.

Scopo dei sistemi idraulici è quello di conferire energia ad un fluido incomprimibile e di consentire all’utente di utilizzarla nei punti e nella quantità desiderati (energia di pressione, nel caso specifico). Stante la definizione di pressione ( forza per unità di superficie ) distribuendo la pressione su superfici adatte, questa viene convertita nel tipo di forza che si vuole ottenere: spinta, coppia (rotazione) e infinite combinazioni di entrambe le modalità: il braccio di un escavatore è uno degli esempi più classici. La forza esercitata per lo spostamento ottenuto corrisponde al lavoro. Con molta pazienza e con attrezzature adatte è possibile esercitare forze enormi anche con una pompetta manuale. Gli spostamenti saranno lenti, perché la pressione c’è ma il flusso di olio è minimo. Facendo entrare in gioco anche la portata ( pompe), lo spostamento, a parità di lavoro, avviene con maggiore velocità e il quadro si completa con l’intervento della potenza. Si possono fare paralleli a piacimento con le altre forme di energia, meccanica ed elettrica in particolare. Nel caso della meccanica, supponendo costanti pressione e portata dell’olio, il rapporto tra la sezione del tubo di mandata in un pistone e la sezione del pistone stesso equivale esattamente al rapporto di trasmissione tra pignone e corona. Alla riduzione di velocità dell’olio nel pistone corrisponde un’identica moltiplicazione della spinta rispetto a un pistone che avesse la stessa sezione del tubo di mandata; così come alla riduzione della velocità angolare della ruota mossa corrisponde un’identica moltiplicazione della coppia. Di seguito, altre interessanti analogie.

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Ferme restando le analogie, le varie forme di energia hanno peculiarità specifiche che le rendono preferibili per applicazioni altrettanto specifiche. Tentiamo una sintesi dei pro e dei contro della soluzione idraulica. I sistemi idraulici per trasmissione di potenza godono di considerevoli vantaggi sul piano operativo: sono adatti a funzionare in un ampio intervallo di potenza, consentono movimentazioni a bassa e ad alta velocità, con corse assai variabili, sviluppano potenze elevate in rapporto al loro volume (generatori ed attuatori di dimensioni compatte), sono relativamente semplici da gestire e mantenere e il loro costo è contenuto rispetto ai sistemi elettromeccanici operativamente equivalenti. Dal lato degli svantaggi si annovera: minor precisione di posizionamento e di regolazione della velocità, inquinamento dell’ambiente di lavoro (perdite di olio), sensibilità alle condizioni esterne, specie al gelo, impatto ambientale (nel caso di uso di olio come liquido vettore di pressione), scarsa efficienza energetica. Questo non solo per il sistema in sé, che talvolta deve forzatamente sprecare energia attraverso valvole tarate per limitare sovrappressioni ma anche perché l’energia di pressione viene conferita (ormai praticamente sempre all’olio) attraverso la trasformazione di energia meccanica proveniente da energia elettrica o da motori endotermici e successivamente ritrasformata in energia meccanica. A ogni anello della catena di trasformazione corrisponde un rendimento sempre minore del 100%. Gli aspetti energetici, viste le notevolissime potenzialità di efficienza e risparmio, vengono trattati espressamente in altro contesto. E’ quindi doveroso precisare che i “contro” sono relativi, non assoluti e che i progressi nella risoluzione dei medesimi sono continui e notevoli. Per fare un esempio, le moderne gru semoventi, comprese quelle mastodontiche, tutte ad azionamento idraulico, sono capaci di precisione e delicatezza stupefacenti.

Un sistema idraulico è un gruppo funzionale, cioè un insieme di componenti (meccanici, elettrici, etc.) che agendo di concerto svolgono una funzione principale. Un sistema idraulico o oleodinamico, comunque realizzato, svolge sempre la funzione di trasmettere energia da una “unità funzionale” a un’altra. L’energia viene ricevuta, trasmessa e ceduta da un fluido incomprimibile: l’olio. L’aggettivo “idraulico” che spesso ricorre è un’eredità delle prime applicazioni della possibilità di trasmettere energia e moltiplicare la forza tramite un fluido incomprimibile: in origine proprio l’acqua.

Tornando alle “unità funzionali” che costituiscono il Sistema Idraulico, ciascuna di esse è un insieme di “entità”, con caratteristiche proprie, che vengono combinate tra loro in modo da fornire un servizio specifico, funzione delle caratteristiche delle entità nonché delle modalità e dei criteri di assemblaggio delle medesime.

Per chiarire il concetto di “entità” riportiamo la definizione secondo UNI EN 13306:2003, paragrafo 3.1: ogni parte, componente, dispositivo, sottosistema, unità funzionale, apparecchiatura o sistema che possa essere considerato individualmente.

La definizione di cui sopra, la definizione e le precisazioni che seguono sono indispensabili per costruire l’anagrafica o equipment tree di qualsiasi gruppo funzionale di cui si voglia gestire la manutenzione o per il quale si vogliano effettuare analisi dei guasti con metodo rigoroso.

UNI 9910 (191.07.01) definisce infatti così la manutenzione:

Combinazione di tutte le azioni tecniche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un’entità in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta.

Per “vedere” allora un sistema idraulico con l’occhio del manutentore è indispensabile monitorare i fabbisogni di manutenzione (programmata e non) riferendoli alle entità specifiche presso cui insorgono ed alla logica gerarchica con cui sono aggregate per comporre il sistema.

Come prima suddivisione si consideri che in un circuito oleodinamico sono sempre presenti tre famiglie di unità funzionali “canoniche” che diventano quattro dovendosi considerare come unità funzionale anche le tubazioni che trasferiscono l’olio. E tutti noi sappiamo quanta manutenzione richieda il piping.

Le prime tre unità sono individuabili rispettivamente come “operatori”, “attuatori o motori” e “regolatori”. Tutto il ciclo richiede di essere regolato e controllato, in modo che la cessione dell’energia avvenga secondo le modalità richieste e i rendimenti auspicati.

Prima però occorre tentare una classificazione dei sistemi oleodinamici. Abbiamo usato il verbo “tentare” in quanto, data l’innumerevole tipologia di applicazioni, la cosa è quanto mai ardua. La letteratura più qualificata propone due modalità. Talvolta un sistema “sfugge” ad entrambe

  1. A) In funzione delle modalità di generazione ed erogazione della potenza idraulica. In quest’ottica compaiono:
  • Sistemi a portata costante : applicazioni industriali fisse e gruppi semoventi
  • Sistemi a pressione costante : applicazioni industriali fisse e gruppi semoventi
  • Sistemi a dispersione: aerospaziale e comunque speciali
  • Sistemi idrostatici : variatori di velocità con rapporto di trasmissione fisso o variabile
  1. B) In funzione del metodo di regolazione e di comando
  • Sistemi indipendenti (sistemi aperti): non c’è regolazione proporzionale
  • Sistemi asserviti o servosistemi (sistemi chiusi) : il sistema risponde proporzionalmente ai segnali impartiti.

Per semplicità ci atterremo alla classificazione (A).

In questo primo capitolo ci focalizzeremo sui “gruppi operatori” e in particolare sul loro sotto-assieme più comune e diffuso: la centralina oleodinamica, che, nella maggioranza dei casi, appartiene ai sistemi a portata costante, dove costante è la velocità dell’attuatore. Per avere diverse velocità ( avvicinamento e operativa ) spesso sulla centralina sono operative più pompe di differente portata. A volte sono calettate sullo stesso albero.

Le tipologie sono pressoché infinite: di seguito prendiamo in esame i quattro tipi di centralina idraulica più diffusi nelle applicazioni industriali fisse, considerando di aver a che fare con motori elettrici flangiati

Se i motori sono collegati alle pompe con giunti, in moltissimi casi questi sono a manicotto, in elastomero a dentatura interna e richiedono particolari attenzioni e ricambi sempre presenti a scorta. Questo in quanto, pur eseguendo cicli di controllo dell’usura (gioco e/o polverino a terra), i giunti fungono anche da parastrappi in caso di sovrasollecitazioni non prevedibili preventivamente e si rompono proteggendo motore e pompa.

Riportiamo di seguito quattro schede di manutenzione ciclica riservate ai manutentori. Attività come pulizia, controllo livelli e controllo perdite sono a carico dei conduttori dell’impianto.

Se sono formalizzate, come sarebbe opportuno, le attività di controllo a carico dei conduttori prendono il nome di automanutenzione e sono riportate su schede specifiche, in genere molto semplici, corredate da chiare fotografie ed indicazioni operative.

Le attività di automanutenzione costituiscono la base portante di un programma di manutenzione, in quanto coinvolgono direttamente chi opera vicino ad una linea o ad una macchina operatrice, permettendo di monitorarle in modo praticamente costante: si tratta di uno strumento semplice ed efficace per rilevare eventuali segnali premonitori di possibili guasti.

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Il monitoraggio degli impianti

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Ogni impianto presenta delle variazioni nel tempo di certe grandezze fisiche che, se monitorate con metodo, possono fungere da indicatori di malfunzionamenti. Una corretta attività di manutenzione, oggi, scaturisce da un compromesso: da un lato, è necessario prevenire rotture improvvise di componenti e attrezzature, che potrebbero causare un fermo impianto indesiderato, dall’altro, è necessario, per ovvi motivi economici, sfruttare il più possibile la durata di vita attesa dei componenti stessi.

TP_2011_06Oggi, tuttavia, trovare la soluzione ottimale fra queste due esigenze è possibile, poiché il mercato mette a disposizione un gran numero di strumenti, capaci di captare i “sintomi” dell’imminente cedimento di un componente, permettendo così di intervenire in modo programmato per la sua sostituzione.

Un impianto, infatti, manda dei veri e propri segnali, quali rumori, vibrazioni, sviluppo eccessivo di calore, assorbimenti di potenza anomali, alterazioni di velocità e numeri di giri e così via, che, se adeguatamente letti e interpretati, possono fornire un quadro delle condizioni generali di operatività dell’impianto. Informazioni molto utili, insomma, per pianificare le attività di manutenzione e mantenere nel tempo le prestazioni, la produttività e quindi la redditività dell’impianto.

Saper ascoltare

Fra i principali sintomi che rivelano il funzionamento di un sistema meccanico c’è, sicuramente, il rumore. Un cuscinetto in avaria, una bronzina esausta, così come un problema di lubrificazione, o anche un eccessivo sforzo su un organo rotante, solo per are alcuni esempi, danno luogo alla generazione di vibrazioni, anche nello spettro percepibile dall’orecchio umano. Saper “ascoltare” una macchina è un buon modo per prevenire cedimenti e rotture. Per fare questo, sono disponibili i fonoendoscopi. Questi strumenti sono oggi di tipo elettronico e digitalizzati e sono ingrado di isolare il rumore indagato da quello di fondo dell’ambiente circostante. Algoritmi specifici permettono poi un’analisi delle onde sonore, con strumenti quali l’analisi di Fourier, per capire, mediante la descrizione della funzione d’onda sonora, la tipologia e l’origine della sorgente e quindi prevedere il tipo di guasto correlato. Nel campo delle vibrazioni esistono poi i vibrometri, in grado di fornire dati sulle vibrazioni misurate, comprese velocità e accelerazione della vibrazione e ogni altro dato utile per definire il tipo e la sorgente della vibrazione.

Misurare la velocità

Oltre alle vibrazioni e al rumore, un sistema meccanico ha molti altri parametri che possono essere indagati. Per esempio i numeri di giri al minuto di un organo rotante, che può essere determinato con uno stroboscopio. Lo stroboscopio eroga brevissimi lampi di luce a forte intensità e frequenza, osservando l’oggetto in rotazione e determinandone così la velocità di rotazione. Sempre per la misura della velocità, sia di rotazione sia istantanea, sono utilizzabili anche i tachimetri, sempre più di tipo digitale.

Arrivare ovunque

A volte, per l’ispezione di una macchina, è necessario riuscire a vedere anche dove non è possibile arrivare fisicamente, a meno di non procedere allo smontaggio della macchina stessa. Nel quadro delle attività di manutenzione può essere necessario, inoltre, ispezioanare tubature e condotti, per individuare la presenza di sporcizia, impurità o occlusioni che potrebbero pregiudicare il funzionamento dell’impianto. Per queste situazioni, esistono gli endoscopi, strumenti che, grazie all’uso delle fibre ottiche, possono arrivare, con un tubo flessibile, in punti altrimenti irraggiungibili e fornire all’operatore una visione, mediante immagini, della situazione.

In campo elettrico

Molte volte, un potenziale problema a un impianto industriale può essere rilevato mediante misurazioni sulla parte elettrica: wattmetri, per misurare la potenza, amperometri, per la misura dell’intensità di corrente, voltmetri per la tensione e ohmetri per la misura della resistenza possono dare una diagnosi precisa su correnti di spunto eccessive, assorbimenti di potenza anomali, per esempio da parte di una pompa, rischi di corto circuito e così via. Oggi, tutti questi strumenti sono di tipo digitale e possono essere usati con facilità e in ogni ambiente a bordo macchina.

Quando i macchinari “hanno la febbre”

Se in un macchinario si sviluppa eccessivo attrito, o ci sono dissipazioni di potenza indesiderate, o ancora ci sono problemi di tipo elettrico, viene generato calore. Per esempio, un cuscienetto difettoso tende a creare più attrito, surriscaldando la zona circostante; oppure, per fare un altro esempio, se in un motore elettrico le correnti di spunto o anche di stazionario sono eccessive, si avrà la generazione di calore per effetto Joule. In ogni situazione dove la presenza di calore è indice di un malfunzionamento, la soluzione per l’indagine è una camera termografica. Questi strumenti realizzano immagini a raggi infrarossi dell’impianto e, con un software specifico, possomo creare delle vere e proprie “mappe termiche” dell’impianto e permettere così ai tecnici di localizzare le aree di maggior surriscaldamento, risalendo così alla causa di esso. Le camere termografiche sono molto utilizzate nel monitoraggio delle prestazioni di quadri e motori elettrici. Un’altra soluzione, per il rilevamento delle temperature, è rappresentata dai termometri, a contatto o a raggi infrarossi. Anche con i termometri è possibile localizzare i punti dove la macchina è più calda e trarre da queste informazioni le opportune decisione in materia di manutenzione e anche di sicurezza. Anche un’altra variabile di stato, la pressione, può essere misurata facilmente mediante manometri digitali, per rilevare eventuali malfunzionamenti in sistemi idraulici e penumatici. Una variazione anomala di pressione può essere sintomo di varie problematiche, quali il cedimento di guarnizioni, la presenza di fluido in moto turbolento, a causa di “gomiti” o occlusioni nelle condutture e così via.

I vantaggi del digitale

Oggi, gli strumenti di misura sono in gran parte digitali, o digitalizzati. In altri termini, la misura rilevata non è più riportata su un quadrante a lancetta, di tipo analogico, mediante sistemi meccanici di precisione, ma, con un trasduttore elettronico, la misura viene digitalizzata e riportata, in bit, su un display digitale. Questo ha fatto sì che molti strumenti di misura possono essere dotati di porte seriali, la più comune in questo settore è la RS232, per poter riversare i dati direttamente su un PC, dove un software, fornito dallo stesso costruttore dello strumento, può effettuare l’analisi dei dati e dei segnali.

La manutenzione degli strumenti

In genere, i costruttori degli strumenti corredano i loro prodotti con dei certificati di taratura. Ma anche gli strumenti di misura, necessari, come abbiamo visto, per un corretto monitoraggio di un impianto, necessitano di cura e attenzione, per poter mantenere le loro caratteristiche di precisione e di affidabilità. Gli strumenti di misura digitali sono per questo equipaggiati, mediante il software che li regola, di cicli specifici di taratura, in modo da potere, su comando dell’operatore e a intervalli periodici, recuperare pienamente le loro prestazioni.

Industria 4.0 e formazione tecnica

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La rivoluzione in atto portata dalla Industria 4.0 sta cambiando rapidamente, specie nelle imprese più innovative, professioni e competenze: dall’utilizzo di software alla digitalizzazione dei processi, dalla conoscenza e padronanza della nuova strumentazione tecnologica alla capacità di adattarsi ai rinnovati processi aziendali, anche attraverso forme flessibili di organizzazione del lavoro. Non sempre la “formazione” delle risorse umane è in linea con le novità in arrivo e molto spesso gli imprenditori lamentano competenze esclusivamente “teoriche”. In Italia, evidenzia l’Istat, rispetto all’insieme dell’Unione europea, la percentuale delle forze lavoro con competenze digitali elevate è considerevolmente inferiore (il 23% contro il 32%) e tra i 5 maggiori paesi europei il nostro mostra il più basso livello di diffusione delle competenze digitali. In un quadro del genere formazione e apprendimento (possibilmente permanente) rappresentano una scelta obbligata per lavoratori e imprese. Del resto, il 60% delle professioni, secondo gli studi più recenti verranno automatizzate solo in parte, per almeno il 30% e soprattutto se si vuole evitare una perdita di posti di lavoro bisognerà necessariamente innovare: si stima, per esempio, che nell’alta tecnologia, life science e ricerca scientifica ci creeranno nei prossimi anni circa 1 milione di posti. Tra le professioni più richieste ci sono infatti soprattutto analisti e progettisti di software, esperti nei servizi sanitari e sociali, tecnici della gestione finanziaria, esperti nei rapporti con il mercato.

In fondo, un “primo assaggio” dell’impatto delle nuove tecnologie sul mercato del lavoro arriva dalle statistiche Istat sull’andamento dell’occupazione nel settore Ict, un altro indicatore di Industria 4.0: ad esempio, è cresciuta la quota di professioni Ict dirigenziali e tecniche ad elevata qualificazione (ingegneri elettronici e delle comunicazioni, analisti e amministratori di sistema, specialisti di Rete e della sicurezza informatica). Ebbene, il loro peso sul totale dell’occupazione in professioni Ict è salito dal 23% al 30,9%. E fa riflettere, infine, come più della metà degli occupati in professioni Ict risulti impiegata in settori non-Ict. Un altro indizio del peso delle nuove tecnologie (e della direzione che sta prendendo il mercato del lavoro).

A questo proposito è interessante segnalare nuove forme di collaborazione fra Aziende e Scuole: ad ottobre presso la Festo Spa di Assago è stato organizzato un evento rivolto ai Presidi (circa 120) per descrivere i futuri sviluppi di nuovi strumenti formativi grazie all’utilizzo dell’impianto I4.0 messo a punto dalla Festo,  già in uso la facoltà di Ingegneria (nuovo polo di Bovisa).

 

Le politiche di manutenzione

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Progettare la manutenzione

Progettare la manutenzione significa determinare il miglior sistema di gestione delle fasi che compongono tale processo, vale a dire trovare il giusto equilibrio tra le varie politiche (tipologie) di manutenzione, che ne massimizzi sia l’efficienza (costi) che l’efficacia (risultati).

La scelta delle politiche di manutenzione deve seguire precise logiche, derivanti dalla conoscenza approfondita degli impianti, dall’analisi dei guasti, da valutazioni di carattere economico sul costo del ciclo di vita dei beni aziendali.

Il manutentore ha sostanzialmente la facoltà di scegliere fra le due fondamentali tipologie di intervento: intervenire a guasto (manutenzione correttiva) oppure anticiparlo (manutenzione preventiva). Deve valutare se sia più conveniente aggiustare quando il guasto ormai è avvenuto oppure sia preferibile organizzarsi per prevenirlo. Non è corretto vedere nella prevenzione la soluzione perfetta, pur essendo ovviamente ed in linea di massima auspicabile: tutte le politiche di manutenzione, sia quella reattiva, a fronte del guasto, sia quella preventiva, magari realizzata attraverso l’impiego di tecniche predittive, hanno la stessa dignità, a patto che siano “scelte”, cioè siano il risultato di una progettazione accorta, che sappia trovare il giusto compromesso fra efficacia (eliminazione delle perdite) ed efficienza (contenimento dei costi diretti ed indotti).

La progettazione della manutenzione porta anche ad individuare le corrette regole di gestione dei materiali tecnici di ricambio: quali tenere a scorta e quali a fabbisogno. Aspetto strategico soprattutto qualora si adotti una politica di manutenzione correttiva, sia per gli aspetti economici legati all’immobilizzo di capitali (rischio di eccesso di stock), sia per quelli tecnici derivanti dalla loro mancanza, con gravi implicazioni sulla disponibilità dei beni aziendali

Il processo di manutenzione

Nel tempo il concetto di manutenzione inteso come singolo intervento sulla macchina o sull’attrezzatura è stato superato. La manutenzione viene considerata come un “sistema”, in quanto coinvolge tutti i processi lavorativi ed organizzativi. Opera in modo integrato con gli altri enti di produzione e deve garantire l’affidabilità degli impianti.

In genere un processo viene descritto ispirandosi al noto circolo virtuoso PDCA di Deming, distinto nelle fasi di Progettazione e Pianificazione (Plan), Esecuzione (Do), Controllo (Check) e Miglioramento (Act). Il processo di manutenzione rispetta esattamente questo modello ed inizia con la fase di progettazione.

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Le Politiche di manutenzione

Progettare la manutenzione significa scegliere le politiche di manutenzione più idonee per bilanciare le esigenze di efficacia ed efficienza del sistema: bisogna seguire precise logiche derivanti dalla conoscenza approfondita degli impianti, dall’analisi dei guasti (tipologie di guasto, distribuzione del tasso di guasto), da valutazioni di carattere economico relative al costo del ciclo di vita di macchine ed impianti che costituiscono il patrimonio aziendale. Quali sono le principali politiche di manutenzione?

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Manutenzione correttiva

La manutenzione correttiva o a guasto viene eseguita a seguito di una avaria ed è volta a riportare un’entità nello stato in cui essa possa eseguire la funzione richiesta. Essa risponde quindi all’esigenza di riparare le macchine per allungare la loro vita utile produttiva: si basa sull’attesa che compaia un guasto e sul successivo intervento dei tecnici per la riparazione e il ripristino della funzionalità originale. Questo modo di affrontare il tema della manutenzione prevede di lasciare la macchina in esercizio fintanto che il manifestarsi o il progredire di una anomalia costringa il conduttore a fermare la macchina. Questa strategia presenta degli aspetti contrastanti: il fattore positivo è rappresentato da un costo di manutenzione e di fermo macchina pressoché nullo fintanto che la macchina funziona.

Se applicata in modo indiscriminato emergono fattori negativi che non sono trascurabili e che possono essere sintetizzati in:

  • elevata perdita di ricavi dovuti al fermo macchina per guasto;
  • imprevedibilità dell’ intervento e quindi delle eventuali operazioni di deviazione del flusso produttivo in corso;
  • probabile elevato costo di riparazione; un guasto ad un componente che si protrae per molto tempo può avere effetti dannosi a catena e danneggiare altri componenti della macchina.

Una strategia correttiva, che rappresenta l’ approccio più tradizionale della manutenzione, conserva una sua validità qualora le tipologie di guasto siano facilmente riparabili e si operi in un contesto produttivo in cui il fermo macchina non comporta gravi danni al ciclo produttivo generale. E’ il caso di avarie a macchine singole, facenti parte di un gruppo di unità intercambiabili, il cui ruolo nel processo produttivo può essere facilmente ricoperto da un’ altra macchina gemella.

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Manutenzione preventiva ciclica

La manutenzione preventiva è definita come la manutenzione volta a ridurre le probabilità di guasto o il degrado del funzionamento di una entità, grazie ad una programmazione di interventi eseguiti a intervalli predeterminati o abbinata a criteri prescritti e guidati da tecniche predittive. Essa prevede la sostituzione a tempo di un certo componente della macchina, in modo tale da prevenirne il cedimento incontrollato. Questa soluzione viene adottata in particolari situazioni; in caso di gruppi funzionali che operano in aziende di processo a ciclo continuo e la cui interruzione del servizio possa provocare effetti gravissimi sulla sicurezza e salute delle persone, dell’ambiente o degli impianti e per i quali non sia possibile adottare tecniche predittive: oppure nel caso opposto, in cui il costo dell’ispezione sia superiore a quello del componente stesso. La possibilità di programmare un intervento di manutenzione consente una migliore organizzazione del lavoro di manutenzione e garantisce la possibilità di gestire la fermata della macchina nella maniera più conveniente. Appare chiaro che la manutenzione ciclica è efficace quando il guasto presenta una certa regolarità di accadimento

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Manutenzione su condizione

In molti casi però risulta difficile da prevedere l’accadimento di un guasto, per cui non è conveniente applicare in modo rigido la manutenzione programmata, in quanto si rischia di sostituire un componente la cui vita utile è tutt’altro che terminata. La strategia di monitoraggio su condizione, effettuata mediante verifiche ispettive periodiche, tende ad individuare lo stato di un componente che potenzialmente potrebbe provocare il guasto. Una manutenzione su condizione, basata sul monitoraggio attraverso ispezioni programmate, può portare un vantaggio rispetto alle precedenti politiche in termini di :

  • riduzione dei costi di manutenzione;
  • aumento della disponibilità operativa delle macchine;

Il monitoraggio delle condizioni può essere definito come un metodo che indica lo stato di salute della macchina utilizzando parametri che evidenziano i cambiamenti avvenuti nel tempo nella macchina stessa. La tipologia di ispezioni può variare da quella visiva a quella strumentale, a seconda della tipologia di macchina e della sua criticità nel processo produttivo.

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Manutenzione predittiva

Un ulteriore passo verso l’obiettivo di ottimizzare gli interventi di manutenzione preventiva consiste nell’adottare tecniche di manutenzione predittiva: esse si basano sulla possibilità di riconoscere la presenza di una anomalia in stato di avanzamento attraverso la scoperta e l’ interpretazione di segnali deboli premonitori del guasto finale. Il segnale, quando riconosciuto, entra poi a far parte di quei fattori che possono essere monitorati attraverso ispezioni continue o periodiche e quindi nella sfera di influenza della manutenzione preventiva (su condizione o programmata). Contrariamente alla manutenzione su condizione, l’idea di base della predittiva si fonda su un controllo dello stato delle apparecchiature tale da non interrompere il loro normale funzionamento ma da segnalarne anticipatamente ed in modo continuo il progressivo degrado. Lo scopo della manutenzione predittiva è quello di minimizzare, attraverso lo sviluppo di metodologie flessibili e affidabili di rilevamento della condizione, il numero di ispezioni o di revisioni che potrebbero a loro volta dare luogo a guasti o deterioramenti. Tra i fattori che sono utilizzati per una diagnosi dello stato del sistema ricordiamo quelli più importanti o che comunque forniscono il maggiore numero di informazioni: analisi delle vibrazioni, analisi termografiche, analisi chimico fisica degli oli che in base ai residui presenti individua quali componenti si stanno usurando.

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Manutenzione produttiva

Con la manutenzione produttiva si compie un ulteriore passo verso l’integrazione tra operatività, arricchita dall’esperienza e conoscenza diretta di processi ed impianti di produzione, e capacità di progettare e realizzare idee di miglioramento. Basandosi su sinergie con funzioni tecniche interne ed esterne all’azienda, la manutenzione produttiva è una politica volta a migliorare le prestazioni degli impianti, in esercizio e futuri, attraverso la crescita della loro manutenibilità; attraverso l’elaborazione di procedure di controllo e specifiche tecniche per la definizione e l’acquisto di nuovi impianti, la manutenzione operativa collabora con le tecnologie per l’ingegnerizzazione delle nuove linee di produzione o la modifica delle precedenti. Con la fabbrica snella si consolida il nuovo approccio tecnico e gestionale alla manutenzione, sviluppato in Giappone con la TPM (Total Productive Maintenance), in cui essa non è più vista come una funzione aziendale accessoria alla produzione, ma viene riconosciuta quale parte fondamentale di un sistema integrato, finalizzato alla ottimizzazione delle prestazioni attraverso il coinvolgimento di tutte le risorse.

Appuntamento al SIMa – Summit Italiano per la Manutenzione

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SIMa 2017 Summit Italiano per la Manutenzione

Scalo Intercontinentale di Malpensa – Sheraton Hotel – 11/12 Ottobre

A.I.MAN., Associazione Italiana di Manutenzione, da sempre fulcro e punto di riferimento a livello Nazionale, annuncia la nascita di SIMa, Summit Italiano per la Manutenzione: una due giorni nella quale tutti gli esperti di Manutenzione sul territorio Nazionale potranno trovare spunti di riflessione, novità, aggiornamenti, su tutto quello che è il panorama riguardante il loro lavoro. Location di questa prima Edizione sarà lo Scalo Intercontinentale di Malpensa: luogo nel quale la Manutenzione riveste un ruolo di primaria importanza.

Mercoledì 11 Ottobre: MaintenanceStories 

L’evento, organizzato da TIMGlobal Media in collaborazione con FESTO Consulting, è ormai pienamente riconosciuto sul territorio come una giornata di fondamentale importanza dagli addetti ai lavori. Anche per questa edizione la struttura sarà la consueta: verranno esposti casi di successo in ambito Manutenzione per una platea selezionata e composta esclusivamente da Responsabili di Manutenzione, Direttori di Stabilimento, Responsabili Acquisti e Direttori Tecnici, oltre che da figure affini che lavorano in ambito Manutenzione. Al termine dei lavori i partecipanti avranno la possibilità di visitare luoghi dove la Manutenzione è strategica a Malpensa come il BHS, il Sistema di Smistamento Bagagli, la Centrale di Malpensa di SEA Energia e come in Aeroporto operano in merito al De-icing.

CLICCA QUI PER PROGRAMMA E PRE-REGISTRAZIONE AL MAINTENANCESTORIES

Giovedì 12 ottobre: Maintenance Forum

Nella giornata dedicata al Maintenance Forum, coordinato da A.I.MAN. , Associazioni ed Enti che operano in ambito Manutenzione in Italia terranno i loro convegni annuali, in sessioni parallele. Parteciperanno a questa prima edizione:

Osservatorio sulle Attività di Manutenzione degli AeroportiIscrizioni qui
TeSeM, Osservatorio Tecnologie e Servizi per la Manutenzione – Iscrizioni qui
Man.Tra, Associazione Manutenzione Trasporti – Iscrizioni qui

Piccola storia dei modelli produttivi

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La bottega artigiana ha costituito il nucleo originario della storia della laboriosità del genere umano: nel piccolo laboratorio si pensa e si costruisce un bene da offrire in un mercato di scambio e l’artigiano è garante in prima persona della qualità del suo prodotto, in quanto unico e profondo conoscitore del metodo per progettarlo e costruirlo. Il modo artigianale di costruire beni mantiene tuttora la caratteristica di privilegiare la qualità alla quantità: il target dell’artigiano è oggi generalmente costituito da un pubblico elitario e ristretto, che considera il valore e l’originalità dell’oggetto più del prezzo. Gli strumenti utilizzati fino al XVIII secolo erano semplici, pur essendo geniali: solo nei primi del Settecento sono messe a punto le tecnologie che permetteranno lo sviluppo della metallurgia del ferro e la diffusione della macchina a vapore. L’Ottocento infatti vede la nascita delle tecnologie moderne alla base della rivoluzione industriale, caratterizzata dalle prime macchine utensili, talvolta semoventi, e dallo spostamento dell’interesse del produttori dalla dimensione qualitativa verso quella quantitativa. Il sistema industriale risponde infatti alla necessità di soddisfare la domanda di beni di un maggior numero possibile di persone. Ai primi del novecento, negli Stati Uniti d’America la crescente ricchezza e la conseguente richiesta di beni di consumo primari o voluttuari permettono alle aziende di introdurre sul mercato un gran numero di prodotti caratterizzati da prezzo competitivo e facile reperibilità, realizzando la cosiddetta produzione di massa. Fra tutti i settori, quello automobilistico si distingue per il grande quanto rapido sviluppo e rappresenta un esempio emblematico della risposta industriale ad una situazione di mercato emergente; situazione che si osserva nei paesi in periodi di forte crescita sociale ed economica, come quella americana e, nel dopoguerra, quella italiana degli anni Sessanta del boom economico. Nel Nuovo Mondo appunto, con l’avvento della produzione di massa, l’organizzazione razionale del lavoro ha rappresentato, al momento della sua applicazione, un notevole salto di qualità dell’attività industriale, in quanto basata su una analisi del processo lavorativo estremamente rigorosa e su di un modello di funzionamento adatto alle risorse e alla cultura industriale ed alle necessità del mercato del tempo.

Modello americano

Grazie all’opera di Frederick W. Taylor, nello studio di tempi e movimenti durante le fasi di trasformazione, e di Henry Fayol, per quanto riguarda la struttura organizzativa, negli anni Trenta vengono teorizzati modelli organizzativi ed introdotte innovazioni tecnologiche che portano ad una razionalizzazione della produzione industriale, con l’introduzione di raffinati metodi di meccanizzazione e parcellizzazione del lavoro. Produzioni di massa caratterizzate da grandi volumi, standardizzazione spinta, indifferenziazione del fattore lavoro, queste sono state le basi concettuali e pragmatiche dei modelli organizzativi di Taylor e Fayol, concretizzati nel “Fordismo”, cioè nella loro applicazione pratica nelle fabbriche automobilistiche Ford nel Nord America. L’immagine data da Charlie Chaplin nel film “Tempi moderni” è radicata nella memoria dell’uomo come esempio emblematico, pur nella sua interpretazione artistica ed ironica, della difficile situazione ambientale del mondo del lavoro in quegli anni.

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In conseguenza di ciò, nel dopoguerra nascono e si sviluppano nuove teorie che hanno come fine la valorizzazione della componente sociale del lavoro: la società vive importanti momenti evolutivi, che sfoceranno nei moti studenteschi del Sessantotto ed nelle “lotte di classe” degli anni Settanta. La struttura tecnica ed organizzativa della fabbrica segue lo sviluppo tecnologico, adeguandosi al variare delle situazioni sociali esterne: sicuramente l’introduzione dell’automazione costituisce una svolta del modo di concepire l’attività produttiva.

Nel giro di pochi anni, in fabbrica compaiono le prime unità operatrici automatiche, poi i robot e l’elettronica di controllo dei processi: la macchina esegue il lavoro fisico ed allo stesso tempo fornisce i parametri di controllo delle eventuali derive di processo rispetto agli standard prefissati.

Dal punto di vista organizzativo, l’innovazione tecnologica, il cui sviluppo rapidissimo è dovuto all’avvento dell’elettronica, porta inevitabilmente ad una rarefazione della catena gerarchica tradizionale delegata al controllo e pone i presupposti per altri e più profondi mutamenti strutturali. La crisi del modello tayloristico si manifesta proprio con la scarsa reattività dei produttori ai cambiamenti improvvisi del mercato, a causa di inerzie aziendali dovute a processi decisionali lenti, caratterizzati da una scissione netta fra chi decide e chi esegue; il risultato che ne deriva porta a fornire prodotti e servizi inadeguati rispetto alla richiesta di qualità sempre crescente. Ecco che, dopo circa novanta anni dalla sua introduzione, il modello tradizionale dell’organizzazione in fabbrica si dimostra improvvisamente inadeguato a reggere i nuovi scenari di business e le dinamiche sociali e culturali di fine XX secolo. La conseguente revisione delle strutture organizzative porta a delineare nuove figure professionali, con ruoli operativi rivisti in funzione delle mutate condizioni di lavoro: al capo gerarchico si affiancano, con pari valenza, figure specialistiche nel governo dei processi e si incomincia ad aver coscienza che l’azienda vive come un organismo ed ogni suo organo è fondamentale per la sua crescita. Il salto epocale e qualitativo del modo di lavorare deriva dal riconoscimento della condizione di discrezionalità dell’operaio, che non si limita ad eseguire, ma anzi è chiamato a intervenire in modo attivo nel governo del processo. L’operatore si evolve in conduttore di sistemi complessi ed è responsabilizzato sul controllo delle derive qualitative del processo ed alla prevenzione dei guasti e dei difetti.

Modello giapponese

Negli anni Cinquanta e Sessanta prende corpo il modello di produzione giapponese, espresso appunto con lo schema e le regole della produzione snella, che, in estrema sintesi, potremmo identificare come quello in grado di produrre con facilità e flessibilità un prodotto di massa, secondo le logiche della produzione artigianale. Il sistema di produzione giapponese, nato e sviluppato negli anni sessanta nelle fabbriche Toyota, parte dal modello americano di produzione di massa, ma, invece che produrre grandi lotti di prodotto con necessità di scorte notevoli, punta sui piccoli lotti: in questo modo produce scorte minime e reagisce in tempi rapidi alla mutazione delle richieste di mercato. Uno studio condotto dal MIT (Massachussets Institute of Technology) di Boston, alla fine degli anni Ottanta, mise in evidenza come le industrie automobilistiche giapponesi riuscissero a produrre con minori spese rispetto alle concorrenti americane ed europee. Lo studio inoltre dimostrò che il successo dell’industria giapponese era stato possibile grazie ad un nuovo sistema di concepire i processi aziendali, definito appunto “Lean”, cioè snello. Il principio “Lean thinking” (pensiero snello), finalizzato alla caccia ed alla eliminazione degli sprechi che rallentano i processi aziendali, aumentandone i costi sia diretti che indotti, è applicato alla gestione della produzione, per nasce il termine “Lean production”.

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Dal termine in lingua inglese derivano poi quelli usati in letteratura tecnica e nel gergo delle aziende italiane, quali “produzione snella” e “fabbrica snella”. In modo molto sintetico, ma significativo, è possibile affermare che la principale novità del sistema di produzione snella consiste nel coinvolgimento di tutto il personale nell’attività di produzione e manutenzione degli impianti. Il sistema di gestione aziendale moderno si struttura per essere in grado di ridurre tutti i possibili sprechi e tendere costantemente all’obiettivo di fornire un prodotto in grado di soddisfare le aspettative del cliente. La scelta della struttura gerarchica deve permettere di spostare il potere decisionale al livello più basso possibile: per riuscirci bisogna però fornire agli operativi gli strumenti idonei per poter progettare ed attuare le decisioni. Per poter ottenere il risultato del pieno ed effettivo coinvolgimento delle risorse umane è necessario modificare la struttura organizzativa ed i livelli di responsabilità dei vari livelli gerarchici, adottando nuove metodologie e procedure operative. Anche dal punto di vista tecnologico e metodologico si assiste all’avvento di strumenti nuovi come i sistemi gestionali informatici, l’automazione dei cicli di produzione programmabili ed adattabili ai diversi lotti attraverso i quali si concretizza la possibilità di rendere flessibile la produzione e ridurre i costi di produzione .

Lean Production

I comportamenti legati al modello gerarchico-funzionale di origine tayloristica prevedono un flusso verticale dei problemi operativi e delle fasi decisionali, che si sviluppano lungo la gerarchia dell’organizzazione, rigidamente strutturata per funzioni. Nella fabbrica tradizionale viene privilegiata la logica funzionale, per cui ogni reparto od ufficio tende a raggiungere il massimo dei propri obiettivi, dando per implicita l’ottimizzazione degli obiettivi generali dell’azienda. L’esperienza di molti gruppi industriali, specialmente quelli di grandi dimensioni, ha ampiamente dimostrato che questa situazione è difficilmente realizzabile: risultati apprezzabili si ottengono solo a costo di complesse e faticose opere di mediazione, ma nella maggior parte dei casi la stessa struttura gerarchica tende per sua natura a nascondere le inefficienze del sistema. Infatti, nella scala meritocratica di valutazione dei risultati di un responsabile di funzione, il raggiungimento dell’obiettivo dell’ente o del reparto assegnato ha sempre una valenza maggiore rispetto a quello globale aziendale: pertanto, anche in caso di risultati generali non positivi, sarà comunque premiante per un manager il raggiungimento degli obiettivi particolari rispetto a quelli generali prefissati, ottenuti magari a discapito di altre funzioni aziendali. La rappresentazione grafica della struttura tradizionali assume un aspetto ramificato e distribuito su molti livelli gerarchici. Nell’ambito produttivo, ancor oggi si riscontrano (ma sono in calo) situazioni di competizione e contrapposizione fra produzione e manutenzione, con la prima interessata a produrre ad ogni costo e l’altra costretta a rincorrere guasti sempre più frequenti ed onerosi: è un circolo vizioso che porta a conseguenze pesanti per i costi diretti e indiretti derivanti, non più accettabili specialmente per aziende che operino in mercati altamente competitivi. L’avvento della Lean Production rappresenta un vero e proprio salto di qualità nel governo dei sistemi produttivi: la traduzione organizzativa del principio della produzione snella è nella abolizione delle funzioni concorrenti. In fabbrica chi produce ha anche la responsabilità di mantenere efficienti i mezzi dedicati alla produzione: in questo modo al responsabile della fabbrica snella riferiscono sia i reparti produttivi sia la manutenzione, che avranno quindi gli stessi obiettivi di qualità, produttività e livello di servizio. Nella fabbrica snella l’attenzione viene rivolta ai processi: struttura organizzativa, disposizione degli impianti e responsabilità del personale si adeguano alla nuova mappa, sia logica che fisica, dei processi produttivi identificati all’interno di una sito produttivo.

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Tale situazione porta il vantaggio di annullare gli interessi partigiani delle singole funzioni, in quanto queste concorrono alla realizzazione del prodotto con stessi obiettivi, seppure con diverse competenze. La logica del nuovo modello organizzativo permette di rendere più semplici sistemi produttivi complessi, puntando sulla mobilitazione di tutti e nell’abolizione della tradizionale distinzione fra chi pensa e chi esegue, con il conseguente spreco di intelligenza. I problemi devono essere risolti là dove si generano e dalle persone che, avendoli scoperti ed evidenziati, hanno pure le competenze per risolverli. Infatti le persone interessate alla fabbricazione di un prodotto, siano operativi di produzione oppure tecnici, lavorano in prossimità del luogo ove il prodotto si genera, così come tutte le attrezzature necessarie alla sua realizzazione sono dislocate nelle immediate vicinanze. Termini come coinvolgimento, motivazione e delega decisionale ed operativa prendono valore e diventano capisaldi gestionali del nuovo modello. L’organizzazione si preoccupa che le idee propositive vengano raccolte e che le persone siano stimolate a partecipare alle attività di miglioramento. Nella struttura di produzione snella le funzioni mettono direttamente a disposizione del processo di fabbricazione le loro risorse, delegandole alla prevenzione e soluzione dei problemi e alla gestione del flusso produttivo. Tale delega viene esercitata attraverso l’attività di piccoli gruppi di lavoro, coordinati da figure aventi il compito preciso di facilitare lo scambio di informazioni e competenze all’interno di esso, stimolando la collaborazione delle persone partecipanti, indipendentemente da livelli gerarchici e funzioni rappresentati.

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La delega decisionale permette di lavorare con un gruppo ridotto di livelli gerarchici, solo quelli che rispondono ad una effettiva esigenza di gestione. Ne consegue un reale allargamento delle aree di responsabilità dei partecipanti ed un arricchimento di contenuti professionali. La fabbrica snella è la risposta in termini di struttura operativa al nuovo modello produttivo; essa è rappresentata da un organismo costituito da varie piccole unità produttive, dette anche mini fabbriche, in cui si ritrovano applicati i principi organizzativi e le linee guida della produzione snella, riassumibili in:

  • coinvolgimento del personale;
  • creazione di gruppi di lavoro multifunzionali;
  • identificazione ed eliminazione degli sprechi;
  • adozione delle tecniche giapponesi di gestione della produzione;
  • adozione del miglioramento continuo.

La mini fabbrica costituisce perciò la cellula organizzativa di base della fabbrica snella, capace di presidiare gli obiettivi di qualità, servizio e costi di un segmento produttivo ed ha le caratteristiche di una fabbrica in miniatura. In essa si governano i fattori fondamentali della produzione:

  • prodotto/processo (quantità e qualità);
  • mezzi tecnologici di produzione (manutenzione);
  • risorse umane (addestramento);
  • flusso dei materiali prodotti, movimentati, immagazzinati (logistica);
  • costi di trasformazione legati a macchine e tipologie di prodotto;
  • sicurezza e ambiente.

Quali sono gli elementi che caratterizzano ed identificano una mini fabbrica?

  • Innanzi tutto essa coincide con un processo, in cui sono definite le specifiche di scambio (input-output) con i fornitori a monte ed i clienti a valle (le altre mini fabbriche).
  • Per essa è definito e misurabile il valore aggiunto attraverso indicatori prestazionali, detti KPI (Key Performance Indicator), attraverso i quali la mini fabbrica misura, valuta e governa le proprie prestazioni nei confronti dei clienti a valle.
  • Generalmente la mini fabbrica è caratterizzata da omogeneità tecnologica, utile per facilitarne l’autonomia nella sua gestione tecnica.
  • Infine, ha dimensioni gestibili a vista dal suo responsabile.

La mini fabbrica riproduce in piccolo i principi visti per il modello della fabbrica snella. Il concetto di unità produttiva elementare è stato interpretato in modo differente a seconda delle realtà in cui se ne è applicato il modello. In generale però la mini fabbrica deve essere un’entità di piccole dimensioni, semplice da gestire, compatta e ben definita in termini di prodotti e processi, organico e disposizione degli impianti.

Conclusioni

Lo scenario in cui operano i settori industriali ha visto aumentare in modo rapido la complessità delle relazioni fra le variabili in gioco, soprattutto a causa degli andamenti altalenanti delle principali economie, caratterizzate da crescente esasperazione della competitività e conseguente nervosismo. La globalizzazione degli effetti di eventi, purtroppo e spesso tragici, segnano in modo pesante la vita della gente comune e ne condizionano reazioni e progetti per il futuro. I mercati subiscono forti oscillazioni della domanda. In situazioni di estrema variabilità è molto difficile prevedere il futuro anche immediato: nel contempo il mercato rimane sempre più selettivo, con maggiori aspettative sulla qualità del prodotto e del servizio reso ed ancor più sul rapporto qualità/prezzo di vendita. Il consumatore diventa a pieno titolo il vero padrone del mercato: ne determina la quantità e la qualità, spingendo il produttore ad una risposta caratterizzata da una forte innovazione progettuale e tecnologica, dal miglioramento del servizio al cliente e dalla riduzione del prezzo di vendita. Il modello di produzione giapponese è ormai riconosciuto come quello in grado di produrre con facilità e flessibilità un prodotto di massa, con le caratteristiche qualitative della buona produzione artigianale.

Industria 4.0: notizie estive

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Fabbricadigitale – Open innovation campus

Un open innovation campus di provincia, sulle rive del Po, dove non esistono barriere e tutti possono contribuire allo sviluppo di idee innovative all’insegna di una vera contaminazione. E’ lo spazio di Fabbricadigitale, azienda IT specializzata in soluzioni software per il mondo cloud e multimediale, inaugurato nel 2016 a Casalmaggiore (Cremona) e in arrivo anche a Milano.

“All’interno della nostra azienda abbiamo creato un’area di circa 400 metri quadrati aperta a chiunque, con lo scopo di dar vita a momenti di confronto nella direzione dell’open innovation”, ovvero quella “nuova modalità di cambiare i processi innovativi delle aziende, grazie alla quale tutti possono concorrere allo sviluppo delle idee, anche chi sulla carta sembra il meno adatto per farlo”. Fabbricadigitale, ad esempio, sta portando avanti un’idea di startup nata da un boscaiolo della zona, il quale “normalmente non sarebbe stato ascoltato, perché non è laureato alla Bocconi o al Politecnico”, sottolinea Francesco Meneghetti, Ceo dell’azienda Fabbricadigitale, spiegando che l’open innovation “ha anche un ruolo sociale”. Il Ceo annuncia poi l’apertura, per fine settembre, dell’open innovation campus Milano, in zona Darsena, che funzionerà un po’ allo stesso modo.

“Milano è un luogo più sfidante dal quale possiamo portare a a casa grandi risultati”. All’open innovation Campus di Casalmaggiore si accede scaricando una App dedicata, che apre le porte della struttura, senza bisogno delle chiavi, e consente di accendere e spegnere le luci, oppure di scegliere il colore della luce della propria postazione di lavoro. Uno spazio completamente free che organizza momenti di confronto e di formazione, incontri di consulenza e offre un’area di coworking. Tra le attività, “incontriamo gli imprenditori e individuiamo insieme a loro, con il metodo dell’open innovation, gli interventi di innovazione più adatti alle esigenze della loro azienda”.(ANSA).

Marazzi Group – Industria Ceramica

Si racconta che nel 1935 Filippo Marazzi costruì il primo impianto produttivo della sua azienda di Sassuolo usando come struttura due file parallele di pioppi, fondando così quella che sarà definita la “fabbrica di cartone”, per la provvisorietà della sua struttura. Oggi Marazzi è il più noto marchio di piastrelle in ceramica ed è un simbolo del Made in Italy nel settore dell’arredamento e del design.

L’azienda ha sempre investito in nuove tecnologie, a partire dai ‘forni a tunnel’ nei primi anni ’50, arrivando oggi a ideare una chat che facilita l’accesso alle informazioni aziendali, come la disponibilità di magazzino, la merce consegnata giornalmente, lo stato di avanzamento della produzione, i dati dei clienti. Marazzi Bot è una app che permette di inviare in chat richieste attraverso il proprio smartphone e ricevere una risposta rapida e adeguata. In pratica si configura come alternativa alla consultazione di database, Intranet e altri canali aziendali, velocizzando i tempi. Si può dire che Marazzi abbia fatto la storia della ceramica moderna realizzando innovazioni tecnologiche, di processo e di design nel settore delle piastrelle.

Dalla prima collaborazione tra sarti dell’alta moda e la ceramica negli anni ’70 alla Torre Arcobaleno di Milano, Marazzi è intervenuta anche nella metropolitana di Roma. L’azienda è rimasta a conduzione familiare fino al 2013, quando è entrata a far parte Mohawk Industries, principale produttore mondiale nel settore del flooring quotato alla Borsa di New York. (ANSA)

LinUp glasses – occhiali con videocamera

Si chiamano LinUp glasses e sono degli occhiali dotati di una videocamera Hd che ha la possibilità di immagazzinare immagini e filmati e di trasmetterli a distanza. Gli occhiali 4.0 sono prodotti dalla società LinUp, una startup fondata nel 2015 con una compagine sociale composta da tre soci.

La società, grazie alle sue soluzioni innovative, nel giro di un anno ha raddoppiato il portafoglio ordini. I LinUp glasses sono degli occhiali che, attraverso una telecamera, riprendono tutte le operazioni di lavoro che poi vengono inviate e condivise tramite uno smartphone che fa da ponte. In questo modo, chi si trova alle prese con un intervento di manutenzione può ricevere assistenza a distanza, guidato da uno specialista, il quale può verificare in tempo reale se l’operazione sta procedendo correttamente e intervenire con istruzioni vocali o manuali e schemi di progettazione. Si tratta di una tecnologia (Linup Maint) creata con lo scopo di migliorare e semplificare gli interventi di manutenzione che azzera i costi di intervento, riduce i tempi di un guasto e fornisce un supporto in tempo reale a distanza.

Uno dei fondatori di LinUp ha evidenziato che nell’era dell’industria 4.0 le piccole e medie imprese hanno “l’obbligo di ottimizzare il sistema produttivo attraverso la riduzione di tempi e costi. LinUp ha creato un sistema integrato hardware e software che consente di introdurre nelle piccole e medie imprese concetti, metodologie e strumenti di analisi del processo produttivo utilizzati fino ad ora esclusivamente dalle grandi aziende”. In particolare, l’azienda napoletana ha automatizzato le analisi acquisendo i dati da strumenti che vengono indossati dagli operatori stessi senza interferire sulle attività in corso; creato un software che memorizza ed analizza tutte le attività in corso degli operatori negli ambienti produttivi; sviluppato algoritmi per creare una mappa degli sprechi e per visualizzarli in modo semplice ed intuitivo; sviluppato sensori in grado di monitorare e garantire l’ergonomia del posto di lavoro; ridotto al minimo l’intervento del consulente esterno; creato moduli formativi delle risorse dell’azienda per renderle autonome. (ANSA)

Mandelli Sistemi – Centri di lavoro CNC

Una storia lunga 80 anni, focalizzata sull’innovazione, ha trasformato una piccola e media impresa piacentina in una delle principali aziende italiane per la produzione di macchine utensili. E’ la Mandelli Sistemi, fondata nel 1932 da Renato Mandelli, entrata nel gruppo Riello Sistemi nel 2000 e presente nell’Industria 4.0 con “i-Pum@suite4.0”.

“Grazie a questo innovativo pacchetto – spiega il project manager della ditta, Riccardo Daverio – siamo in grado di aiutare le imprese ad ottimizzare l’uso di un centro di lavoro rappresentando un significativo passo in avanti nella direzione della fabbrica intelligente”. Il pacchetto consiste nell’arricchimento della sensoristica di macchina, finalizzata alla raccolta dei dati e alla dotazione di strumenti di trasmissione dati “real time”.

In questo modo è possibile condividerli e monitorarli telemetricamente da remoto. Questi strumenti, oltre a massimizzare l’efficienza del singolo mezzo produttivo, in quanto riducono il tempo di fermo grazie a strategie di manutenzione predittiva (Big Data Analytics) e di realtà aumentata, renderanno possibile una maggiore conoscenza della macchina in modo da utilizzarla in maniera ottimale. Mandelli Sistemi fa parte delle aziende portate che Smau ha raccontato nel suo roadshow e che porterà sul palcoscenico della prossima edizione autunnale a Milano, dal 24 al 26 ottobre. (ANSA)

Polo Meccatronica di Rovereto

Su un’area sconfinata, dove fino a 100 anni fa non c’era altro che campagna, e il primo insediamento produttivo arrivò nel 1925 con il cotonificio Pirelli, sorge il Polo Meccatronica di Rovereto, uno spazio di oltre 17 mila metri quadrati in cui impresa, ricerca e formazione si incontrano e producono innovazione. Voluto dalla Provincia di Trento, il progetto è in continua evoluzione e nel giro di cinque anni ospiterà anche il mondo della scuola portando gli studenti vicino alle imprese. Negli spazi di Polo Meccatronica, quest’anno è nato il più avanzato laboratorio d’Italia per i prototipi meccatronici, ‘Prom Facility’, grazie alla collaborazione tra Provincia di Trento, Trentino Sviluppo, Universtià degli Studi di Trento, Confindustria Trento e Fondazione Bruno Kessler. Frutto di un investimento di circa 6 milioni di euro (principalmente finanziamenti europei), il laboratorio punta a coinvolgere startup e pmi, oltre ai ricercatori, nel processo produttivo del prototipo, in uno spazio aperto e di contaminazione, che si sviluppa su 1.500 metri quadrati ed è pieno di tecnologie all’avanguardia, come stampanti e scanner 3D, macchine al taglio laser e utensili per lavorazioni additive e sottrattive. Un progetto che mira anche “ad avvicinare i ricercatori all’impresa, con la possibilità di creare nuovi posti di lavoro ad alta specializzazione su esigenze direttamente stimolate dalle aziende”, spiega il direttore di Prom Facility, Paolo Gregori. Il prossimo anno è previsto un ampliamento degli spazi produttivi con la costruzione di un edificio di circa 6 mila metri quadrati destinato a laboratori e centri di ricerca, mentre nel 2022 ci sarà spazio anche per la collaborazione tra scuola e impresa. Nel corpo centrale del polo di Meccatronica troveranno spazio le nuove sedi dell’Istituto tecnico tecnologico “G. Marconi” e del Centro di Formazione Professionale “G. Veronesi” di Rovereto, per un totale di circa 1.400 studenti, più docenti, personale tecnico e amministrativo. Le scuole saranno vicine al mondo dell’impresa con laboratori di produzione e isole di apprendimento dedicate, e con strumenti multimediali d’avanguardia. (ANSA)

Tecnest – sw ed applicazioni web, collaborative e smart per l’industria.

Una sera d’estate, nel lontano 1987, quando l’informatica era qualcosa per pochi, quattro ingegneri si presentarono davanti al notaio per dar vita ad un’azienda che avrebbe anticipato il futuro della fabbrica 4.0. Si chiama Tecnest, viene dalla provincia di Udine e realizza soluzioni software per dare ritmo alla fabbrica: consegnare in tempo, ridurre gli sprechi, ottimizzare i processi di produzione e della supply chain.

Tutto ebbe inizio da un’intuizione – spiega il presidente di Tecnest, Fabio Pettarin, socio fondatore insieme a Mario Chientaroli: “nella nostra precedente esperienza in Zanussi ci eravamo accorti che le piccole e medie imprese, quelle che hanno sempre rappresentato l’ossatura economica dell’Italia, non venivano considerate quando si parlava di gestione e controllo della produzione. Abbiamo così deciso di mettere a disposizione delle realtà più piccole del settore manifatturiero l’innovazione e la tecnologia”. Questo progetto ha dato vita ad “uno dei primi software di schedulazione della produzione in Italia” che si è trasformato in un pacchetto completo per tutti i processi di produzione, arrivando di recente al lancio di soluzioni integrate per l’Industry 4.0. Si tratta di nuove applicazioni web, collaborative e smart che consentono di ottimizzare i processi di produzione e di mettere in comunicazione sistemi, macchine e persone.

“L’innovazione chiama innovazione ed è per questo che dopo essere cresciuti per 30 anni, continuiamo ancora a crescere”, afferma Pettarin. Oggi “l’industria 4.0 ha dato un nuovo impulso al settore” perché “non si tratta esclusivamente di fornire un software e accompagnare le aziende verso i loro obiettivi strategici, ma di mettere in campo un progetto dove la componente di know-how fa la differenza”. Partendo da un produttore di sedie, il primo cliente di Tecnest, le sue soluzioni coinvolgono ormai aziende manifatturiere di diversi settori e dimensioni, in tutta Italia e all’estero. Dalla vicentina, Ompar, che produce macchinari per l’industria orafa si passa al trucco hi-tech di Mascara Plus Cosmetics, fino al fashion con l’azienda 2M del gruppo Calzedonia. Inoltre, l’organico di Tecnest si è ampliato raggiungendo i 50 dipendenti, la sede si è ammodernata, trasferendosi a Tavagnacco, dopo aver aperto anche una filiale a Cinisello Balsamo (Milano). (ANSA)

Fomar Stamp CNC

Quarant’anni di innovazione e cambiamenti senza mai trascurare il ruolo dei lavoratori in azienda. E’ questa la filosofia dei due soci della Fomar Stamp, Egidio Martinolini e Clemente Fontana, che hanno realizzato nella loro azienda dei centri di lavoro di ultima generazione guardando alle tecnologie di ultima generazione ed al 4.0.

Fontana nel 1974, all’età di 29 anni ed al termine della scuola serale di disegno, fonda a Mesenzana (Varese) la Fomar Stamp. Dopo alcuni anni vengono inseriti in azienda le prime macchine a impostazione numerica. Oggi tutta la produzione è incentrata su apparecchiature ad alto contenuto tecnologico e digitale. La Fomar Stamp è specializzata nella progettazione e costruzione di stampi (stampi tradizionali – bicomponente e tricomponente) in materie plastiche, gomma, bachelite e leghe leggere per industrie elettriche, elettromeccaniche, automobilistiche, cosmetiche, sanitarie, medicale ed alimentari. La qualità è “l’obbiettivo assoluto – affermano in azienda – a cui mirano le maestranze della Fomar Stamp. Per produrre attrezzature di ottima qualità, accanto all’esperienza e capacità individuali, sono indispensabili macchinari moderni e di precisione, di cui disponiamo”. (ANSA)

ComoNext – Innovation Hub

Un ex cotonificio di fine Ottocento a Lomazzo (Como) diventa la porta d’ingresso per il futuro dell’impresa 4.0 e fucina di idee innovative: 120 aziende mature e startup, 600 impiegati, i knowledge workers, che quotidianamente lavorano sulle tematiche del cambiamento, dell’industria 4.0 e della trasformazione digitale, sono a disposizione delle pmi italiane per lo sviluppo di progetti competitivi. E’ la storia tutta italiana di una riqualificazione territoriale che ha dato vita, lì dove sorgeva un’area industriale, ad un Innovation Hub: ComNext, simbolo di un vero modello di open innovation. “Insieme agli stakeholder del territorio, Camera di Commercio, associazioni di categoria, mondo delle università e dei capitali, abbiamo costruito un patto di sistema, che abbiamo chiamato la next innovation, ovvero un percorso metodico di trasformazione digitale delle imprese in chiave 4.0”, spiega il direttore generale di ComoNext, Stefano Soliano, sottolineando la necessità di un cambiamento di mentalità degli imprenditori verso “una visione digitale dell’impresa”, perché “le pmi italiane hanno un gap culturale ancora da colmare”. Il piano nazionale del governo “è un meccanismo che funziona bene e c’è da sperare che il limite temporale venga esteso, dal momento che è un fortissimo volano”. Nell’Innovation Hub di Lomazzo si lavora per accompagnare le imprese lungo il cammino della quarta rivoluzione industriale, attraverso una consulenza ad hoc costruita in base alle specifiche esigenze di ognuno. In particolare, con il percorso “Innovation Ramp-up”, l’imprenditore viene accompagnato per quattro mezze giornate nel Parco scientifico tecnologico alla scoperta di un “mondo cambiato”, attraverso visite alle imprese innovative, business games e lezioni frontali. Nella fase successiva, gli esperti di ComoNext vanno nella sua azienda per capire i possibili interventi di trasformazione digitale, finché lui diventa pronto per affrontare il cambiamento e realizzare il suo progetto innovativo. Un percorso, sostenuto da Camera di Commercio di Como, Unindustria e Confartigianato Como con un tesoretto di 180 mila euro, che “ha la finalità di creare awareness per far capire che serve cambiare – afferma Soliano -. Noi andiamo nelle aziende e le aiutiamo a identificare le aree che necessitano del cambiamento”. Il direttore annuncia poi un nuovo progetto allo studio che prevede la realizzazione di “un dimostratore di Industria 4.0 all’interno del parco di Lomazzo, per far toccare con mano un esempio di fabbrica 4.0 e offrire un laboratorio di idee”. “Stiamo lavorando con altri poli tecnologici e l’idea è di estenderlo anche al centro-sud Italia. Credo possa rapidamente diventare un progetto di interesse nazionale”. ComoNext è nato nel 2010 su iniziativa della Camera di Commercio di Como, che oggi è il socio principale, seguito dal Comune di Lomazzo, la Fondazione Politecnico di Milano, Unindustria Como e diversi Istituti di credito. (ANSA)

Convegno CICPND MONITORAGGIO DI IMPIANTI INDUSTRIALI E OPERE INFRASTRUTTURALI

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Segnaliamo il Convegno organizzato dal CICPND, dal titolo MONITORAGGIO DI IMPIANTI INDUSTRIALI E OPERE INFRASTRUTTURALI che si terrà a Rimini Mercoledì 4 ottobre 2017, presso i laboratori ENEA C.R. Casaccia, Santa Maria Galeria, di cui alleghiamo il depliant informativo.
La partecipazione è gratuita per i Soci di CICPND Associazione: la partecipazione al Convegno è riservata ad un numero massimo di 70 partecipanti,  ed è consigliato di porvvedere all’iscrizione entro il 27/09/2017.
RingraziandoVi per l’attenzione, Vi porgiamo cordiali saluti.

CICPND Associazione
Via C. Pisacane, 46
20025 Legnano MI
Tel: +039 0331-545600
Fax: +039 0331-543030
E-mail: info@cicpnd.it
Sito: www.cicpnd.it

I ricambi di manutenzione

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I beni strumentali che utilizziamo per erogare servizi per fabbricare prodotti, sono costituiti da componenti che col tempo perdono la loro funzionalità per varie ragioni: rottura, usura, corrosione, decomposizione, etc.. Ciò causa la necessità di sostituire tali componenti affinché i beni stessi possono continuare a compiere le loro missioni, cioè le funzioni per cui sono stati costruiti e acquistati.

Alcuni di tali beni sono molto semplici strutturalmente e anche economici, cosicché non è convenienza a ripararli, essi vengono per questo denominati: componenti “non riparabili”. La maggior parte però dei beni strumentali sono assai complessi e costosi, per cui sarebbe impensabile non ripararli, quando funzionamento in modo anomalo o addirittura sono guasti e non funzionano affatto

Sorge così la duplice necessità di poter intervenire con risorse di vario genere (umane, materiali economiche) per poter riportare alle condizioni di funzionamento il bene che non lo è più.. Evidentemente la funzione che presiede quest’attività di riparazione è la manutenzione, la quale però deve poter contare su componenti disponibili per rimpiazzare quelli che si sono guastati a bordo del bene strumentale.

Le attività basilari

In questo articolo non ci occupiamo però della manutenzione, ma di tutto ciò che riguarda la gestione dei componenti detti comunemente ricambi e più precisamente materiali tecnici; con questo termine s’intendono oltre ai ricambi, anche altri prodotti che non sono deputati alla sostituzione, bensì sono di supporto al buon funzionamento degli impianti (lubrificamiti, decapanti, collanti, etc.). Provvedere alla disponibilità di materiali tecnici significa occuparsi di un processo dalle caratteristiche eminentemente logistiche, tuttavia nell’ambito aziendale non è sempre la logistica che si occupa dell’approvvigionamento e della gestione di tale materiale di ricambio; a seconda dell’organizzazione aziendale assegna questo in carico alla manutenzione, acquisti, produzione oppure costituisce una funzione ad hoc.

Entrando più nel vivo della disciplina: materiali tecnici per la manutenzione, occorre considerare le attività fondamentali in cui si decompone il processo che rende disponibili i ricambi al momento e nel luogo opportuni.

Occorrerà per esempio dotarsi di un sistema di codifica con cui poter associare una sigla a ciascun componente fisico, che permetta di denotarne le caratteristiche salienti, la sua ubicazione all’interno del magazzino e altri dati di carattere tecnico gestionale. Fondamentale è la scelta dei materiali da tenere magazzino, per questo scopo occorre considerare quali siano i guasti potenziali la cui riparazione comporti la sostituzione della componentistica. A tal fine giova riferirsi allo storico dei consumi di ricambi già presenti in azienda, qualora effettivamente l’azienda abbia già una storia di ricambi di manutenzione. Nel caso più generale, si rende necessario analizzare, ad esempio col metodo FMECA, le anomalie potenziali del mezzo di lavoro che comportano l’utilizzo di ricambistica.

Proseguendo con l’analisi del nostro processo riscontriamo la necessità d’individuare una rosa di fornitori potenziali di materiali e di stabilire con essi un sistema solido di contrattualistica che ne regoli i rapporti commerciali. Proseguendo ulteriormente compare il ricevimento dei materiali dall’esterno, sui quali è bene effettuare un controllo, quantomeno visivo ma ancora meglio se documentale o, se del caso, addirittura un collaudo (per collaudo s’intende una prova funzionale). A questo punto il ricambio è giunto a magazzino per cui necessita poterlo gestire cioè sistemarlo su apposita scaffalatura e curarlo nel tempo, affinché non degeneri per il semplice motivo che si trova a magazzino, ma anche poterlo poi fornire al manutentore nel momento in cui questo lo richieda, siamo quindi nella fase di gestione operativa di ricambi di magazzino. Poiché, come già detto, i materiali tecnici hanno un’implicazione non solo tecnica ma anche amministrativa, non bisogna dimenticare di mettere a punto quell’insieme di norme e comportamenti che permettono la gestione amministrativa del magazzino. A questo riguardo intervengono anche leggi dello stato e pertanto concetti di natura tipicamente fiscale e finanziaria.

Vista l’importanza della materia, già alcuni anni l’UNI si occupò della materia e in seno alla propria Commissione Manutenzione, venne emanata una norma specifica, suddivisa in sei parti, si tratta della norma UNI 10749 Guida per la gestione dei materiali per la manutenzione.

Come sempre la norma non ha l’unicità e la coerenza del testo scritto da un unico autore, per contro gode del beneficio che deriva dalla fusione di esperienze maturate in comparti aziendali di natura diversa.

Tale norma è composta da sei parti, ciascuna con la propria specifica definizione:

  1. Aspetti generali e problematiche organizzative
  2. Criteri di classificazione, codifica e unificazione
  3. Criteri per la selezione dei materiali da gestire
  4. Criteri di gestione operativa
  5. Criteri di acquisizione, controllo e collaudo
  6. Criteri amministrativi

Sin qui abbiamo parlato dei materiali tecnici indipendentemente dalla politica manutentiva prescelta dall’azienda, con questo si intende dire che quanto sopra descritto è indipendente da politiche manutentive quali: Reliability Centered Maintenance, Total Productive Maintenance od altro ancora. E’ bene a questo punto menzionare che, per esempio, la Total Productive Maintenance considera a fondo il magazzino ricambi, per esempio proponendo l’applicazione delle cinque S per ottenere un magazzino ordinato e snello, in modo che il capitale circolante ad esso associato (il cosiddetto immobilizzo) sia il più contenuto possibile e al tempo stesso la fruizione dei ricambi sia esaustiva, rapida e ordinata.

Nascono così due esigenze tra loro in conflitto cioè quella di avere poco capitale congelato nel magazzino e molta disponibilità di ricambi al momento opportuno. Una serie di indicatori specifici, anche questi trattati in una specifica norma, la UNI , permettono di avere una chiara visione del processo e di mantenere sotto controllo queste due esigenze tra loro contrastanti.

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Sul piano puramente economico occorre considerare che il costo che grava sul magazzino non è unicamente quello di acquisto dei materiali ivi contenuti; ma anche quelli necessari alla immancabile gestione e conservazione degli stessi, cioè il fatto che occuperanno uno spazio che sarà in una zona per definita, riscaldata, illuminata e sarà anche oggetto di una gestione di tipo informatizzato. Si capisce così facilmente che il costo della gestione del magazzino è costituito da vari fattori gravanti sul costo complessivo di ciascun ricambio.

Qualche strumento

Vi sono due approcci fondamentalmente diversi di gestire la ricambistica. Osserviamo innanzitutto che ciò di cui serve disporre è il ricambio al momento in cui occorre eseguire una sostituzione di un componente, in seguito a un guasto o a un intervento preventivo. Questa considerazione ci porta a concludere che i materiali tecnici non debbono necessariamente essere di proprietà dell’azienda prima dell’evento di sostituzione. In altre parole sarebbe sufficiente acquistarlo prima di utilizzarlo, anziché acquistarlo per tenerlo a magazzino (in gergo ”a scorta”). In effetti le due alternative di gestione sono: a scorta (stoccaggio a magazzino) e a fabbisogno (acquisto a ridosso del momento previsto d’impiego). La scelta tra tali alternative attiene alla politica aziendale e alla ricerca dell’ottimo economico. Nella pratica ambedue le gestioni convivono e sono legate a sua volta alle politiche manutentive nel seguente modo:

manutenzione a guasto  >    prevede gestione a scorta

manutenzione preventiva   >   permette gestione a fabbisogno.

La gestione a scorta risulta solitamente la più impegnativa e onerosa, ma è irrinunciabile per fronteggiare il guasto imprevisto che richiede una immediata riparazione.

Miglioramento continuo

La gestione a scorta deve essere oggetto di miglioramento continuo, teso a contenere i costi gravanti sul magazzino. Uno strumento utile per orientare il miglioramento è l’analisi di Pareto applicata alla numerosità (o al valore) dei ricambi per ciascuna tipologia. Il risultato di questo studio è una costante, indipendente dal tipo di azienda; si perviene sempre a una curva, la cumulata della numerosità (o del valore) dei ricambi per tipologia come illustrata in figura. Risulta semplice suddividere tale curva in tre parti:

A – ricambi che esprimono il 80% della giacenza (quantità di oggetti fisicamente presenti a magazzino)

B – ricambi che esprimono il 10% della giacenza tra 80% e 90%

C – ricambi che esprimono il 10% della giacenza tra 90% e 100%.

Si ottengono così indicazioni sulle voci di cui ridurne la numerosità, quelle del segmento A.

Si può procedere in modo analogo per evidenziare le voci che rappresentano lo 80% dell’immobilizzo.

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La rilevanza finanziaria

Da un punto di vista puramente finanziario il magazzino ricambi è assimilabile a una cassaforte cioè a una riserva, in quanto non si tratta di investimento perché i beni ivi immagazzinati non producono benefici economici ma, servono per garantire la continuità funzionale di mezzi di produzione o servizio. Sorge una domanda: perché la Finanza pubblica si preoccupa del magazzino ricambi? La risposta è alquanto semplice: la costituzione del magazzino potrebbe rappresentare un occultamento di profitti ottenuti dall’azienda, cioè l’azienda potrebbe costituire un tesoro, il magazzino appunto, occultando utili e pertanto non corrispondendo la debita imposta fiscale.

Uno sguardo al futuro

Un punto critico della gestione dei materiali è la corrispondenza della giacenza inventariale reale e quella riportata dal sistema informativo (giacenza contabile). La discordanza tra i due valori non è purtroppo rara nel panorama industriale; ciò comporta perdita di fiducia del sistema informativo e conseguentemente la necessità di ricorrere con maggior frequenza all’aggiornamento dell’inventario. Accade che il tecnico, incaricato di preparare gli interventi preventivi, debba recarsi a magazzino e verificare personalmente la presenza dei ricambi occorrenti, sottraendo a costui tempo prezioso da dedicare ad attività a maggior contenuto (da verifiche eseguite dall’autore si riscontrano sprechi di tempo pari a 1/3 dell’intera giornata lavorativa). La causa della discrepanza tra giacenza effettiva e contabile risiede nella mancanza di una registrazione scrupolosa di prelievi dal magazzino. La contromisura da attuare per contrastare questo problema, consiste nella formazione di coloro che prelevano a magazzino, manutentori in primis, affinché diventino coscienti dell’importanza di una contabilità rigorosa.

Recentemente si affaccia un’altra possibilità per superare l’impasse, la via tecnologica. Essa propone l’uso di etichette RFID (Radio Frequency IDentification) da associare al ricambio corrispondente. In questo modo registrare il prelievo di un componente diventerebbe molto semplice e, in certi casi automatizzabile. Nella fase transitoria, dall’attuale a quella futura RFID, si diffonde sempre più l’uso del codice a barre scritto su etichetta apposita.

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Conclusione

Gestire i materiali tecnici richiede la conoscenza di metodiche precise e complesse, la capacità di interfacciarsi con altre funzioni aziendali. Il magazzino è spesso ritenuto uno strumento non fondamentale, eppure è un tesoro che permette di fronteggiare interruzioni impreviste del servizio principale. Questo tesoro deve essere costantemente monitorato e migliorato, affinché funzioni al meglio, riducendo le perdite per mancata produzione, senza lasciar ingigantire i costi a causa di un eccessivo stoccaggio.

Vocabolario 4.0

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Sui media il termine Industria 4.0 è ormai quasi abusato, citato, più o meno a proposito, da politici e giornalisti, industriali e sindacalisti: è il destino delle sigle o slogan di successo (ricordate TPM, six sigma,…?) … tutti ne parlano, ma quanti le conoscono realmente, magari per averla studiata o per esperienza diretta? Per fortuna il sito ideato e prodotto da Class Editori quattropuntozero.info, sicuramente uno strumento di riferimento per entrare nel clima Industria 4.o, ha ben pensato di curare un utilissimo vocabolario 4.0 che raccoglie i termini che vengono citati nella nuova metodologia. Partiamo quindi dal termine che identifica il nuovo modello industriale.

Industria 4.0

Identifica un’iniziativa dell’industria dell’ automazione tedesca avviata nel 2011 con l’obiettivo di definire una strada maestra per lo sviluppo delle aziende manifatturiere nella Internet age. Una naturale evoluzione basata su un nuovo scenario tecnologico in cui esseri umani, macchine e oggetti per la gestione intelligente dei sistemi sono e saranno sempre più collegati in tempo reale.

Additive Manufacturing

Una serie di processi di fabbricazione additiva che consentono di realizzare oggetti tridimensionali a partire da un modello digitale, depositando progressivamente materiale strato su strato. Si contrappone alle tradizionali tecniche di produzione sottrattiva e rappresenta una vera e propria integrazione tra mondo reale e mondo virtuale.

Augmented Reality

Insieme di fenomeni di arricchimento della percezione sensoriale umana spesso prodotti attraverso elettronica e tecnologie digitali. La persona coinvolta resta a contatto con la realtà fisica, che viene però integrata con informazioni e input aggiuntivi.

Big Data and Smart Data

Una raccolta incredibilmente estesa in termini di volume, velocità e varietà, che comprende dati strutturati e non, la cui estrazione richiede metodi analitici e tecnologie sempre più sofisticate. La sfida attuale consiste nel trasformare i big data in smart data: informazioni intelligenti, nuove e utili, che diano vantaggio competitivo e siano perfettamente fruibili per il cliente.

Cloud Computing and Data Analytics

Insieme delle tecnologie che permettono di elaborare, archiviare e memorizzare dati grazie all’utilizzo di risorse hardware e software distribuite nella rete. Attraverso il loro utilizzo si ottiene una riduzione di costi oltre che un miglioramento dei servizi associati al prodotto.

Cyber Physical System

L’industria 4.0 è la teorizzazione di un paradigma manifatturiero basato sul concetto di Cyber Physical System (CPS), ovvero sistemi informatici in grado di interagire con i sistemi fisici in cui operano; tali sistemi sono dotati di capacità computazionale, di comunicazione e di controllo.

Cyber Security

Insieme di tecnologie, processi e pratiche aventi lo scopo di proteggere gli asset informatici da possibili attacchi esterni o interni che potrebbero provocare danni diretti o indiretti di notevole impatto.

Digital Enterprise

Un’azienda nella quale l’IT assume un ruolo determinante nella definizione della propria strategia di business. Tutti i processi di creazione del valore, fino anche al coinvolgimento dei fornitori, sono rappresentati e gestiti in modo digitale e strettamente interconnessi.

Digitalizzazione

Indica l’utilizzo delle tecnologie digitali per modificare un modello di business e fornire all’impresa opportunità in termini di creazione di valore. In sostanza riassume il processo di transizione verso un business digitale.

IoT e Industrial Internet

Internet connette anche le “cose”. Dispositivi e macchine si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza tanto da poter trasferire in rete dati su se stessi e accedere ad informazioni aggregate da altri. Nella comunicazione, raccogliendo quanto a loro necessario e fornendo quanto disponibile, guadagnano così la possibilità di svolgere alcune attività in modo autonomo.

Meccatronica

Meccanica connessa all’elettronica, uguale meccatronica. In particolar modo rappresenta l’integrazione stretta tra meccanica, elettronica e informatica e dunque l’impiego di sistemi elettronici per controllare il movimento di organi meccanici. Rientrano in questa categoria gli attuatori (regolatori, convertitori e trasformatori di energia) i sensori ed i dispositivi di controllo o regolatori.

Motion Control

È l’insieme delle tecnologie e dei dispositivi che guidano gli strumenti meccanici in movimento, un fattore chiave che influisce sulle prestazioni della macchina. Le soluzioni tecnologiche del motion control permettono di realizzare macchine in cui il coordinamento tra gli organi in movimento è ottenuto tramite sistemi elettronici, anziché tramite i tradizionali sistemi meccanici di distribuzione del moto (ad esempio cinghie o ruote dentate).

Personalizzazione

Le tecnologie IoT renderanno disponibili in tempo reale una grande mole di informazioni sui clienti, per esempio in merito alle modalità di utilizzo/fruizione di prodotti e servizi, dati biometrici, stili di vita, ecc. Sarà quindi possibile definire i bisogni dei clienti eseguendo un targeting spinto dal mercato.

Predictive maintenance system

Si tratta di un sistema che, grazie all’impiego di un hardware specifico, a sensori e ad algoritmi predittivi e con l’impiego di tecnologie abilitanti in ambito IoT (Big data, Cloud computing, Machine Learning), consente di massimizzare l’efficacia delle attività di manutenzione dei clienti, intervenendo da remoto e riducendo fermi macchina e costi di manutenzione.

Reshoring

Si intende la decisione di riportare nel paese di origine dell’azienda le attività produttive in precedenza delocalizzate all’estero (off-shoring). In tal senso, si considerano sia le produzioni svolte all’interno di stabilimenti di proprietà che quelle affidate a fornitori esterni (out-sourcing).

Simulation

Consente di definire la geometria del prodotto e simularne il comportamento nei più svariati modi, senza bisogno di costruire e utilizzare prototipi fisici. Attraverso la realizzazione dei digital twin, o copie digitali, del prodotto un’ampia gamma di varianti possono essere confrontate, testate e valutate. Tutto in modo virtuale.

Time to Market

E’ il tempo necessario per introdurre sul mercato un nuovo prodotto. È un termine molto utilizzato nell’industria 4.0. Infatti, per via della possibilità sempre più avanzata della prototipazione digitale e reale (tramite la stampa 3D) il tempo necessario, dalla sua idea iniziale al momento in cui viene commercializzato, si riduce.

Wearable Technologies

Sono dispositivi e sensori indossabili. Costituiscono un esempio di IoT dal momento che sfanno parte di oggetti fisici (come orologi e braccialetti smart) o “cose” integrati con elettronica, software, sensori e connettività per consentire agli oggetti di raccogliere e scambiare quantità di dati con un produttore, un operatore o altri dispositivi collegati senza richiedere l’intervento umano.

La fabbrica 4.0 – Uomini e robot: lotta di classe?

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Nelle moderne fabbriche si adottano soluzioni per migliorare l’efficienza generale e la qualità costruttiva, fin dai primissimi esemplari prodotti, che in genere scontano maggiori problemi di affidabilità a causa del necessario rodaggio di cui hanno bisogno organizzazione e macchinari prima di entrare a regime. La FCA ad esempio lavora con la Samsung per dotare alcuni operai di smartphone e smartwatch, analoghi a quelli in vendita (cambia solo il software), con l’obiettivo di accorciare i tempi, modernizzare l’intero ciclo produttivo e sgravare gli addetti sulle linee da alcuni carichi di lavoro: per mezzo degli smartwatch potranno convalidare un’operazione da remoto o chiedere l’intervento di un capo area senza doversi per forza recare ogni volta al computer del banco di lavoro. Le FCA e Samsung hanno scelto di utilizzare dispositivi in vendita (e non quelli professionali) perché vengono aggiornati più di frequente e sono molto affidabili.

In questo modo la Fiat Chrysler vuole sviluppare il concetto di fabbrica 4.0, ovvero un posto di lavoro ecosostenibile e tecnologico dove sono migliori i livelli di qualità, efficienza e digitalizzazione rispetto alle fabbriche delle tre precedenti rivoluzioni industriali. Il processo di aggiornamento ai nuovi standard ha coinvolto in particolare la fabbrica laziale di Cassino, rinnovata dopo un investimento nell’ordine degli 1,3 miliardi di euro per ospitare la produzione delle Alfa Romeo Giulia e Stelvio, vetture di prestigio che devono sottostare a vincoli molto rigorosi in termini costruttivi. Oggi la fabbrica è una delle più moderne che la FCA controlla nel mondo: qui alcuni operai lavorano indossando un orologio digitale della Samsung, connesso a una rete wi-fi interna, che permette loro di sveltire alcune operazioni diverse rispetto a quelle più consuetudinarie, dove maggiore è il rischio di sbavature: gli smartwatch sono disponibili nei reparti dove si montano optional come ad esempio il climatizzatore a quattro zone, il collegamento per la tv di bordo e alcuni particolari in materiale composito sulla Giulia Quadrifoglio.

Addio alla carta?

L’utilizzo di smartphone e smartwatch è riservato per adesso a pochi settori, in particolare a quelli dove maggiore è la precisione richiesta negli assemblaggi. L’operaio riceve sullo smartwatch la lista delle operazioni da compiere sul veicolo (differenti a seconda dell’allestimento o del mercato) e una volta completate le registra all’interno di un programma apposito, che rappresenta un’evoluzione in chiave moderna dei faldoni cartacei utilizzati fino a pochi anni fa. L’implementazione di telefoni e smartwatch non è stata ancora definita nei reparti verniciatura e lastratura, dove invece la componente umana ha un rilievo minore, complice il grande lavoro svolto dai robot e dai macchinari. I lavori di ammodernamento svolti a Cassino permettono agli operai di mantenere un tempo medio di 1 minuto per stazione di lavoro, contro i 6 della fabbrica Maserati di Grugliasco. Oggi FCA produce 612 vetture Alfa Romeo al giorno, suddivise fra i nuovissimi modelli Giulia e Stelvio.

Come sarà il mercato del lavoro nei prossimi dieci anni?

Non sono certo pochi gli studi che fanno temere il peggio per il mercato del lavoro: Frey e Osborne, due ricercatori dell’Università di Oxford, hanno infatti stimato che entro il 2040 il 47% dei lavori negli USA sarà svolto da robot. 

Sono invece molto più cauti Arntz, Gregory e Zierahn, che per conto dell’Ocse hanno calcolato che solamente il 9% delle occupazioni dei 21 Paesi più industrializzati del mondo sarebbero effettivamente a rischio per via della automazione. Questa seconda stima è di fatto confermata da uno studio degli analisti di McKinsey, secondo il quale solamente il 5% delle occupazioni odierne può essere effettivamente e completamente automatizzato. Con il progresso tecnologico dei prossimi anni però, come prosegue l’indagine di McKinsey, la percentuale potrebbe salire fino al 49%.

I dati provenienti dagli studi più allarmanti vanno ovviamente a influenzare la visione di molti cittadini, anche in Italia. Stando infatti al rapporto AGI-Censis “Uomini, robot e tasse: il dilemma digitale”, il 37,8% degli italiani è fermamente convinto che la robotizzazione dei processi produttivi non potrà che portare a una riduzione dei posti di lavoro. Il 33,5% degli intervistati sostiene al contrario che i posti di lavoro aumenteranno, mentre il 28,5% del campione pensa che l’automazione non porterà nessun cambiamento sull’ammontare delle opportunità lavorative. “In realtà” sostiene Adami “la progressiva automazione ci mette di fronte, piuttosto che a uno vero stravolgimento del mercato del lavoro, a un necessario cambiamento culturale. In questo senso, le aziende devono investire in un processo di continuo aggiornamento delle competenze dei propri dipendenti”.

La tanto temuta quarta rivoluzione industriale potrebbe dunque essere una opportunità di espansione per il mondo del lavoro “se le aziende saranno in grado di sfruttare razionalmente le nuove tecnologie” ha commentato Adami. “Il risultato più incisivo sarà un benefico miglioramento delle competenze dei lavoratori in fatto di digitalizzazione e di agilità”. A tutto questo va ovviamente aggiunto l’ovvio aumento di ricerca personale in ambito IT, professionisti con le competenze idonee per supportare i business nell’avvio di una produzione in ottica Industry 4.0.

“Come ormai sanno molti direttori HR, in Italia a oggi la ricerca di talenti professionali in grado di avviare un reale processo di cambiamento interno è in molti casi frustrante, in quanto meno del 10% della popolazione possiede delle valide competenze ICT”. Il problema, prosegue Adami, è che “più della metà del mercato del lavoro ha attualmente bisogno di queste figure in grado di supportare il processo di innovazione digitale interno: da qui il ruolo fondamentale delle società di recruiting nella ricerca dei migliori talenti”.

L’Ordine di lavoro nella gestione informatizzata della Manutenzione – parte 2

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La Richiesta/Ordine di Lavoro

Dopo aver realizzato il sistema di riferimento che ci permetterà di emettere ed elaborare la richiesta in questione, entriamo nel vivo della medesima. Segnaliamo innanzitutto che alcuni SW usano l’espressione RdL altri l’espressione OdL, altri entrambe, con significati sequenziali. Vediamo le definizioni UNI, che tengono conto ovviamente di tutti i possibili scenari.

UNI 10147.12.8 – 2003 Richiesta di Lavoro (RdL) : istruzione* con la quale si richiede l’intervento di manutenzione che deve essere fatto.

UNI 10147.12.5 – 2003 Ordine di Lavoro (OdL): istruzione* che attiva l’intervento di manutenzione a seguito di una richiesta di lavoro.

Istruzione*: può essere un documento cartaceo, una richiesta fatta attraverso supporti elettronici oppure richiesta verbale.

Di seguito gli scenari di emissione più diffusi:

  • RdL seguita da OdL. Si utilizza preferenzialmente questa modalità quando la richiesta di lavoro deve essere autorizzata per diventare esecutiva. Tipico ad esempio della manutenzione in regime di Global Service (completamente terziarizzata) o di Service più o meno spinto. Vi sono comunque SW che tracciano d’ufficio coi due passaggi la presa in carico della RdL. La chiusura dell’attività a lavoro eseguito richiede poi i due passaggi a ritroso.
  • Emissione della sola RdL. La tracciatura della presa in carico avviene definendo degli “stati di avanzamento” corrispondenti alle varie fasi di esecuzione del lavoro. E’ il sistema più utilizzato anche perché esiste comunque la possibiltà di inserire la fase di autorizzazione, ma gestione e chiusura sono più snelli.
  • Emissione del solo OdL, che coincide con la RdL di cui sopra. E’ solo una questione di terminologia. Noi sconsigliamo questo scambio di acronimi, in quanto UNI dà due definizioni distinte dei medesimi, che non dovrebbero quindi essere usati l’uno per l’altro. Tuttavia UNI non è cogente.

Chi scrive raccomanda di far riferimento al secondo scenario; questo sia per semplicità sia perché in ogni caso il primo passo per qualificare il “fabbisogno di manutenzione” resta sempre la RdL. Sottolineiamo “primo passo”, perché tutta la filiera del fabbisogno (quantificazione economica e temporale, problematiche e consuntivazione finale) è correlata univocamente alla RdL.

Come emettere la RdL

E’ quanto mai consigliato procedere per gradi o, meglio, per affinamenti successivi. Si raccomanda allo scopo di sviluppare l’Equipment Tree su Aree-Pilota prima di eseguire la mappatura di tutte le Unità Produttive. Le Aree Pilota devono essere rappresentative delle fasi del Processo, in modo da poter “clonare” il più possibile le esperienze fatte sulle medesime. Analoga fase sperimentale è raccomandabile anche per la messa a punto della “maschera” di emissione della RdL, che sarà testata ovviamente sulle Aree-Pilota di cui sopra. Per esperienza di chi scrive, il metodo più semplice consiste nell’utilizzare allo scopo un foglio Excel opportunamente organizzato, nonchè strutturato in modo da poter essere importato con facilità dai SW commerciali “definitivi” più diffusi. Aggiungiamo che la fase sperimentale su Excel di Equipment Tree e maschera di emissione RdL è particolarmente utile per una scelta più consapevole del SW definitivo stesso.

La Figura 2 riporta un’impostazione elaborata dallo scrivente sulla base di esperienze dirette e generalmente utilizzabile in qualsiasi settore merceologico. Se i dati immessi sono completi e veritieri, l’uso dei “filtri” di Excel permette di effettuare queries già notevolmente significative, specie per l’analisi dei dati di fermo e guasto in seguito a interventi di Manutenzione Correttiva.

Precisiamo inoltre che alla configurazione step by step dell’RdL partecipano sia il richiedente che l’esecutore, immettendo ciascuno i dati di propria competenza. Le informazioni dovranno essere congruenti. Pertanto la supervisione “educativa” e formativa da parte dell’Ingegneria di Manutenzione (IdM) non dovrà mai mancare e non solo nella fase sperimentale. Se la supervisione non è costante e collaborativa il processo di “data collection” si deteriora rapidamente, con buona pace del “completo e veritiero” sopra auspicato.

f2Figura 2

Contenuti delle colonne

N°RdL: è il numero progressivo della Richiesta di Lavoro. Il SW definitivo effettuerà la numerazione in automatico.

Codice posizione: è il codice di posizione riportato sull’Equipment Tree. Chi emette la RdL deve avere sempre a portata di mano l’Equipment Tree stesso. L’ideale sarà confezionare un documento Excel a più fogli, in modo da poter “chiamare” l’Equipment Tree in tempo reale, copiare il codice di posizione e incollarlo nella colonna in oggetto. E’ importante che il codice sia quello del livello di dettaglio più “spinto” disponibile sull’Equipment Tree. Se non lo fosse, la supervisione da parte di IdM se ne accorgerà e si cercherà di approfondire e correggere col Richiedente. Ciò contribuirà alla sua formazione, dandogli la percezione sia di non essere abbandonato sia del fatto che deve pensare con attenzione all’oggetto di manutenzione per cui chiede l’intervento.

Data evento: se la politica di manutenzione relativa alla riga che si sta compilando è la Correttiva (a guasto), la data coincide con la data di emissione della RdL. Se invece la RdL riguarda un’attività programmata, la data può essere diversa. Deciderà il Gruppo di Lavoro operante sull’Area-Pilota. A regime la data sarà immessa in automatico per i lavori non programmati, mentre per i PMP (Piani di Manutenzione Programmata) sarà l’Ingegneria di Manutenzione a definire ed immettere gli scadenziari. Ne tratteremo sul prossimo numero.

Richiedente: è il nominativo o il riferimento univoco (es. matricola) di chi richiede il lavoro. Può essere un appartenente a qualsiasi Funzione aziendale, purchè abilitato. Salvo emergenze palesi, non è pensabile fermare un manutentore “che passava di lì” e chiedergli di intervenire. Anche il pronto intervento deve essere richiesto tramite RdL, proprio perchè lo scopo ultimo del “Progetto Manutenzione” è segnatamente quello di spostare risorse dalle attività non programmate verso attività programmate. Ogni informazione sui fabbisogni non programmati è quindi preziosa per analizzarla e ridurli al minimo, sempre ovviamente in ottica di economicità.

Descrizione Intervento: è l’unico campo libero per tutte le politiche di manutenzione. Chi effettua li lavoro immette le informazioni che ritiene più utili, comprese le cause del guasto (se si tratta di manutenzione Correttiva) e se ritiene di immetterle. Si noterà che manca una colonna specifica, con le causali codificate e il relativo campo obbligato. La mancanza è voluta, in quanto l’esperienza di chi scrive dà per preferibile analizzare le cause di guasto in sede opportuna e, in fase di RdL, concentrarsi su altre informazioni che è bene cogliere “a caldo”. In questa fase, sempre per esperienza in campo, è molto più importante e ricco di contenuto informativo cogliere il componente elementare da cui il guasto ha avuto origine, come vedremo commentando i contenuti delle colonne “Codice Componente” e “Descrizione Componente”.

Esecutore: è il nominativo o il riferimento univoco (es. matricola, codice Fornitore etc.) di chi esegue il lavoro. E’ importante poter selezionare le attività svolte da personale interno, sia di manutenzione che di produzione (in sede di manutenzione autonoma o Automanutenzione) e le attività invece terziarizzate. Chiaramente il foglio Excel permetterà un dettaglio limitato, mentre il SW definitivo consentirà di avere una visione completa delle risorse necessarie per l’esecuzione del lavoro richiesto. Un buon SW permetterà anche di verificare eventuali scostamenti tra quanto preventivato e quanto consuntivato, di fare confronti tra fornitori, ricerche etc.

Politica di Manutenzione: Si raccomanda di creare una tendina con voci precostituite, in modo da agevolare sia il richiedente sia chi elaborerà le informazioni. Le voci raccomandate, almeno in questa fase, sono:

Manutenzione Correttiva; Manutenzione Preventiva Ciclica; Manutenzione Predittiva; Manutenzione Migliorativa, Assistenza all’Esercizio.

Per le definizioni, si rimanda alle Norme UNI. L’Assistenza all’Esercizio, a rigor di termini, non è una Politica di Manutenzione. Tuttavia talvolta è necessario, opportuno, conveniente etc. che la Manutenzione affianchi l’Esercizio per i più disparati motivi. A titolo esemplificativo e non esaustivo: attrezzaggi, pulizie tecniche, fermate/riavviamenti, start-up di nuovi impianti etc. Un caso interessante è la supplenza in manuale di perdita di automazione. Vedasi a tal proposito più avanti, quando si trattano gli “Effetti sul Processo”. L’impiego di risorse manutentive per necessità produttive deve essere comunque mappato, sia perché spesso segnale di una situazione anomala sia in quanto non sarebbe corretto scaricarne i costi sul già risicato budget della manutenzione.

Codice Componente e Descrizione Componente: come anticipato in Figura 1 (riquadro in rosso sopra l’ultima colonna di destra), invece di appesantire l’ET spingendolo a gradi di dettaglio onerosi e di difficile lettura da parte degli operatori, si raccomanda l’utilizzo di  “Flags” con liste codificate di “componenti elementari”, da utilizzarsi per selezionare ed immettere i componenti elementari (codice e descrizione) a corredo delle RdL relative alla Manutenzione Correttiva e non solo. Questo comporta numerosi vantaggi:

  • Si arriva a un dettaglio molto spinto senza appesantire l’Equipment Tree
  • Ogni “Flag” è valido per tutta l’Azienda: il medesimo componente elementare, ad esempio un fusibile, può essere operativo dovunque. ATTENZIONE: inserire o rimuovere un elemento dovrà essere di esclusiva competenza del System Administrator, supportato dall’ingegneria di Manutenzione, in modo da garantire la costante congruenza dei codici. I componenti saranno sempre descritti in ordine alfabetico, i codici non saranno necessariamente in progressione, se non alla prima stesura.
  • Si fornisce lo spunto di partenza per un’analisi del guasto rigorosa (vedere la voce “Descrizione Intervento” sopra commentata)
  • Si può creare un link con la Gestione Ricambi ( ovviamente a regime, col SW definitivo)
  • Si possono selezionare facilmente i componenti più critici

Ora inizio, Ora fine e Durata intervento: si tratta di informazioni quanto mai delicate, difficili da inquadrare e molto spesso anche da ottenere. Specialmente nel dominio della Manutenzione Correttiva (a guasto), quantificare i tempi effettivi di indisponibilità è per lo meno laborioso. Per contro, il pay back del costo delle possibili contromisure al guasto stesso è mediamente di gran lunga più coperto dal valore delle perdite di produzione (in quantità e/o qualità) che dal costo dell’intervento manutentivo vero e proprio. L’Ingegneria di Manutenzione ha necessità di conoscere quanto tempo trascorre dalla percezione dell’anomalia al ritorno alle condizioni produttive standard. Tale tempo complessivo misura la effettiva reattività del sistema ed è costituito dalla sommatoria di una serie di tempi, la cui analisi dettagliata è altrettanto importante ma sarà effettuata in sede opportuna.

Ore uomo impiegate: è un’informazione utile qualunque sia la Politica di Manutenzione attivata dalla RdL; permette di quantificare le risorse umane necessarie all’esecuzione del lavoro. Ovviamente il dato coincide col tempo di intervento solo se questo sarà eseguito da una sola persona. Se ho un fermo macchina di un’ora e sono intervenute più persone i due dati saranno diversi.

Effetto sul Processo: è uno dei dati più importanti per l’Ingegneria di Manutenzione, specie se la RdL è una richiesta di Manutenzione Correttiva. Anche qui, come nel caso della “Politica di Manutenzione”, si raccomanda di creare una tendina con voci precostituite, in modo da agevolare sia il richiedente sia chi elaborerà le informazioni. Le voci raccomandate, almeno in questa fase sono: Nessun effetto; perdita di velocità; perdita di qualità; fermo macchina/impianto; perdita di automazione; ambiente; sicurezza.

Osservazioni sulle due voci meno ovvie.

  • Nessun effetto. Se il fabbisogno di manutenzione non ha avuto effetti sul processo (ad esempio la fermata di una pompa con pompa di riserva, l’avaria di una scheda elettronica con back-up caldo etc), l’evento può comunque essere un sintomo di “disagio” e deve essere tracciato in quanto si è comunque trattato di un guasto.
  • Perdita di Automazione: è a volte possibile sopperire “in manuale” ad avarie, più frequentemente elettro-strumentali, che comportano perdita di automazione. Ad esempio: loop strumentali per trasferimento liquidi e robot “pick & place nel packaging. Con un po’ di buona volontà e per brevi periodi, in determinati casi è possibile sopperire. Come accennato quando si è trattato delle “Politiche di Manutenzione” si può ricorrere temporaneamente al contributo operativo anche da parte dei manutentori per evitare il fermo impianto. Sarebbe perciò una perdita di informazione pesante attribuire al guasto il “nessun effetto”.

L’Ordine di lavoro nella gestione informatizzata della Manutenzione – parte 1

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Lo strumento informatico a supporto del “Progetto Manutenzione” è imprescindibile e costituisce condizione necessaria di successo. Necessaria, non anche sufficiente, in quanto si tratta come appena detto di uno strumento. Esso deve pertanto essere calato in un ambiente dotato di sufficiente cultura di Manutenzione e maturità aziendale. L’emissione della Richiesta di Lavoro è il momento chiave per cogliere e capitalizzare il prezioso contenuto informativo che scaturisce dall’insorgere alla consuntivazione di un evento manutentivo, programmato o non programmato.

Prima di affrontare l’argomento riteniamo utile cercar di chiarire in cosa consiste la gestione informatizzata della Manutenzione. Riferiamoci come sempre (quando è possibile), alla normativa UNI. La Norma è la 10584 – 1997 e la definizione è la UNI 10584.3.1 Essa recita:

Sistema Informativo di Manutenzione (SIM): complesso di norme, procedure e strumenti atti ad accogliere ed elaborare le informazioni necessarie per la gestione delle attività di manutenzione e per il monitoraggio dell’attività degli impianti.

La definizione è sintetica ma, come tutte le definizioni tecnico/scientifiche (perché di questo si tratta), ogni parola va pesata in valore assoluto. E’ vero che dal 1997 a oggi l’informatica ha compiuto tali passi che le prestazioni ottenibili da parte di un SW di normale caratura sono decisamente ordini di grandezza superiori a quelle ottenibili alla data della stesura della Norma stessa, ma i principi concettuali e di buona applicazione sono invariati. A dimostrazione, solo apparentemente paradossale, di quanto appena detto, è interessante notare che la Norma, nel definire il SIM, NON pone come un “must” la gestione informatizzata del medesimo. A pag. IV della Norma, punto 1 – SCOPO E CAMPO DI APPLICAZIONE – si legge infatti: la presente norma individua e descrive le peculiarità del sistema informativo di manutenzione (SIM) sotto il profilo logico, procedurale e organizzativo, prescindendo dal sistema di supporto, che può essere realizzato anche in forma cartacea [ ..omissis…].

In pratica, è fondamentale che ci sia una consolidata organizzazione della manutenzione, nel cui ambito le informazioni descrittive della “storia” dei beni manutenuti siano sistematicamente raccolte e organizzate in forma codificata, ripetitiva e agevolmente consultabile; ciò al fine di poter prendere decisioni, progettare contromisure, stabilire priorità etc etc su basi analitiche-oggettive.

Ciò chiarito, il “può” concesso da UNI al cartaceo indica una possibilità ormai solo teorica o al massimo propedeutica/sperimentale. UNI lo ha doverosamente puntualizzato per coprire tutti i possibili scenari, purchè ci siano comunque dati “intelligenti” da elaborare e interpretare.

Il SIM presuppone quindi scelte / decisioni organizzative, tecniche e gestionali che vengono, anzi, devono venire ben prima del sistema di supporto, ovvero prima dello strumento e indipendentemente dalle sue prestazioni. Pertanto, al di là dell’atteggiamento giustificatamente “asettico” da parte di UNI, lo strumento per rendere efficacemente operativo il SIM non può che essere informatico. Il mondo anglosassone usa l’acronimo CMMS, che sta per Computerized  Maintenance Management System. Ancora una volta gli acronimi anglosassoni sono più incisivi: nello specifico il contenuto “vero” sta nei termini Management System

Così come la Cultura di Manutenzione è un di cui della padronanza del sistema produttivo definita “Maturità Aziendale”, analogamente il CMMS è collocabile come sottoassieme (strategico !) di un sistema gestionale più ampio, classificato come EAM (Enterprise Asset Management), che quasi sempre si avvale della sinergia di più SW ed ha come missione la gestione del Life Cycle o Ciclo di vita dei beni.

E’ interessante arrivare alla conclusioni su cos’è il CMMS proponendo anche una riflessione sull’acronimo francese, GMAO, ovvero Gestion de la Maintenance Avec l’ Ordinateur, dove (ovviamente) Ordinateur sta per Computer. L’espressione francese ha il grande pregio di sottolineare la natura “strumentale” dell’apparecchio, finalizzata ad ordinare i dati in modo idoneo all’uso che se ne vuole fare. Effettivamente, per quanto supportato in maniera anche formidabile dallo strumento, il momento della trasformazione delle informazioni in conoscenze e da conoscenze in decisioni, è esclusiva prerogativa dei professionisti della manutenzione.

Il fabbisogno di manutenzione: dove intervenire e come procedere.

Come anticipato in apertura del presente articolo, l’insorgere di un fabbisogno di manutenzione è già di per sé un’informazione preziosa, informazione a cui fanno seguito tutte le successive, quelle relative alle attività messe in atto per soddisfare detto fabbisogno. Il “fabbisogno” può essere sia di manutenzione Programmata che Correttiva (non programmata; a guasto). La Richiesta-Ordine di Lavoro a cui ci riferiremo nel presente articolo viene emessa nel dominio della Manutenzione Ordinaria (Budget “a spese”), in quanto le attività di Manutenzione Straordinaria (salvo casi molto specifici) sono di norma progetti su investimento e in ogni caso gestiti con Software specifici per i progetti.

Una corretta mappatura del percorso genera un corredo informativo che, se ben organizzato, permette di gestire analiticamente (su basi numeriche) tutta la filiera, nonchè di ricavare informazioni oggettive per supportare decisioni tecniche ed organizzative e verificarne i risultati.

La corretta gestione informatizzata della manutenzione si fonda dunque su due poli strategici: l’Equipment Tree, che deve permettere di individuare univocamente dove scaturisce il fabbisogno e la Richiesta / Ordine di Lavoro che, emessa all’insorgere di un fabbisogno di manutenzione e  riferita univocamente all’oggetto di manutenzione, permette di qualificare e quantificare tutte le informazioni che descrivono l’intervento manutentivo. Il tutto in forma codificata, “interrogabile” da ogni angolazione e con modalità tali che i dati possano essere confrontabili nel tempo tra loro e con altri dello stesso settore merceologico (possibilità di benchmarking).

L’Equipment Tree 

Prima di progettare la “maschera” di emissione della RdL/OdL è dunque indispensabile “insegnare” al CMMS come rispondere al primo quesito, il più istintivo, di chi emetterà e di chi processerà il segnale di fabbisogno. Il quesito è “DOVE” ovvero dove è necessario intervenire.

Definire “DOVE” in modo semplice, univoco, tracciabile e tracciato, correlabile ad altre famiglie tecniche in funzione di parametri specifici è la parte più delicata dell’implementazione del CMMS: non si può sbagliare, pena il trascinamento pressoché irreversibile di “peccati originali” pesantemente invalidanti dell’uso e delle prestazioni del CMMS e di difficile se non addirittura impossibile rimozione una volta strutturato il tutto in un certo modo.

Di solito questa fase è supportata da consulenza specialistica, ma NON in informatica (quasi sempre già ampiamente presente): serve consulenza specialistica in Ingegneria di Manutenzione. E’ pessima consuetudine infatti che i CMMS vengano implementati nella loro struttura generale ed a scopi prettamente amministrativi, rimandando a tempi successivi l’implementazione dei cosiddetti “Moduli Tecnici”.

L’implementazione del CMMS va fatta invece con priorità alle esigenze dei moduli tecnici. Se funziona la parte gestionale, al massimo si prende atto di una situazione (effetti delle disfunzioni). Se funziona anche la parte tecnica, oltre a prendere atto della situazione si ricavano le conoscenze per migliorarla (cause delle disfunzioni). Nessuno potrà mai ridurre i costi (senza fare danni anche maggiori), a meno che non ne conosca le origini effettive ed agisca – o meglio, sappia agire – solo su quelle.

Senza entrare nel dettaglio delle tecniche di realizzazione dell’Equipment Tree, precisiamo soltanto che l’Ingegneria di Manutenzione seguirà comunque una logica gerarchica del tipo Padre-Figli-Nipoti  e fermerà la scomposizione ad albero (da cui il nome) al livello di dettaglio minimo indispensabile. Trattando della maschera di emissione RdL/OdL vedremo poi come mappare anche i componenti elementari senza appesantire l’anagrafica degli impianti.

Per chiarire meglio quanto sopra, riportiamo in Figura 1 l’Equipment Tree di un ipotetico carroponte da parco rottami (acciaieria) con benna-ragno  ad azionamento oleodinamico (a spicchi). Il principio da seguire è la “riproduzione del processo che la macchina deve compiere, chiedendosi cosa deve funzionare correttamente e contemporaneamente affinchè il processo abbia luogo.

Relativamente al Carroponte, vediamo che il suo “processo” consiste nell’afferrare del rottame e spostarlo in uno spazio tridimensionale. Occorre quindi che funzionino i 4 sottoassiemi fondamentali posti al secondo livello, ciascuno preposto ad un tipo di spostamento.  A propria volta, ogni sottoassieme può funzionare se funzionano le apparecchiature che lo compongono, poste al terzo livello rispetto al livello individuato come primo. Logicamente, se a livello aziendale si decide che il codice di primo livello sia quello dello Stabilimento, al secondo livello ci sarà l’Impianto, poi la linea ed infine la macchina. La codifica sarà sequenziale, in logica gerarchica, sicuramente recuperando i codici esistenti ma non perdendo la descrizine sintetica del processo.

La scomposizione può proseguire all’infinito o quasi, ma si sconsiglia vivamente di appesantire l’ET oltre il minimo indispensabile.

f1Figura 1. Esempio didattico di Equipment Tree

 

Root Cause Analysis

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Il mese scorso abbiamo parlato di troubleshooting, cioè del processo a ritroso nella catena di cause ed effetti, che ha lo scopo di identificare la causa o le concause che ne sono alla radice. In queste tratteremo meglio il concetto di ricerca della cause alla radice del problema.

Nel precedente articolo di marzo si è visto che le situazioni veramente problematiche sono solo una minoranza rispetto al totale delle attività manutentive e pesano circa il 10%. In particolare, nel 9% di queste, possiamo giungere ad una soluzione positiva facendo di tecniche e metodologie di problem solving, adattate al campo manutentivo. Le metodologie utilizzate sono varie, ricalcano il concetto espresso dal ciclo di Deming nel PDCA. Facendo riferimento allo schema in sette passi descritto in figura, dopo aver superato le fasi iniziali del metodo, che hanno l’obiettivo di identificare il problema, passiamo all’analisi delle informazione, allo scopo di identificare la causa o le concause alla radice del problema.

Root Cause Analysis

L’analisi per risalire alle cause alla radice di un evento (guasto, difetto, incidente) è nota col nome Root Cause Analysis o, più brevemente, RCA: con essa si può, per esempio, indagare su quali sono le cause che provocano un incendio. Un efficace attività di Root Cause Analysis porta ad evidenziare la soluzione efficace (Effective Solution), deve essere in grado di identificare almeno una causa alla radice, controllabile e realizzabile ed in grado di soddisfare gli obiettivi.

Da dove si parte per identificare le cause e le cause di fondo? Possiamo partire dalle analogie degli effetti con problemi precedentemente apparsi, analizzati e possibilmente risolti (esperienza delle persone, documentazione disponibile). Ma occorre fare attenzione poiché a effetti uguali non corrispondono sempre cause uguali, in quanto occorre sempre considerare il contesto del problema. Per identificare le cause possiamo anche partire da considerazioni tecniche derivanti, per esempio, dalla conoscenza del progetto di un prodotto, del suo processo di fabbricazione, ovvero da conoscenze scientifiche su possibili correlazioni causa-effetto. E’ importante sottolineare che un effetto (evento, guasto, difetto) avviene se le cause alla sua origine si verificano nello stesso tempo, nelle stesse condizioni, nello stesso luogo. La RCA è un processo iterativo che, partendo dall’effetto, giunge alla definizione della causa o delle cause che lo originano, le quali, a loro volta, possono essere effetti di cause a livello superiore. In questo modo, procedendo per livelli di approfondimento sempre maggiori, giunge necessariamente alla definizione della o delle cause primarie alla radice dei problemi (effetti) evidenziati dal guasto. Sul tema RCA e problem solving sono stati messi a punto, a partire dagli anni novanta, diversi sistemi di analisi, come il metodo KT di Kepner e Tregoe, il Reason® di Decision System, Apollo® di Apollo Associated Services e TapRooT® di System Improvements.

Il metodo dei 5 “perché?”

Per risalire alla causa alla radice del problema si può utilizzare il metodo dei “5 perché?”. Questo dispositivo logico è stato introdotto nell’ottica dell’individuazione delle cause incerte sulle quali avviare una diagnosi. Con il metodo dei 5 perché è possibile risalire dall’effetto alle effettive cause di un evento. Il metodo è di una semplicità disarmante ed è forse per questo motivo che molti tecnici lo trascurano. Esso richiede soltanto che, con la curiosità di una scimmia e la purezza ideologica di un bambino, il gruppo si chieda il perché di un fatto, senza accontentarsi della prima risposta. Ecco alcuni suggerimenti per utilizzare in modo efficace questo metodo.

  • Non fermarsi fino a quando esiste ancora una possibilità di domandarsi perché.
  • Non accontentarsi di espressioni generiche (scorretto, sbagliato, rotto, ecc.), in quanto a ciascuno di questi aggettivi deve corrispondere un perché.
  • Porre massima attenzione alla precisione e all’attenzione ai dettagli.
  • Non sorvolare su risposte evasive.
  • Accertarsi che le spiegazioni siano comprese e condivise da tutti.
  • Il processo di ricerca “a ritroso”, dall’effetto noto alla causa o alle concause primarie, si considera chiuso solo quando si sia individuata la causa alla radice del problema (Root Cause).
  • Trovate le cause, il processo logico chiede comunque delle risposte e delle soluzioni (realizzabili e non, definitive e provvisorie).
  • Terminare ogni riunione con un rapporto scritto e letto in presenza di tutti i componenti del gruppo di lavoro.
  • Terminare ogni riunione con un piano con le attività da fare, le tempistiche, i controlli intermedi, i compiti e le responsabilità.

Per contrastare un’anomalia è possibile, una volta individuate le sue cause determinanti, decidere e realizzare delle azioni correttive a esse corrispondenti. L’esperienza dimostra però che spesso, al fine di una cura veramente efficace e duratura, è necessario risalire più a monte. Per esempio, contro l’effetto “consumo eccessivo di olio” potremmo decidere di rabboccare l’olio, il che costituisce un’azione provvisoria; si avrà un’azione correttiva soltanto eliminando la causa del consumo eccessivo, ossia sostituendo le fasce elastiche. Avendo individuato le cause di un problema, possiamo pensare a un intervento correttivo che comporti la loro riduzione o eliminazione. Ma occorre considerare che ciascuna di queste cause è a sua volta l’effetto di un’altra causa. È pertanto opportuno chiederci nuovamente: “Perché avviene questo?”, risalendo lungo la catena causa-effetto. Nell’esempio, se la risposta è: “Le fasce sono usurate perché il motore ha più di 100.000 Km, e ciò è normale a questo chilometraggio”, allora l’analisi è finita e possiamo agire definitivamente, sostituendole. Siamo infatti giunti alla causa alla radice del problema, cioè al livello ultimo in cui, nel procedere lungo la catena causa-effetto, possiamo situare l’intervento correttivo al fine di eliminare il problema iniziale. Se invece la risposta è: “Non sappiamo quali siano con sicurezza le cause di questo effetto”, bisognerà avviare una nuova analisi, che ci potrà portare a individuare le vere cause a un livello più vicino “alla radice”, con conseguente possibilità di interventi più radicali. In effetti, molti insuccessi, anomalie o disfunzioni si ripresentano perché l’azione correttiva è stata fatta a un livello di causa insufficiente per “sradicare” definitivamente il problema. È sradicando i problemi, ossia prevenendoli alla radice, che possiamo giungere a una soluzione duratura. Soffermiamoci un attimo per riflettere e capire quale fra questi interventi è opportuno scegliere ai fini di una maggiore efficacia. A questo punto si può fare una prima constatazione: più si scende verso la radice, lungo la catena causa-effetto, più tempo bisognerà dedicare alla ricerca. Spesso il passaggio da un livello all’altro non è cosi ovvio, e a volte occorre condurre un’analisi approfondita (seguita naturalmente da una verifica) per scendere di un gradino.

Altre conseguenze della causa

Nell’esempio precedente abbiamo considerato la catena causa-effetto come lineare. In realtà, la concatenazione è spesso di tipo “reticolare”. In effetti, lo scostamento dal quale siamo partiti nell’analisi, può essere solo una delle conseguenze della causa, e ce ne possono essere altre, già avvenute oppure imminenti. È quindi opportuno, partendo dalla causa rinvenuta, chiedersi: “Quali altre conseguenze può avere avuto questa causa”? e, anche: “Quali altre conseguenze può stare per avere, qui o presso il cliente?”. Allora chiediamoci: “L’acqua salata può aver provocato altri danni all’interno dell’alternatore?”, “La mancanza di energia può aver provocato qualche altro danno a bordo?”. Partendo dalla causa rinvenuta, cerchiamo di sfruttare fino in fondo il lavoro di analisi già fatto, e controlliamo quali altre conseguenze ci possono essere state. Se non si è esperti del ramo, è opportuno chiedere a uno specialista di controllare; per identificare le altre possibili conseguenze della causa (a livello di ipotesi d’effetto), le conoscenze tecniche e l’esperienza possono infatti svolgere un ruolo determinante. In questa indagine ci può venire in aiuto lo schema funzionale del sistema, ossia la descrizione di tutti gli organi incaricati di assicurare una certa funzione all’impianto o all’organizzazione, oppure il diagramma di flusso del processo.

Applicazione della RCA

La cellula base del processo di analisi RCA è costituita dallo schema base in cui un effetto (guasto/anomalia/incidente) può essere dovuto all’azione di due cause concorrenti: una azione ed una condizione.

In tal caso per un evento di guasto, visto come effetto primario, è possibile individuare una serie di azioni negative generate dall’operatore, dal sistema di controllo, dall’ambiente, .., che possono avere generato l’effetto segnalato; a queste si possono associare in alternativa o in aggiunta delle condizioni anomale (pressioni, temperature, .., ) rispetto alle condizioni considerate di normale funzionamento. Le metodologie di analisi degli incidenti identificano azioni ed agenti (persone, cose). La loro combinazione può portare ad un risultato non programmato (indicente, guasto, difetto): la vettura sbanda, la vettura è l’agente, lo sbandamento è l’azione; il cane scappa via, il cane è l’agente ed il suo correre è l’azione.

Fonte: Trasmissioni di Potenza (Ed. Tecniche Nuove), maggio 2015

Troubleshooting

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Col termine Troubleshooting si identifica il processo di ricerca ed analisi che lega l’accertamento di uno o più sintomi di un’avaria o di un malfunzionamento, con una o più possibili cause: si tratta quindi di un processo a ritroso nella catena di cause ed effetti, che ha lo scopo di identificare la causa o le concause che ne sono alla radice.

Uno studio condotto da una importante multinazionale evidenzia che le situazioni veramente problematiche sono (per fortuna) una minoranza rispetto al totale delle attività manutentive e pesano circa il 10%. In particolare, nel 9% di queste, possiamo giungere ad una soluzione positiva facendo di tecniche e metodologie di problem solving, adattate al campo manutentivo. Solo una parte minima (1%) richiede strumenti straordinari: la complessità e la gravità degli effetti di questi casi, che generalmente impattano pesantemente sulla qualità di un prodotto o sulla salute delle persone o dell’ambiente, devono essere affrontate in modo collegiale e coordinato (task force), in quanto coinvolgono più enti e persone all’interno di una Azienda. Nei casi più frequenti di un servizio di manutenzione, la situazione problematica si presenta quando, a fronte di un guasto abbastanza grave non esistono o non sono conosciute soluzioni efficaci e definitive. Per meglio dire, non esistono né procedure di troubleshooting né esperienze dirette del personale, oppure potrebbe capitare le immediate soluzione adottate dai tecnici, in base alle loro competenze, falliscono: problema!  Al fine di evitare confusione e panico è caldamente consigliabile affidarsi ad una metodologia, cioè ad una procedura logico-analitica di approccio al problema, attraverso la sequenza di azioni logicamente correlate di seguito elencate. Le metodologie utilizzate sono varie, ma abbastanza simili, in quanto tutte ricalcano il meraviglioso concetto espresso dal ciclo di Deming nel PDCA (*), e vengono generalmente descritte attraverso schemi a blocchi come quello descritto in figura (Metodo in sette passi). Con questo primo articolo analizzeremo le varie fasi descritte nel modello che abbiamo scelto, sottolineando che la letteratura tecnica ne presenta altri, che però non variamo in modo sensibile nelle logica. Cominciamo quindi con descrivere le fasi iniziali del metodo, che hanno l’obiettivo di identificare il problema.

Identificazione del problema

Il primo passo nel cammino che conduce alla ricerca e soluzione dei guasti consiste nella definizione del vero problema, quindi si deve sapere “che cosa” è successo prima di dire “perché” è successo. In genere, quando le persone riferiscono i problemi, i fatti raccontati possono essere incompleti, poco chiari e imprecisi in troppi dettagli. Tipicamente, si tende a riferire personali interpretazioni ai problemi visti: magari a queste si aggiungono le impressioni trasmesse da altre persone presenti. La situazione peggiora quando i problemi accadono durante il turno di notte o in giornate festive, per cui si possono solo leggere le annotazioni scritte dai testimoni senza poterli ascoltare direttamente. Possiamo distinguere alcune situazioni ricorrenti.

  • Problemi semplici: la loro identificazione necessita di semplici relazioni con l’operatore. Per esempio, l’operatore potrebbe riferire che il sensore di temperatura di un impianto è andato a zero e non si muove, l’indicatore di flusso oscilla, oppure si è acceso un allarme: si tratta di informazioni chiare e inequivocabili.
  • Problemi transitori e complessi: la raccolta dei sintomi può spaziare dall’indicazione chiara a quella vaga. Queste ultime possono non essere né concise né corrette e si possono avere troppe o troppo poche informazioni, magari viziate da pregiudizi o convinzioni.
  • Livello della comunicazione: quando si definisce il problema è opportuno ascoltare con cura la persona che riporta il fatto.

L’oggetto del rapporto consiste generalmente nella descrizione di sintomi e specifiche osservazioni, sulla base dei primi tentativi di soluzione di quel problema e sulla conoscenza e competenza di chi parla. Dopo avere ascoltato attentamente conviene fare domande chiare, brevi e precise. È meglio evitare di utilizzare termini troppo tecnici o forbiti: un buon ricercatore di guasti dovrebbe parlare e comprendere la lingua delle persone che operano in quella sede. Ciò significa conoscere il processo, il layout fisico dello stabilimento, la posizione degli strumenti e delle funzioni dell’impianto, non solo con il loro termine tecnico, ma anche secondo abbreviazioni e nomignoli comunemente usati in stabilimento (l’esperienza insegna che conoscere la forma dialettale o le corrispondenti parole in gergo aiuta molto nella comunicazione con gli addetti).

  • Interpretazione soggettiva: la persona che riporta un problema può introdurre nella sua descrizione delle interpretazioni personali. Quando non emerge chiaramente una causa del problema segnalato, l’esistenza di queste interpretazioni personali diventa evidente. Per esempio, un’interpretazione comune è che si trova sempre il guasto nello strumento, quando in effetti esiste un problema collegato al processo; in questo caso lo strumento riporta semplicemente le informazione che legge. Ci si può trovare di fronte a una valutazione soggettiva perché la persona che riporta l’informazione crede, per qualunque ragione, che un certo particolare di una macchina abbia causato il problema: molti casi pratici dimostrano che certe convinzioni portano fuori strada e che la soluzione sta altrove. Gli operatori che hanno troppa fiducia negli strumenti tendono a escludere altre informazioni: in questi casi è necessario imparare a distinguere il segnale vero ed essere sicuri di non subire interferenze. In buona sostanza, vale sempre la regola: “non dire mai più di quanto non si è sicuri di sapere”. Quando si definisce il problema è buona regola considerare il grado di generalità con cui si rapporta. Per esempio, un operatore potrebbe dire che una valvola di controllo è andata in avaria, dando così un preciso e ben definito oggetto sul quale investigare. Ma se lo stesso operatore dice che “c’è un problema sul livello nel serbatoio combustibile”, fornendo così una descrizione vaga, il guasto potrebbe essere causato da una serie di problemi, riguardanti il processo stesso. I problemi transitori capitano occasionalmente, si pensi per esempio al controllo di chiusura di una stazione di lavoro che si fa soltanto nel terzo turno. La bravura del buon ricercatore di guasti consiste nell’ordinare e distinguere, fra le varie informazioni, quelle che permettono di definire adeguatamente il problema. La descrizione del problema fornisce il punto di partenza per la raccolta dati. Se non si conosce da dove partire, si può essere sommersi da troppi dati e informazioni, spesso sbagliati, e perdere di vista quelli giusti.

Riparazione provvisoria (Quick Fix)

Molto spesso sono indispensabili azioni immediate e provvisorie di riparazione e di rimessa in servizio di una macchina (quick fix), al fine di “tamponare” situazioni critiche o di emergenza, al fine di velocizzare la ripresa di un processo produttivo o di un servizio o per limitare eventuali danni a cose e persone. Non sono secondarie, anzi fanno parte della normale attività di un servizio di manutenzione: richiedono elevata professionalità, capacità di rapida analisi della situazione e resistenza allo stress. L’efficacia di un’azione di tamponamento si basa su più fattori: esperienza, strumentazione, training. L’esperienza è sicuramente una carta vincente nella ricerca guasti: si tratta di ritrovare un problema già vissuto, di cui si pensa di conoscerne la soluzione. La eccessiva fiducia sull’esperienza, però, può ridurre la capacità di vedere oltre e comprendere a fondo e completamente un fenomeno. Nondimeno investire in strumentazioni di diagnostica evolute consente di velocizzare la fase di ricerca ed identificazione di sintomi e degli effetti di un guasto e quindi di porli in immediata correlazione con le probabili cause alla radice.

In generale, comunque, l’addestramento continuo del personale, la formazione sulle modalità di individuazione e riparazione, sia provvisoria che definitiva, dei guasti, anche attraverso la simulazione di casi reali, costituiscono la forma più efficace di training, forza e patrimonio delle aziende meglio organizzate

PDCA

Il ciclo (virtuoso) di Deming o PDCA è un modello studiato per il miglioramento continuo della qualità in un’ottica a lungo raggio. Serve per promuovere una cultura della qualità che è tesa al miglioramento continuo dei processi e all’utilizzo ottimale delle risorse. Questo strumento parte dall’assunto che per il raggiungimento del massimo della qualità sia necessaria la costante interazione tra ricerca, progettazione, test, produzione e vendita. Per migliorare la qualità e soddisfare il cliente, le quattro fasi devono ruotare costantemente, tenendo come criterio principale la qualità. La sequenza logica dei quattro punti ripetuti per un miglioramento continuo è la seguente:

P – Plan (Progettazione e pianificazione)

D – Do (Esecuzione del programma, dapprima in contesti circoscritti)

C – Check (Test e controllo, studio e raccolta dei risultati e dei riscontri)

A – Act (Azione per rendere definitivo e/o migliorare il processo (estendere quanto testato dapprima in contesti circoscritti all’intera organizzazione)

Fonte: Trasmissioni di Potenza (Ed. Tecniche Nuove), marzo 2015

I professionisti dei Big Data

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Se è già scritto che Big Data «guideranno l’economia nei prossimi anni»: se questo avverrà, le aziende avranno bisogno di sviluppare delle risorse umane in grado di gestire questi Big Data, che in sintesi sono una collezione di dati informatici così estesa da richiedere tecnologie apposite per la propria elaborazione. In effetti, non che sia facile destreggiarsi tra estrazione e interpretazione dei numeri, soprattutto se si è sprovvisti della materia più preziosa: il capitale umano. Circa il 98% delle aziende intervistate (secondo un’indagine del gruppo Adecco e dell’Università Milano-Bicocca) sostiene infatti che i candidati siano assenti o «difficili da reperire» nel mercato italiano, nonostante una ricerca affidata per lo più ad agenzie di risorse umane e università. Tra i ruoli giudicati più interessanti nell’immediato spiccano Big Data analytics specialist (63,64%), data content&communication specialist (38,64%), Big Data architect (32,95%), data scientist (29,5%) e social mining specialist (13,6%). Tutte figure che costituiscono la filiera dello studio delle informazioni online, con profili più orientati all’analisi (analytics specialist) o all’approfondimento dei contenuti (content&communication specialist).

Qualcuno, però, obietta che il gap andrebbe letto da una posizione opposta a quella suggerita dalle imprese: i candidati non mancano, sono le aziende a offrire condizioni retributive e contrattuali poco competitive. Su scala internazionale, secondo una stima del portale DataJobs (inserire link: datajobs.com/big-data-salary), la retribuzione d’ingresso può oscillare tra i 50-75mila dollari. Un po’ difficile immaginare medie simili in Italia, Paese che “vanta” alcune delle retribuzioni più basse d’Europa nel settore dell’Ict.
Ciralli non ne è convinto: almeno nell’oasi dei Big Data, stipendi e prospettive di carriera possono fare gola a talenti qualificati. «Le aziende non sono poco attrattive e non è una questione retributiva, ma di formazione – dice In Italia, da una parte c’è bisogno di maggiore orientamento ai giovani per indirizzarli verso i percorsi più virtuosi finalizzati all’occupabilità e dall’altra ad incentivare la collaborazione tra impresa e scuola».

Industria 4.0 e Big Data: 4 aziende italiane su 10 non sanno che cosa siano

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I Big Data «guideranno l’economia nei prossimi anni». Sempre che si sappia di cosa si sta parlando: secondo un’indagine del gruppo Adecco e dell’Università Milano-Bicocca, il 40% delle aziende italiane italiane non conosce il concetto e appena il 12% fa uso dei “grandi dati” a fini commerciali, mentre il 48% ammette di averne una padronanza solo parziale. Il campione è composto da circa 350 referenti aziendali ed è stato attinto tra società di varie dimensioni e settore di provenienza, con predominio di industria metalmeccanica-elettronica (41,02%) e commercio e servizi (26,29%). Le Pmi rappresentano quasi la metà dell’indagine (47,14%), ma il ritardo sul fenomeno non sembra essere una loro esclusiva: circa un intervistato su tre (35,03%) proviene da industrie di grandi dimensioni, in teoria più inclini all’aggiornamento digitale rispetto alle imprese di dimensione micro, piccola o media.

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A che punto sono le aziende e dove servono di più i Big Data
I Big Data sono, semplificando, una collezione di dati informatici così estesa (“grandi dati”) da richiedere tecnologie apposite per la propria elaborazione. La loro analisi può fruttare vantaggi competitivi alle aziende perché fornisce informazioni monetizzabili in fase di vendita, ad esempio sulle abitudini o i gusti dei clienti. Un valore aggiunto fondamentale nell’era dell’economia online, come testimonia anche il fatto che la quasi totalità delle aziende (circa il 97%) li consideri una «opportunità» e non un rischio per la propria impresa. Da qui a fare investimenti effettivi, però, il passo è lungo: solo il 20% ha già avviato progetti in materia e un 10% dichiara di avere «intenzione di farlo», contro una quota del 32,43% che ammette di non avere nessuna azione in corsa e un ulteriore 37,16% che non manifesta alcun interesse. «Un dato allarmante se paragonato al 12% di chi conosce i Big Data, in particolare pensando al tema della competitività delle nostre imprese in ottica futura », dice al Sole 24 Manlio Ciralli, capo del brand e dell’innovazione del Gruppo Adecco in Italia .

Va detto, però, che il deficit italiano non è isolato. L’Unione europea rincorre i macro-investimenti già messi in campo da Usa e Asia, dove l’analisi dei “grandi dati” è un patrimonio che va dai colossi della Gdo come Walmart alle startup innovative. «Non è solo l’Italia che deve accelerare il passo, ma l’Europa in generale, per esempio Paesi come Francia e Spagna. Stati Uniti e i Paesi asiatici sono molto più avanti – fa notare Ciralli – Si stima che il volume di dati immagazzinati su scala mondiale crescerà del 40% all’anno fino al 2020».  Dove possono essere più proficui? All’interno dell’azienda, i settori più beneficiati dai Big Data si rivelano il commerciale (64,8%) e il marketing (62,4%), seguiti da It (35,2%), comunicazione (33,6%), finanza e produzione (29,6%).

Tratto da Il Sole 24 Ore, articolo di Alberto Magnani. 25/11/2016

Il guasto: analisi e misura

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L’esigenza di intervenire in modo veloce ed efficace dipende dalla professionalità del manutentore: in questo articolo analizzeremo alcuni aspetti legati al guasto ed alcuni noti indicatori necessari per la sua misura.

Definizione di guasto

Il guasto è la condizione di non realizzazione dello stato desiderato di funzionamento, ovvero, come recitano le norme UNI, la “cessazione dell’attitudine di un’entità ad eseguire la funzione richiesta”. La norma definisce inoltre come “avaria” lo “stato di un’entità, caratterizzato dalla sua inabilità ad eseguire una funzione richiesta”. Si deduce che il guasto è un evento, un passaggio da uno stato di buon funzionamento  ad un altro che non rispetta le prestazioni attese, mentre l’avaria è uno stato, una situazione stazionaria, in cui l’entità non è assolutamente in grado di operare. Il termine guasto corrisponde a failure in inglese e défaillance in francese, mentre avaria diventa rispettivamente fault e panne.

Entità

Nelle due precedenti definizioni si fa riferimento al termine entità, di cui abbiamo ovviamente una definizione ufficiale, riportata nella norma UNI 9910, che la definisce in questo modo: “ogni parte, componente, dispositivo, sottosistema, unità funzionale, apparecchiatura o sistema che può essere considerata individualmente”. Quindi un’entità, per la quale valgono anche i sinonimi “elemento” e “bene”, è tutto ciò che può essere descritto e considerato in modo individuale, sia che si tratti di un’attività, un processo, un prodotto, ma anche di un’organizzazione, un sistema, una persona o un gruppo. Nel campo della manutenzione, a un’entità può essere attribuito un valore economico, sociale o anche artistico, come per esempio impianto, linea, sistema e macchina, gruppo funzionale, assieme, sottoassieme, componente oggetto dell’attività di manutenzione. Il linguaggio tecnico anglosassone come al solito semplifica la terminologia, utilizzando due termini ben noti: equipment ed item, senz’altro più noti e diffusi del nostro “entità”!

Guasti di un’entità

Tutte le cose prodotte dall’uomo sono soggette a guasto, per quanto siano ben costruite e affidabili: si tratta solo di definire quando e come si guasteranno nel corso della loro vita utile. Capire come un guasto accade è la caratteristica principale dell’attività di ricerca dei guasti. Capire quando un guasto accade, o quando potrebbe accadere, è la caratteristica principale della manutenzione preventiva. Un guasto può accadere a fronte della rottura, o avaria, di un componente, coinvolgendo la struttura (hardware) dell’oggetto, oppure per un errore di programma (software), oppure per un errore umano. Un sistema può sempre avere un difetto funzionale quando, pur lavorando regolarmente, è chiamato a fare qualcosa per cui non è stato progettato oppure è esposto a condizioni transitorie che causano il momentaneo guasto. La prima attività nella ricerca guasti consiste nel trovare che cosa si è rotto, in modo da ripararlo e renderlo di nuovo disponibile. Ciò significa conoscere le condizioni operative di un processo e identificare la causa principale del guasto. Le origini di un guasto possono poi derivare da cause interne oppure da cause esterne. Se la causa è interna a un componente, questa ne è generalmente anche la causa principale; nel momento in cui il componente sarà riparato o sostituito, il problema sarà conseguentemente risolto. Se il problema capita troppo spesso, l’affidabilità del componente viene messa in discussione, per cui bisogna ricercare un’altra causa all’origine dell’avaria. Tale situazione porta a iniziare una fase importantissima di analisi nota con il termine di problem solving che, attraverso vari strumenti e metodologie mutuati dalla Total Quality, portano all’identificazione della, o delle, cause prime all’origine di una situazione problematica. Essa è nota anche con la sigla RCA (Root Cause Analysis), ossia analisi di ricerca della radice dei problemi. Se invece la causa è esterna al componente, i motivi del guasto non sono così ovvi: infatti, anche se possiamo ancora riparare o sostituire il componente fuori uso, dobbiamo necessariamente cercare la radice del problema in modo da non ricadere nello stesso problema.

Ciclo di vita

Il ciclo di vita dei componenti elettronici e meccanici segue la ben nota curva di affidabilità o probabilità di guasto, detta a vasca da bagno (bathtub curve). La curva può essere divisa in tre fasi: il periodo iniziale  (infanzia o rodaggio), il periodo di vita utile e il periodo finale o  vecchiaia. Il periodo iniziale è caratterizzato dal fenomeno della mortalità infantile, che appunto si riscontra all’inizio della vita operativa di un componente, normalmente nelle prime settimane o nei primi mesi, generalmente nel periodo di messa a punto e collaudo di un nuovo impianto.

I problemi nascono principalmente da difetti sui materiali, di lavorazione delle parti e di montaggio durante l’installazione, ma possono derivare spesso da errori nella conduzione e nella manutenzione, causati generalmente dall’inesperienza del personale: in particolare proprio nella fase iniziale di uso di un nuovo processo si possono evidenziare veri e propri errori di progettazione. Molti difetti di lavorazione vengono rilevati prima del montaggio della macchina presso il cliente, attraverso prove e collaudi eseguiti dal fornitore nelle fasi fondamentali del suo processo di fabbricazione. Gli errori di montaggio sono più difficili da controllare e possono essere ridotti attraverso ispezioni e tabelle di controllo definite in specifiche procedure operative. La seconda fase della vasca da bagno corrisponde al periodo di vita utile nel quale il tasso di guasto casuale rimane costante: il fatto che il tasso di guasto resti basso deriva da una efficace politica di manutenzione svolta dall’utilizzatore. La terza fase della curva vede poi un progressivo aumento della probabilità di guasto, a causa della crescente obsolescenza fisica e tecnica delle entità: un gruppo o un componente che entra in questa può comunque essere revisionato e recupera la propria affidabilità, prolungando in genere la propria vita utile.

KPI

Gli indicatori chiave delle prestazioni (noti anche con l’acronimo kpi – key performance indicator) sono utili per descrivere e comprendere i fenomeni tecnici e organizzativi durante un guasto di un’entità e stabilire quindi la misura dell’affidabilità durante il periodo di vita utile. I principali kpi utilizzati sono i seguenti:

MTTF (Mean Time To Failure): questo indicatore indica il tempo di vita operativa medio di un’entità non riparabile: è l’inverso del tasso di guasto (1/τ) nel periodo considerato.

Il MTTF non è legato alla vita utile dello strumento, che è il tempo che intercorre tra la fine del periodo di mortalità infantile e quello di logoramento. Un sistema potrebbe avere un MTTF di 100.000 ore, ma una vita utile di soli 3 anni. Ciò significa che, durante i 3 anni di vita utile, è improbabile che il componente si rompa, così come potrebbe rompersi rapidamente una volta che entri nel periodo di logoramento. Per illustrare la differenza fra MTTF e vita utile, consideriamo che, per gli esseri umani, il tasso di mortalità nei primi 30 anni è stimato pari a 1,1 morti per 1.000 persone all’anno, il che equivale ad avere un MTTF pari a 909 anni. Questo è molto più del tempo di vita utile di un uomo che, in genere, è inferiore ai 100 anni. In altre parole, gli esseri umani sono delle macchine molto affidabili nei primi 30 anni di vita, ma successivamente, con l’avanzamento dell’età, la loro affidabilità decresce rapidamente. Un altro esempio pratico lo si ritrova sul disco rigido di un computer fornito di un MTTF di un milione di ore, ma con una vita utile di soli 5 anni. All’interno della sua vita utile il disco è molto affidabile, ma dopo 5 anni incomincia a deteriorarsi e la sua affidabilità decresce rapidamente. Il disco con un MTTF di un milione di ore potrebbe essere comunque più affidabile rispetto a un altro disco con un MTTF di 500.000 ore, a parità di vita utile.

MTBF (Mean Time Between Failure): rappresenta il tempo medio di funzionamento di un’entità riparabile. Si deduce che per una macchina complessa, cioè costituita da vari componenti, ipotizzandone la riparabilità a fronte di un’avaria, si parlerà di MTBF, pari ad una media di n ore di funzionamento tra un guasto e l’altro, senza distinguere la tipologia dei guasti. Per ogni suo componente si parlerà di MTTF, nell’ipotesi in cui il componente stesso venga sostituito per guasto e non riparato, o di MTBF nel caso alternativo in cui il componente venisse sostituito e riparato.

MTTR (Mean Time To Restoration): definito come “valore atteso del tempo al ripristino” (UNI 9910), rappresenta il tempo medio necessario per ripristinare il buon funzionamento, calcolato dall’istante in cui interviene il guasto. Il tempo al ripristino o di rimessa in servizio è l’intervallo di tempo durante il quale l’entità si trova in uno stato di indisponibilità a causa di un guasto (UNI 9910). Si noti come l’ente unificatore raccomandi espressamente di abbandonare la più diffusa, e ampiamente usata, interpretazione di MTTR come Mean Time To Repair . Il motivo della segnalazione deriva dall’ambiguità di interpretazione del concetto di riparazione: lo stato di guasto intercorre da quando è percepito a quando è rimosso. Il puro tempo tecnico di riparazione non è descrittivo dell’impatto reale del guasto sulla produttività. La conseguenza effettiva di un guasto è generalmente superiore a quella del semplice intervento di manutenzione e risente di altri tempi passivi, quali ritardi di segnalazione, emissione di documentazione, scarico degli impianti ed eventuale pulizia, raccolta informazioni e quant’altro non direttamente controllabile dalla manutenzione, ma comunque attivato da un guasto e messo quindi in conto al medesimo. Il MTTR sarà un indicatore fondamentale della misura della prestazione di un intervento di manutenzione correttiva; infatti esso è composto da più fasi, di cui quella di ricerca guasti è molto spesso la più impegnativa in termini temporali. Per monitorare il tempo medio di riparazione a fronte di un guasto si utilizza quindi l’indicatore MRT (Mean Repair Time), la misura di quella parte del tempo attivo di manutenzione correttiva, esclusa la fase di ricerca guasti, durante il quale vengono eseguite azioni di riparazione su un’entità.

Fonte: Trasmissioni di Potenza (Ed. Tecniche Nuove), gennaio 2015

Dossier UNI sulla certificazione energetica degli edifici

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Dossier pubblicato nella rivista U&C,  dedicato al tema della certificazione energetica degli edifici.
Il documento, a cura dell’ente federato CTI (Comitato Termotecnico Italiano), intende illustrare le principali novità contenute nei nuovi provvedimenti legislativi pubblicati in Gazzetta ufficiale il 15 luglio scorso, e precisamente i tre Decreti datati 26 giugno 2015 costituenti i disposti attuativi della Legge 90/13, recepimento italiano della Direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica degli edifici.
Dossier UNI certificazione energetica edifici
tratto da U&C n. 5 – Maggio 2016

Industria 4.0, +10 mld investimenti

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Il 21 settembre 2016 è stato presentato a Milano il piano del governo Industria 4.0, che punta a far crescere gli investimenti privati di 10 miliardi solo nel 2017. I dettagli sono stati illustrati dal ministro dello Sviluppo Carlo Calenda e dal presidente del Consiglio Matteo Renzi.
La prima direttrice chiave è sugli investimenti: +10 miliardi di quelli privati nel 2017; +11,3 mld di spesa privata in sviluppo ricerca e innovazione nel periodo 2017-2020; +2,6 mld nel volume degli investimenti privati “Early Stage” nel periodo 2017-2020. La seconda direttrice riguarda le competenze: 200 mila studenti universitari e 3.000 manager specializzati sui temi 4.0; il raddoppio degli studenti iscritti agli istituti tecnici superiori; circa 1.400 dottorati di ricerca. Gli incentivi fiscali, per un totale di 13 miliardi, diventano orizzontali, non più a bando. “Pensiamo che l’Italia debba essere patria delle possibilità“, dobbiamo “cambiare la mentalità e dire che è la patria delle possibilità e delle opportunità“, ha detto Renzi. (ANSA).

A conti fatti il piano, più ambizioso anche delle versioni iniziali, dispone un impegno maggiore rispetto a programmi già varati da altri grandi economie: «Dieci miliardi in Francia, 1 miliardo in Germania, 500 milioni in Usa, con modelli comunque molto diversi di coinvolgimento dei privati» dice Marco Taisch, del Politecnico di Milano, aprendo la presentazione al Museo della scienza e della tecnologia (Il Sole 24 Ore).

Di seguito il documento della Audizione di Carlo Calenda, Ministro dello Sviluppo Economico, sul tema Industria 4.0, fatta presso la Camera dei Deputati il 15 giugno 2016 : audizione-industria-4-0-defcalenda

Indagine Federmeccanica: Industria 4.o in Italia

L’indagine, volta a rilevare il grado di conoscenza, il livello di adozione delle tecnologie abilitanti e lo stato delle aspettative rispetto alla cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”, contribuisce alla definizione di un percorso evolutivo verso l’Industria 4.0 ed è scaricabile dal link a fondo pagina.

Il campione rappresenta circa 3,5% dell’universo della popolazione delle imprese iscritte a Federmeccanica (circa 15.000). Tale campione appare sufficientemente ampio rispetto all’obiettivo di fornire informazioni utili circa quella parte dell’industria italiana che si dimostra più sensibile rispetto alle tematiche dell’innovazione tecnologica, ma, non essendo di tipo probabilistico, non garantisce pienamente il rispetto delle condizioni di applicabilità dell’inferenza statistica.

Il risultato dell’indagine però non è esaltante e evidenzia che siamo ancora molto lontani dal modello industria 4.0, in quanto solo il 64% delle imprese del campione dichiara di avere adottato almeno una delle 11 tecnologie considerate.

Il mutamento delle competenze

Relativamente al cambiamento delle competenze trasversali (soft skills) richieste al personale avvenuto a seguito dell’introduzione delle tecnologie qui considerate emerge che:

‐ Per gli operai i principali cambiamenti hanno riguardato, nell’ordine: a) l’autonomia, responsabilità, adattabilità e proattività; b) la capacità di lavorare in gruppo e c) il problem solving

‐ Per gli impiegati i principali cambiamenti hanno riguardato, nell’ordine: a) Fast and focused decision making /problem solving; b) l’autonomia, responsabilità, adattabilità e proattività + la capacità di lavorare in gruppo + la comunicazione digitale

‐ Per i dirigenti i principali cambiamenti hanno riguardato, con pari importanza: a) Fast and focused decision making/problem solving e b) l’autonomia, responsabilità, adattabilità e proattività; solo al terzo posto la leadership.

Nell’insieme, il cambiamento delle competenze viene giudicato, in media, maggiore per gli impiegati che per dirigenti ed operai

Sintesi del livello di onoscenza ed applicazione delle singole tecnologie Industria 4.0.

Meccatronica. Il 76% del campione dichiara di conoscere la tecnologia; essa è conosciuta dall’87% degli adopters e dal 60% dei non adopters. Circa il 50% delle imprese rispondenti dichiara di adottare la meccatronica, di queste il 69% la usa nell’ambito della produzione, il 43% nello sviluppo di nuovi prodotti, il 12% nella commercializzazione, il 11% in attività di servizio

Robotica. L’85% del campione dichiara di conoscere la tecnologia; essa è conosciuta dal 92% degli adopters e dal 74% dei non adopters. Circa il 51% delle imprese rispondenti dichiara di adottare la robotica, di queste l’80% la usa nell’ambito della produzione, il 22% nello sviluppo di nuovi prodotti, il 9% in attività di servizio, l’8% nella commercializzazione
Robotica collaborativa. Il 38% del campione dichiara di conoscere la tecnologia; essa è conosciuta dal 44% degli
adopters e dal 29% dei non adopters. Solo l’11% delle imprese rispondenti dichiara di adottare la robotica collaborativa, di queste il 64% la usa nell’ambito della produzione, il 39% nello sviluppo di nuovi prodotti, il 10% in attività di servizio, il 7% nella commercializzazione

IoT (Internet of Things). Il 55% del campione dichiara di conoscere la tecnologia; essa è conosciuta dal 64% degli adopters e dal 40% dei non adopters. Circa il 27% delle imprese rispondenti dichiara di adottare la tecnologia IoT, di queste il 44% la usa nell’ambito dello sviluppo di nuovi prodotti, il 37% in attività di servizio, il 35% nella commercializzazione, il 34% nella produzione

Big Data. Il 48% del campione dichiara di conoscere la tecnologia; essa è conosciuta dal 58% degli adopters e dal 32% dei non adopters. Circa il 24% delle imprese rispondenti dichiara di adottare la tecnologia Big Data, di queste il 48% la usa nell’ambito della produzione, il 34% in attività di servizio, il 33% nello sviluppo di nuovi prodotti, il 25% nella commercializzazione

Cloud computing. Il 72% del campione dichiara di conoscere la tecnologia (l’84% degli adopters ed il 53% dei non adopters. Circa il 42% delle imprese rispondenti dichiara di adottare il Cloud Computing, di queste il 55% la usa in attività di servizio, il 44% nell’ambito della produzione, il 29% nello sviluppo di nuovi prodotti, il 20% nella commercializzazione

Sicurezza informatica. Il 93% del campione dichiara di conoscere la tecnologia (dal’97% degli adopters e dall’86% dei non adopters. Circa l’83% delle imprese rispondenti dichiara di adottare tecnologie connesse alla Sicurezza Informatica, di queste il 66% le usa nell’ambito della produzione, il 56% in attività di servizio, il 39% nello sviluppo di nuovi prodotti, il 37% nella commercializzazione

Stampa 3D. Il 75% del campione dichiara di conoscere la tecnologia; essa è conosciuta dall’83% degli adopters e dal 63% dei non adopters. Circa il 32% delle imprese rispondenti dichiara di adottare la Stampa3D, di queste il 76% nello sviluppo di nuovi prodotti, il 35% la usa nell’ambito della produzione, il 4% in attività di servizio, il 4% nella commercializzazione

Simulazione. Il 71% del campione dichiara di conoscere la tecnologia (l’83% degli adopters ed il 53% dei non adopters. Circa il 53% delle imprese rispondenti dichiara di adottare la Simulazione, di questi il 73% la usa nell’ambito dello sviluppo di nuovi prodotti, il 42% nella produzione, il 22% in attività di servizio, il 15% nella commercializzazione

Nanotecnologie. Il 49% del campione dichiara di conoscere la tecnologia il 55% degli adopters ed il 39% dei non adopters. Solo l’11% delle imprese rispondenti dichiara di adottare le nanotecnologie, di questi il 78% le usa nello sviluppo di nuovi prodotti, il 35% nell’ambito della produzione, il 9% nella commercializzazione, il 7% in attività di servizio

Materiali intelligenti. Il 43% del campione dichiara di conoscere la tecnologia (il 47% degli adopters ed il 37% dei
non adopters. Circa il 15% delle imprese rispondenti dichiara di adottare la tecnologia dei materiali  intelligenti, di queste il 68% la usa nello sviluppo di nuovi prodotti, il 43% nell’ambito della produzione, l’8% nella commercializzazione, il 7% in attività di servizio.

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Sfida alla legge di Moore sui circuiti integrati

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La legge di Moore, che ha alimentato la rivoluzione informatica e tecnologica sin dagli anni ‘60, è stata puntualmente rispettata fino ad ora, ma è inevitabilmente destinata a terminare. Il calore e il raggiungimento di dimensioni ormai di scala atomica, alla fine hanno stanno ponendo un freno alle prestazioni dei processori. È la fine della più grande era dello sviluppo tecnologico, o si profila invece all’orizzonte qualcosa di nuovo?

Nel 1965 Gordon Moore, cofondatore della Fairchild Semiconductor e di Intel, scrisse un saggio diventato poi famosissimo, nel quale – oltre a predire meraviglie come i personal computer, orologi da polso digitali, macchine automatiche e “attrezzature personali di comunicazione portatile” (ovvero i telefoni cellulari) – provò a dare anche un riferimento temporale a questa sua visione, osservando che la capacità computazionale dei microprocessori raddoppiava ogni due anni o giù di lì (la famosa “legge di Moore”). Tale principio empirico, che ha alimentato la rivoluzione informatica e tecnologia dagli anni ‘60, è stato puntualmente rispettato fino ad oggi, ma è inevitabilmente destinato a terminare.

La legge di Moore

In realtà non si tratta di una legge “fisica” ma di un paradigma che l’industria dei semiconduttori ha deliberatamente scelto di perseguire: ad ogni fase, gli sviluppatori di software producevano applicazioni che mettevano a dura prova le capacità dei chip esistenti; i consumatori richiedevano così maggiori prestazioni ed i produttori si precipitavano a rispondere a tale domanda con i chip di nuova generazione. Seguire questo sviluppo esponenziale è stato (ed è) estremamente costoso: ad ogni salto generazionale erano necessari investimenti in macchinari sempre più sofisticati e costosi ed i cicli di produzione diventarono sempre più numerosi e complessi, tanto da richiedere, a partire dal 1991, la pubblicazione di una road map biennale (International Technology Roadmap for Semiconductors), per coordinare ciò che le centinaia di produttori e fornitori dovevano fare per rimanere al passo con la legge. Tuttavia, l’enorme versatilità dei chip faceva sì che i produttori potessero concentrarsi sullo sviluppo di soli due tipi di prodotti: processori e memorie, che potevano quindi essere prodotti e venduti i enormi quantità, generando incassi tali da sostenere i costi di sviluppo e nel contempo abbassare anche i prezzi di vendita, alimentando maggiormente la domanda. Ciò ha convertito la legge di Moore in una profezia auto-avverante: i nuovi chip hanno seguito la legge perché l’industria ha fatto in modo che lo facessero. Tutto ha funzionato perfettamente, finché alcuni limiti non sono venuti fuori in tutta la loro complessità.

I limiti insiti nella “profezia” della legge di Moore

Il primo, fu evidente fin già dal 1989: la miniaturizzazione sempre più spinta (i microprocessori top-of-the-line attualmente hanno dimensioni circuitali intorno a 14 nanometri, più piccoli rispetto alla maggior parte dei virus; si calcola che il limite “fisico” possa essere di 2-3 nanometri, cioè circa 10 atomi di diametro, oltre il quale gli effetti quantistici diventano predominanti) portava ad avere temperature sempre più elevate, tanto che a partire dal 2004 ci fu uno stop alla frequenza di clock dei microprocessori. Per mantenere fede alla legge di Moore si cominciarono a costruire chip con più processori (o core) che, funzionando in parallelo, aggiravano parzialmente il problema. Infatti dividendo un algoritmo in parti uguali e facendolo eseguire dai processori in parallelo si supera l’ostacolo, ma ciò è spesso impossibile. Il secondo limite, fu più una sorpresa: l’avvento degli smartphone, dei tablet, dei dispositivi indossabili, dell’Internet of Things e prossimamente dello Swarm Sensing ha cambiato radicalmente le regole del gioco. Fino a una ventina di anni fa, non c’era sostanzialmente molta differenza tra le priorità e i modi di funzionare di un PC o di un super computer: i chip erano gli stessi (cambiava solo il numero). I nuovi microprocessori hanno oggi invece priorità molto differenti dai loro “cugini più sedentari”. I chip di uno smartphone tipico devono inviare e ricevere segnali per le chiamate vocali, Wi-Fi, Bluetooth, GPS, ma anche di rilevamento tattile, di prossimità, accelerazione, campi magnetici, impronte digitali… Oltre a questo, il dispositivo deve ospitare circuiti per usi speciali per la gestione dell’alimentazione, per mantenere tutte queste funzioni attive senza che si scarichi la batteria troppo rapidamente. Il problema per i produttori di chip è che questa specializzazione mina il ciclo economico di autosostentamento della legge di Moore. Il vecchio mercato richiedeva quantità enormi di prodotti che facessero solo un paio di cose, il nuovo mercato richiede poche centinaia di migliaia di prodotti che devono fare un sacco di cose. La fine della legge di Moore non è quindi solo un problema tecnico, si tratta anche di una questione economica. La sfida è quindi molto complessa.

Il crepuscolo della legge di Moore: quale futuro?

Tutti sono d’accordo che il crepuscolo della legge di Moore non significherà la fine del progresso. Un Boeing 787 non è più veloce di un 707 fatto nel 1950 – ma sono aeroplani molto diversi, con le innovazioni che vanno dai controlli completamente elettronici, ad una fusoliera in fibra di carbonio. Questo è ciò che accadrà con i computer: l’innovazione continuerà, ma sarà più sfumata e complicata. Anzitutto, anziché progettare i chip e poi realizzare le applicazioni, si dovrà iniziare dalle applicazioni stesse e poi lavorare verso il basso per vedere che chip sono necessari per sostenerle. Tra questi chip ci saranno ovviamente anche nuove generazioni di sensori, circuiti di gestione dell’alimentazione e altri dispositivi in silicio, richiesti da un mondo in cui computing è sempre più mobile. La questione ora è che cosa accadrà nei primi anni 2020, quando la miniaturizzazione non sarà più possibile con il silicio perché gli effetti quantistici entreranno in gioco. Una possibilità è quella di abbracciare dei paradigmi completamente nuovi, come l’informatica quantistica (che promette velocità esponenzialmente elevate per alcune tipologie computazionali), o il calcolo neuromorfico, che mira a modellare elementi di elaborazione sui neuroni nel cervello. Ma nessuno di questi paradigmi alternativi ha avuto ancora applicazioni al di fuori del laboratorio. Un approccio diverso è la ricerca di un materiale semiconduttore in sostituzione del silicio, in grado di generare molto meno calore. Ci sono molti candidati, che vanno da composti di grafene, a materiali spintronici, che consentono di effettuare i calcoli basandosi sulla rotazione degli elettroni, piuttosto che dal loro movimento. La ricerca è molto attiva, ma anche in questo campo non ci sono applicazioni note al di fuori della ricerca. Un’altra possibilità è infine quella di modificare l’architettura dei chip, sfruttando la terza dimensione e impilando strati di microprocessori. In linea di principio, questo dovrebbe permettere di impacchettare più potenza computazionale nella stessa area. In pratica, tuttavia, questo attualmente funziona solo con chip di memoria, che usando circuiti che consumano energia solo quando si accede ad una cella di memoria, scaldano molto meno (esempio il progetto Hybrid Memory Cube, di Samsung e Micron Technology). Poiché almeno il 50% del totale del calore è attualmente generato dal flusso degli elettroni avanti e indietro tra le memorie e i microprocessori, una soluzione potrebbe essere quella di integrare le due tipologie di chip impilandole nella stessa scala nanometrica tridimensionale. Questo è difficile, anche perché i microprocessori attuali e i chip di memoria sono così diversi che non possono essere fatti sulla stessa linea di produzione. A Stanford hanno però sviluppato un’architettura ibrida che è molto promettente e che impila unità di memoria insieme a transistor a base di nanotubi di carbonio, che trasportano anche la corrente da strato a strato. A Berkeley, stanno invece lavorando sulle metodologie per ridurre i costi di progettazione dei nuovi chip: invece di partire da zero ogni volta, pensano che si dovrebbe creare i nuovi dispositivi, combinando grosse parti di circuiti esistenti già ottimizzati. È un po’ come con i mattoncini Lego: la sfida è fare in modo che i blocchi lavorino correttamente insieme, ma se si sceglie di usare i vecchi metodi di progettazione, i costi ed i tempi diventerebbero presto proibitivi. Come vediamo, la legge di Moore sta volgendo al termine in senso letterale, perché la crescita esponenziale del numero di transistor non può continuare, ma dal punto di vista del consumatore, la legge di Moore afferma semplicemente che il valore-utente raddoppia ogni due anni. E in questa forma, la legge continuerà finché l’industria sarà in grado di riempire i suoi dispositivi con nuove funzionalità. Le idee sono là fuori e le attività per ingegnerizzarle sono frementi, così come la ricerca a supporto…

 

Ishikawa or 5-Why – Which do you prefer for Root Cause Analysis?

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Discussione sulla RCA, proposta e pubblicata su LinkedIn da  Daniel Uebbing

Il diagramma di Ishikawa è il metodo più popolare per l’analisi delle cause, perché causa principale ed effetto sono presentate in modo conciso. Quali sono i vantaggi?

  • Ottimo metodo per la raccolta dettagliata delle cause principali
  • Presentatione delle inter relazioni
  • Chiara presentazione grafica
  • Elaboratione visuale delle cause alla radice
  • Secondo l’analisi delle cause è possibile avviare misure sostenibili
  • Strutturazione generale dei processi
  • Apprendibilità

Ma non bisogna ignorare il metodo dei 5-Perché per l’analisi delle cause. Il metodo 5-Perché viene utilizzato in qualità in tutto il mondo e soprattutto è aggiuntivo al metodo Ishikawa. L’uso di 5-perché è semplice e conveniente soluzione per economizzare le risorse interne.

Quali sono i vantaggi per riprodurre tutte le procedure amministrative necessarie all’interno di un software?

  • E’ possibile avviare misure sostenibili fuori dalla analisi delle cause
  • Per avere un processo standard all’interno della società per la documentazione del CIP Workshop e misure sostenibili.
  • Si garantisce la totale trasparenza di tutte le azioni nell’ambito del processo di miglioramento continuo
  • Si effettua una panoramica a disposizione di tutte le attività presenti
  • Siete sostenuti da un sistema di promemoria che assume la e-mailing automatica di promemoria, e vi sostiene per garantire il completamento contemporaneo di misure
  • Si dispone di una panoramica di tutte le attività che rimangono ancora da completare

D.Uebbing

Troubleshooting machines without wiring diagrams

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Segnaliano una discussione lanciata su LinkedIn da Lue Yang, Electronic Circuit Board Repair Specialist For OEM’s.

Troubleshooting machines without wiring diagrams

I’ve been in many plants helping maintenance friends/clients troubleshoot their machines without any wiring diagrams due to many reasons. Whatever the case may be, we were still troubleshooting with any wiring diagrams.
I wanted to reach out to all the Maintenance guys out there and draw on your experiences to see what creative ways you guys have worked around not having wiring diagrams for troubleshooting purposes?

Industry 4.0: Il futuro della manifattura

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Per la prima volta dall’inizio dell’era industriale, la vera fonte di valore non sono i prodotti in sé quanto i dati, considerati oggi il petrolio dell’era digitale. Resta da vedere se i cambiamenti positivi bilanceranno quelli negativi. L’Ue ha presentato in aprile un action plan

Per la prima volta dall’inizio dell’era industriale, la vera fonte di valore non sono i prodotti in sé quanto i dati, considerati oggi il petrolio dell’era digitale. È quanto prospetta la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, o Industry 4.0, il concetto coniato durante la Fiera di Hannover del 2011.

Nel gennaio 2016 il presidente del World Economic Forum di Davos, Klaus Schwab, afferma: “L’ondata di innovazione attuale non ha precedenti nella storia. Comparata con le passate, l’odierna rivoluzione industriale sta evolvendo in maniera esponenziale piuttosto che seguire un andamento lineare”.

A guidare il cambiamento sono diverse tecnologie: sensori tecnologici in grado di collegare ogni oggetto al mondo digitale, intelligenza artificiale, internet mobile 5G, analisi dei big data, cloud computing, realtà aumentata e stampa in 3D.

Questa rivoluzione potrebbe, però, non avere lo stesso impatto sui diversi settori economici ed è da vedere se i cambiamenti positivi bilanceranno i negativi. Secondo un rapporto dello staff di ricerca del Parlamento Europeo, la digitalizzazione ha la potenzialità di invertire l’attuale processo di de-industrializzazione europea aiutando il settore manifatturiero ad assicurare il target del 20% del pil Ue.

Dal punto di vista tecnico la digitalizzazione è in grado di ottimizzare l’intera catena del valore, risparmiando su capitale, energia e lavoro a bassa qualifica. Le catene del valore integrato, secondo lo studio del parlamento, possono velocizzare il processo di manifattura del 70% in termini di tempi di consegna dei prodotti al mercato e garantire aumenti di produttività in diversi settori. Per le imprese, però, l’innovazione rappresenta un investimento rilevante, non sempre sostenibile per piccole e medie imprese, quantificato in 140 miliardi.

Inoltre la diffusione della robotica avanzata potrebbe assecondare lo schiacciamento della classe media se nuovi lavori non saranno creati in settori dove il capitale umano è essenziale, come nella cura alla persona. Lo stesso Klaus Schwab a Davos ha affermato “L’ineguaglianza rappresenta una delle grandi preoccupazioni associate alla quarta rivoluzione industriale” sottolineando come la tecnologia sia stata una delle cause maggiori della stagnazione dei salari nei paesi sviluppati.

La strategia europea

Secondo il Commissario Ue per l’innovazione, Carlos Moedas, i paesi europei di tradizione manifatturiera “non si stanno integrando con il mondo del digitale”. L’esecutivo europeo menziona anche la mancanza di un mercato unico digitale e il basso investimento in ricerca. Per affrontare questi cambiamenti la Commissione Europea ha presentato il 19 aprile un action plan su standardizzazione del mercato digitale europeo e cloud computing, oltre ad una serie di finanziamenti per aiutare le imprese a massimizzare la creazione del valore.

Sebbene Germania, Francia, Olanda e Regno Unito abbiano già presentato i loro piani di digitalizzazione industriale, la competizione globale resta alta di fronte alle posizioni quasi monopoliste di imprese come Google e Facebook. Se non governata, l’Internet of Things sarà una cattiva notizia per l’Europa perché sono soprattutto imprese americane come Amazon, Google, Apple e Facebook ad essere capaci di usare i dati per la creazione di veicoli automatici e prodotti costumizzati.

Ma anche L’Asia si sta preparando. Se il Giappone è il paese maggiormente avanzato su questo fronte, secondo Roland Berger, la Cina punta molto sulla stampa in 3D, cercando di trasformare la sua economia manifatturiera.

ClassEuractiv.it

Industry 4.0: la produzione diventa lean

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Oggi, nella maggior parte dei casi, il controllo della conformità dei pezzi avviene dopo lo stampaggio, quando lo scarto è già stato generato. La soluzione ideale, invece, è quella di agire a monte, implementando una procedura di qualificazione del processo per ogni singolo stampo, al fine di determinarne la precisione e la ripetibilità già dal collaudo. Perché un tale procedimento possa essere messo in atto è necessario definire chiaramente i parametri di processo critici, anche da gestire in fase di stampaggio, ed effettuare il controllo di processo con l’ausilio di strumenti di monitoraggio adeguati, per esempio l’andamento della pressione della cavità dello stampo e le curve grafiche di riferimento della pressa, ottenibili dalle unità di controllo avanzate. La parola chiave dell’industria del futuro, diventa quindi “digitalizzazione”.

Produzione “zero difetti”
Nello stampaggio a iniezione il potenziale dell’industria digitale è particolarmente evidente nella produzione di pezzi di grande complessità e in piccoli lotti, ma anche nei casi in cui è necessario effettuare cambi versione in modo rapido ed efficiente. Esigenze che, nella Filiera “Zero difetti” a Mecspe 2017 di Parma erano soddisfatte da una pressa Arburg, accessoriata in modo specifico, e dalle funzionalità del suo sistema di gestione ALS. Il progetto è stato sviluppato seguendo una logica improntata alla lean production, un concetto ancora relativamente poco applicato nel settore delle materie plastiche, al quale, invece, potrebbe portare enormi vantaggi nell’ottimizzazione dei tempi di produzione e nel controllo di processo, soprattutto nell’ottica di ottenere un manufatto privo di difetti.

Controllo a tuttotondo
Controllo di processo, nell’Industria 4.0, significa anche disporre di un sistema per la diagnosi precoce della deriva dei parametri di qualità, ma anche per la loro correzione in base a valori predefiniti, al fine di evitare che venga raggiunto il fuori tolleranza. Qualora le variazioni di tali parametri non siano correggibili in modo precoce, il sistema deve identificare i pezzi non conformi e quindi separarli per mezzo di robot o selettori di scarti. In un simile contesto, la macchina a iniezione diventa il fulcro dell’intero processo di stampaggio, perché attraverso l’unità di controllo, si interfaccia con le periferiche, le apparecchiature ausiliarie e lo stampo, permettendo sia il monitoraggio delle prestazioni della pressa stessa, sia il controllo di qualità in tempo reale. Controllo che avviene online, senza l’intervento dell’operatore.

Tracciabilità per ogni pezzo
Oltre alla visibilità e al controllo in tempo reale dei processi, un altro aspetto importante dell’operatività Industry 4.0 è la condivisione delle informazioni, realizzabile, per esempio, attraverso la codifica del pezzo con QR code, codice a barre o altro. Il sistema ALS della pressa rileva e memorizza i parametri di ogni stampata, oltre ad ogni altro parametro operativo delle attrezzature interfacciate, e ne permette la tracciabilità nel tempo, abbinando anche i parametri del pezzo alla confezione.

Tutto con lo smarphone
A Mecspe, nella Filiera “Zero difetti” ai visitatori veniva illustrato il processo di stampaggio a iniezione di un componente per il settore automobilistico destinato alla protezione dall’alta tensione: un pezzo tecnico di grande precisione e con caratteristiche critiche. Il manufatto veniva prodotto in una linea dove tutte le attrezzature – pressa a iniezione, ausiliari, periferiche, robot e marcatura laser – erano interfacciate tra loro. Il pezzo stampato, all’uscita della pressa veniva inviato a una stazione di marcatura laser per l’impressione di un QR code, che permetterà di risalire – mediante smartphone – ai parametri di processo di ogni pezzo specifico.

Big Data, tra potenziale economico e privacy

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di Frédéric Simon | EurActiv.com, traduzione di Barbara Pianese

Per molti a Bruxelles la rivoluzione dei dati è stata un brusco risveglio, a causa delle intercettazioni su larga scala dell’intelligence degli Stati Uniti. Se i politici europei ne apprezzano il potenziale economico, i timori sulla privacy restano

I politici di tutta Europa tendono a guardare con sospetto alla grande rivoluzione dei dati, considerandola un processo prettamente americano importato con rilievi importanti in tema privacy. E non hanno tutti i torti come si è visto quando è stato scoperto che i servizi segreti americani hanno carpito informazioni dai server delle aziende internet inducendo le autorità di regolamentazione dell’Ue a rafforzare le leggi sulla privacy e a chiedere un nuovo accordo per sorvegliare il trasferimento dei dati con gli Stati Uniti.

Le cose, però, sono mutate molto da allora, con i politici europei grandi promotori dei ” big data”, considerati motore di crescita economica e strumento di supporto in alcuni settori di policy.

Un settore chiave è la lotta al terrorismo. L’interesse per l’analisi dei dati è cresciuta in modo significativo dopo gli attentati di Parigi dello scorso anno assieme alle iniziative europee per monitorare i post sui social media che diffondono messaggi radicali e mirano a reclutare combattenti per gruppi estremisti, in particolare per la guerra in Siria.

Nel frattempo i membri del Parlamento europeo hanno votato una relazione che prospetta accuse penali qualore aziende come Facebook e Twitter non rimuovano i messaggi dei jihadisti dai loro siti web.

Un altro progetto di punta è la creazione di un’unità speciale della Commissione europea dedicata alla lotta contro la propaganda russa, lanciata sulla scia della crisi in Ucraina orientale in seguito all’annessione della Crimea. L’unità di nove persone all’interno del servizio per l’azione esterna della Commissione è stata creata l’anno scorso e si concentra sul controllo della disinformazione su Internet grazie ai dati raccolti da una rete di 400 collaboratori da tutta Europa e dall’Europa orientale in modo particolare.

Ma dare un senso all’enorme quantità di informazioni pubblicate sui social media quotidianamente non può essere demandato solo agli esseri umani. “I social network producono un tale volume di dati impossibile da elaborare per un cervello umano”, spiega Laurentiu Vasiliu, fondatore e ceo di Peracton, una società che fornisce in tempo reale analisi del cosiddetto “sentiment” per gli investitori. “Così abbiamo bisogno di macchine per analizzare ed elaborare tali dati”, ha aggiunto Vasiliu nel corso di un recente evento sul data mining organizzato da EurActiv.com.

Ma il software utilizzato dalla società può essere applicato in qualsiasi altra area, ad esempio per monitorare l’occorrenza di determinate parole o frasi usate dai jihadisti a cui è possibile associare anche la posizioni geograficha dell’autore.

Allo stesso tempo, però, vanno fatte delle osservazioni dal punto di vista della privacy. “Gli utenti di Twitter, Facebook e altri social media hanno bisogno di essere rassicurati che non ci sia un abuso dei loro”, ha spiegato Vasiliu.

I legislatori nel Parlamento europeo, quindi, hanno adottato una riforma della normativa Ue sulla protezione dei dati lo scorso aprile, dopo anni di arduo negoziato.

L’eurodeputato tedesco Jan Philip Albrecht, che ha rappresentato il Parlamento Ue nei negoziati con i 28 stati membri, ha definito l’accordo “storico”, affermando come il nuovo regolamento “permetterà alle persone di riprendere il controllo dei propri dati personali nell’era digitale”.

 

Ford, uomini e robot “mano nella mano”

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Gli inventori della catena di montaggio tornano a rivoluzionare le fabbriche. Il sito produttivo di Colonia, in Germania, sta sperimentando degli speciali co-bot che hanno raggiunto un tale livello di precisione da effettuare sia lavori più pesanti che fare un massaggio vibrante alla nuca di un operaio.

Un robot, o meglio un co-bot – robot collaborativo – che lavora “mano nella mano” con gli operai, compiendo le mansioni più pesanti: ecco la novità che Ford ha introdotto nella sua fabbrica di Colonia, in Germania, dove nella linea di montaggio di Fiesta, uomini e macchine costruiscono vetture fianco a fianco. I co-bot sono impiegati per eseguire compiti che richiedono forza, destrezza e precisione, rendendo il lavoro degli operai più leggero e sicuro. E proprio nell’ottica della collaborazione positiva, questi robot – composti di un braccio meccanico multifunzione – hanno raggiunto un tale livello di precisione e sensibilità che sono anche in grado di fare un massaggio vibrante alla testa di una persona o preparare un caffè, come si vede dal video rilasciato da Ford.

ford

“I robot stanno aiutando a rendere le attività più facili, più sicure e più veloci, integrando i nostri dipendenti con abilità hanno fatto aprire mondi di produzione e progettazione di nuovi modelli Ford senza limiti”, ha dichiarato Karl Anton, direttore del dipartimento vehicle operations di Ford Europa. “Lavorare in alto con strumenti pneumatici pesanti è un lavoro duro che richiede forza, resistenza e precisione. Il robot è un vero e proprio aiuto”, ha aggiunto l’addetto alla produzione Ngali Bongongo. Dunque un’esperienza positiva che rientra nel piano industriale 4.0 di Ford, ovvero la quarta rivoluzione industriale, frutto di due anni di progettazione in collaborazione con l’azienda tedesca specializzata KUKA Roboter GmbH.

Bibliografia

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Pubblichiamo una amplia bibliografia, utile riferimento di un manager di manutenzione, che comprende, oltre ai testi di riferimento su tecniche e metodologie applicate in manutenzione, anche le fondamentali pubblicazioni su Lean Production, TPM e WCM.

Manutenzione

AA.VV., Manuale di Manutenzione Industriale, Tecniche Nuove, 2005

L.Furlanetto, Manuale di manutenzione degli impianti industriali e servizi, Franco Angeli 1998

Block H.P., Geitner F.K., Machinery Failure Analysis and Troubleshooting, Gulf Professional Publishing, USA 1999 3rd edition

Block H.P., Geitner F.K., Improving Machinery Reliability, Gulf Professional Publishing, USA 1998 3rd edition

Cominoli F.M., La manutenzione si può anche fare, Pitagora Editrice Bologna, 2006

Vito D’Incognito, Progettare il sistema manutenzione, Franco Angeli, 1995

L.Fedele, L.Furlanetto, D.Saccardi, Progettare e gestire la manutenzione, McGraw-Hill, 2004

Marigo M., La manutenzione di macchine e impianti: sicurezza e affidabilità, EPC Editore, 2012

Vagliasindi F., Come organizzare la manutenzione, Franco Angeli, 1999

L.Furlanetto, C.Mastriforti, Outsourcing e global service, Franco Angeli, 2000

Problem Solving & Troubleshooting

Gano D.L., Apollo Root Cause Analysis – A New Way of Thinking, Third Edition by Dean L. Gano Copyright 2007

Kepner C., Tregoe B., The Rational Manager, Kepner.Tregoe Inc., Princeton, New Jersey, USA 1965

Mostia W.L., Troubleshooting: a technician’s guide, ISA -The Instrumentation, Systems & Automation Society, USA 2000

Reason J., Hobbs A., Managing Maintenance Error – A Pratical Guide, Ashgate 2004

Stefanini P., Metodi di ricerca e prevenzione dei guasti, II edizione, Tecniche Nuove, 2011

Lean Production, TPM e WCM

Harmon Roy L., Rinnovare la fabbrica, la produzione snella dal modello alla realtà, Il Sole 24 Ore, 1992.

Kobayashi I., 20 Keys to Workplace Improvement, Productivity Press, 1990.

Ishikawa K., Guida al controllo di qualità, Franco Angeli, 1988.

Nakajima S., Introduction to TPM, Productivity Press, 1988.

Nakajima S., TPM Development Program. Implementing Total Productive Maintenance, Productivity Press, 1988.

JMAC Consiel, JIPM , Applichiamo il TPM – Guida Operativa alla realizzazione del Total Productive Maintenance, Franco Angeli.

JMAC Consiel, JIPM ,Total Productive Maintenance. La sfida per un management creativo, Franco Angeli, 1998.

Ohno T., Lo spirito Toyota, Einaudi, 1993

J.P.Womack, D.T.Jones, Lean Thinking, Guerini e A.,1997

Shingo S., Il sistema di produzione giapponese “Toyota” dal punto di vista dell’industrial engineering, Franco Angeli, 1991.

Furlanetto L., Arata Adreani, Progettare la Fabbrica Snella, Franco Angeli 1999

Donini C., Il manuale della Lean Manufacturing, Franco Angeli 2004

Schonberger R.J., Tecniche produttive giapponesi. Nove lezioni di semplicità, Franco Angeli, 1988.

D.Falcone, F.DeFelice, A.Petrillo, Il World Class Manufacturing; origine, sviluppo e strumenti, McGraw-Hill, 2014

La manutenzione affidabilistica

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Il monitoraggio delle condizioni è una tecnica efficace ed abbastanza diffusa per prevedere e prevenire guasti incipienti sia in macchine rotanti che in altre apparecchiature industriali.

Nell’articolo “Condition Monitoring Is Not Enough” di J.Tranter (Mobius Institute, Australia) pubblicato su AMMJ, si affronta il tema in modo più ampio: sebbene il condition monitoring sia di vitale importanza, per massimizzare la pruduttività degli asset bisogna attuare un programma di analsi per la eliminazione delle condizioni anomale che possono generare il guasto stesso.

L’autore presenta in sostanza un approccio affidabilistico alla manutenzione, che coinvolge non solo aspetti tecnici, ma anche organizzativi.

leggi AMMJ pag.4

Il cambiamento

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Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel, ha messo nero su bianco quello che la classe dirigente deve fare per realizzare e consolidare un processo di miglioramento (da “il Fatto Quotidiano” del 30/05/2016).

“Per cambiare un’organizzazione ci vuole un gruppo sufficiente di persone convinte di questo cambiamento, non è necessario sia la maggioranza, basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare e bisogna distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando ad essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all’interno dell’organizzazione dei gangli da distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone che si oppongono al cambiamento, e la cosa va fatta nella maniera più plateale e manifesta possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta in fretta, con decisione e senza nessuna requie, e dopo pochi mesi l’organizzazione capisce, perché alla gente non piace soffrire. Quando capiscono che la strada è un’altra, tutto sommato si convincono miracolosamente e vanno tutti lì. È facile.”

Repair versus Replace

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I modelli che descrivono il costo totale del ciclo di vita di un’entità sono importanti perché aiutano a valutare il costo globale di un asset, piuttosto che il solo costo iniziale di acquisto. Come possiamo utilizzare questi strumenti per definire quando riparare e quando sosstituire, in modo da progettare una efficace strategia di gestione delle risorse aziendali?

Leggi l’articolo di Andy Page pubblicato su maintword.com

ARG

La UNI EN 15628 per la formazione e qualificazione del manutentore europeo

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La norma UNI EN 15628 definisce a livello europeo le tre figure professionali e le relative competenze in ambito manutentivo.

Nell’aprile del 2007 il CEN ha pubblicato il Technical report (TR) 15628: “Maintenance – Qualification of Maintenance personnel”. Questo documento, non emesso come norma, perché non approvato dagli enti di normazione di alcuni stati europei, è fondamentale nel percorso di normalizzazione della qualificazione del personale di manutenzione negli stati dell’unione europea.

Si era arrivati al TR 15628 utilizzando, come base, le specifiche dell’EFNMS (European Federation of National Maintenance Societies), emessi dal 1998 al 2006, sui requisiti, le competenze e le responsabilità necessarie possedute dal personale di manutenzione per la qualificazione (*).

EFNMS nelle sue specifiche aveva fissato i tre livelli di classificazione, formazione e qualificazione del personale di manutenzione:

  • European Maintenance Technician Specialist
  • European Specialist in Maintenance Supervision
  • European Expert in Maintenance Management.

Utilizzando i contenuti basilari del TR 15628, CicPnd, accreditato ACCREDIA, con la collaborazione di AIMAN (Associazione Italiana di Manutenzione), ha emesso il regolamento per la certificazione del personale di manutenzione.

Quest’iniziativa ha suscitato interesse e richiesta di certificazione da parte degli addetti alla manutenzione, sia in campo civile che militare, e ha indotto l’esigenza, tra i membri della Commissione Manutenzione dell’UNI, di elaborare una norma contenente i requisiti (competenze, conoscenze e abilità) utili al personale di manutenzione, per adeguarne la formazione professionale, tecnica e gestionale, alle esigenze dell’organizzazione e del mercato del lavoro, con particolare attenzione all’economicità, sostenibilità e rispetto della sicurezza, della salute e dell’ambiente.

La Commissione Manutenzione ha voluto introdurre esplicitamente nella norma la figura dell’ingegnere di manutenzione, inserendola nel secondo livello, unitamente al supervisore di manutenzione.

La norma “Manutenzione – Qualifica del personale di manutenzione” UNI 11420 è stata pubblicata nel giugno del 2011 e tiene conto della “Raccomandazione” del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 “sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche (EQF) per l’apprendimento permanente”.

Successivamente il TC 319 del CEN, sulla scorta di questa norma (UNI 11420), e grazie alla sua presidenza italiana, ha formato un WG (gruppo di lavoro) per la definizione e l’emissione di una norma europea di pari argomento.

Il gruppo di lavoro, con la fattiva e intelligente partecipazione di Finlandia, Germania, Italia, Norvegia, Regno Unito, Svizzera (coordinatore) e altri, ha preso come base la norma italiana e vi ha apportato, mantenendone l’impostazione e la struttura, le modifiche necessarie per renderla fruibile a tutte le nazioni dell’Unione.

La norma UNI EN 15628 Manutenzione – qualifica del personale di manutenzione, individua per il personale di manutenzione, a conferma di quanto recepito e in uso, in Europa e in Italia, queste tre figure professionali, per le quali definisce le relative competenze necessarie:

Tecnico specialista di manutenzione

Le competenze del tecnico specialista di manutenzione consistono nell’esecuzione indipendente delle attività di manutenzione, comprensive delle seguenti competenze essenziali:

  1.   eseguire o assicurare l’esecuzione in sicurezza dei piani di manutenzione secondo le strategie aziendali;
  2.   intervenire tempestivamente in caso di guasto o anomalia, assicurando l’efficacia dell’intervento di ripristino;
  3.  eseguire o assicurare la corretta esecuzione secondo le legislazioni e le procedure relative alla sicurezza, alla salute delle persone e alla tutela dell’ambiente;
  4.  assicurare la disponibilità dei materiali, delle attrezzature e degli strumenti necessari per l’esecuzione delle attività di manutenzione;
  5.   coordinare e/o soprintendere le attività operative di manutenzione;
  6.   assicurare la qualità delle attività di manutenzione;
  7.   utilizzare e assicurare l’utilizzo dei sistemi ICT (tecnologia informativa e di comunicazione).

La figura professionale assicura la conformità alle pertinenti leggi, ordinanze, direttive, istruzioni operative e alle buone prassi comunemente accettate.

Nota: Indicativamente questa figura professionale può fare riferimento ai livelli EQF 4 o 5.

Supervisore di manutenzione e ingegnere di manutenzione

Per il supervisore di manutenzione o l’ingegnere di manutenzione ci sono ruoli specifici che possono essere eseguiti in modo esclusivo dall’uno o dall’altro oppure da entrambi.

Il supervisore di manutenzione o l’ingegnere di manutenzione coordinano le attività di manutenzione secondo il budget annuale, i piani di manutenzione correlati e le attività di manutenzione non pianificate. Inoltre il supervisore di manutenzione o l’ingegnere di manutenzione contribuiscono ad assicurare i valori richiesti di disponibilità/prestazioni dell’impianto (misurate da indicatori di prestazioni), sulla base degli obiettivi tecnici di disponibilità e qualità dell’azienda o del dipartimento, e includono le seguenti competenze essenziali:

1.    assicurare l’implementazione delle strategie e delle politiche di manutenzione;

2.    pianificare le attività di manutenzione di sua competenza, definendo e organizzando le risorse necessarie;

3.    organizzare, gestire e sviluppare le risorse di manutenzione: personale, materiali e attrezzature;

4.    garantire il rispetto della legislazione e delle procedure relative alla sicurezza, alla salute e all’ambiente;

5.    garantire l’efficienza e l’efficacia tecnica ed economica delle attività di manutenzione sulla base dello stato corrente della tecnologia;

6.    partecipare agli aspetti tecnici dei contratti e del processo di approvvigionamento e gestire le prestazioni degli assuntori;

7.    comunicare con tutti i partner necessari quali personale, assuntori, clienti e fornitori.

L’ingegnere di manutenzione collabora con il responsabile della manutenzione o lo affianca nella definizione dei piani di manutenzione e nell’identificazione delle risorse richieste per l’esecuzione, il controllo e l’analisi delle variazioni del budget. Inoltre l’ingegnere di manutenzione raccomanda progetti di miglioramento correlati a disponibilità, affidabilità, manutenibilità e sicurezza dei beni, incluse le seguenti competenze essenziali:

8. Utilizzare le conoscenze ingegneristiche e gli strumenti organizzativi per migliorare le attività di

     manutenzione e l’efficienza dell’impianto in termini di disponibilità e affidabilità;

9.  Soddisfare gli obblighi organizzativi ed economici nel campo delle attività intraprese.

Entrambi i professionisti assicurano la conformità alle pertinenti leggi, ordinanze, direttive, istruzioni operative e allo stato corrente della tecnologia.

Nota: Indicativamente questa figura professionale può fare riferimento ai livelli EQF 5 e 6.

Responsabile della manutenzione

Sulle basi degli obiettivi dell’azienda, in particolare di quelle correlate alla disponibilità e qualità, il responsabile della manutenzione è responsabile dei valori richiesti di disponibilità/prestazioni dell’impianto (sulla base degli indicatori di prestazioni), incluse le seguenti competenze essenziali con la capacità di:

  1.          definire e sviluppare le politiche di manutenzione secondo le strategie aziendali;
  2.          definire i processi e gli strumenti a supporto delle attività di manutenzione;
  3.          definire, gestire e sviluppare il modello organizzativo della manutenzione;
  4.          garantire i livelli di disponibilità, affidabilità, manutenibilità, supporto logistico, sicurezza e qualità, richiesti per l’intera vita utile dei beni;
  5.          assicurare la corretta gestione e il miglioramento continuo della manutenzione;
  6.          assicurare e controllare la conformità al bilancio di manutenzione e aziendale, il rispetto delle attività di manutenzione pianificate e la corretta condizione dei beni;
  7.          definire le strategie, le politiche e i criteri per la gestione delle prestazioni degli assuntori e per la definizione del fabbisogno dei materiali di manutenzione.

La figura professionale assicura la conformità alle pertinenti leggi, ordinanze, direttive, istruzioni operative e allo stato corrente della tecnologia.

Nota: indicativamente questa figura può fare riferimento ai livelli EQF 6 e 7.

Nella norma, per ogni figura professionale e per ogni relativa competenza, sono previste una serie di abilità minime e di conoscenze essenziali necessarie.

Nelle appendici della norma troviamo esempi delle attività proprie delle relative figure professionali.

La norma è dedicata ai manutentori che operano in autonomia o che hanno la responsabilità di lavoratori da essi dipendenti. Per i restanti, che sono la maggioranza degli addetti alla manutenzione, ricordiamo che c’è l’obbligo del datore di lavoro di curare la loro formazione ed il loro addestramento, come previsto nel D.lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni.

La norma, per garantire che la qualificazione dei manutentori avvenga tenendo conto delle loro reali competenze ed esperienze, definisce i requisiti di accesso essenziali e l’esperienza, necessari per la qualificazione. Oltre alle abilità e alle conoscenze la norma, infatti, definisce gli anni di esperienza lavorativa con particolare riguardo all’esperienza di lavoro nelle attività di manutenzione. Per il responsabile di manutenzione, ad esempio, la norma richiede due anni di esperienza di leadership di gruppo o gestione di personale, con responsabilità diretta della funzione o servizio manutenzione.

La norma non indica i criteri di verifica, né tratta della formazione specialistica del personale, che è determinata dagli studi, dal settore merceologico in cui si opera, dalla formazione e dall’esperienza acquisite nell’attività di lavoro.

La norma è coerente con la legge n°4 del 14 gennaio 2013 riguardante le disposizioni in materia di “professioni non organizzate”. All’articolo 6 di detta legge, si precisa che la qualificazione delle prestazioni professionali si basa sulla conformità della medesima a norme tecniche UNI ISO, UNI EN ISO, UNI EN e UNI, di seguito denominate “normativa tecnica UNI”.

La qualificazione del personale di manutenzione che possiede le competenze, le conoscenze e le abilità contenute nella norma può essere ottenuta presso Enti autorizzati come previsto dalla Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e dal Decreto Legislativo 9 novembre 2007, n. 206 “Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania”. Vedere anche la legislazione e la normativa collegata.

L’utilizzo di fornitori di servizi di manutenzione che dispongono di personale qualificato, facilita la preselezione dei fornitori e fa sì che il committente faccia una scelta oggettiva e coerente con la sua “responsabilità in eligendo”. Parimenti l’azienda che ha alle sue dipendenze personale di manutenzione qualificato è consapevole di adempiere agli obblighi del datore di lavoro, potendo disporre di personale competente ed esperiente nel lavoro assegnatogli.

La Comunità Europea dispone quindi di una norma che definisce le competenze necessarie per i manutentori, ne valorizza l’esperienza, ne omogenizza la formazione, permette e facilita lo scambio di lavoratori tra le nazioni, prepara lavoratori sensibili alla sicurezza, alla salute all’ambiente, aperti all’innovazione tecnologica, attenti alla legislazione e alla normativa vigente.

(*) qualifica: Risultato formale di un processo di valutazione e convalida, acquisito quando l’autorità competente stabilisce che i risultati dell’apprendimento di una persona corrispondono a standard definiti.

[definizione tratta dalla Raccomandazione 2008/C 111/01/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008]

Ing. Francesco Cangialosi, Presidente Commissione Manutenzione UNI

Tratto dalla rivista UC, giugno 2015

Il latinorum ai tempi dell’industria 4.0

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La lingua italiana ha circa 60 milioni di parlanti  in patria, molti milioni all’estero; è la quarta lingua più parlata al mondo, vanta una tradizione culturale di grande livello, che non potrà mai tramontare; le nostre opere liriche sono ascoltate in italiano in tutto il mondo; la nostra lingua si accoppia bene ai primati connessi a cucina e turismo; molti stranieri vogliono parlare italiano per la sua particolare dolcezza e musicalità … peccato che qualcuno, proprio nella nostra classe dirigente, non di rado gli giri le spalle.

E’ facile riscontrare un uso eccessivo di anglismi integrali (cioè non adattati) in molti settori della comunicazione quotidiana, non solo tecnica: mission per mission o scopo, step per fase, location per posto o ambientazione, slide per diapositiva, spending review per revisione della spesa, crowdfunding per finanziamento collettivo, default per fallimento, jobs act per riforma del lavoro, stepchild adoption per adozione del figlio del compagno/a, bail-in per salvataggio interno.

Come nota Claudio Marazzini, Presidente dell’Accademia della Crusca, l’introduzione di anglicismi oscuri fanno ripensare alla funzione ingannatrice di quel latinorum di cui parlava Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi: c’è il rischio che i termini-truffa entrino nei regolamenti, nei testi di valore giuridico che governano la vita dei cittadini.

Il modello Industria 4.0 cita termini quali Advanced Automation, Smart Manufacturing, Supply Chain Integration, big data, open data, Internet of things, machine-to-machine e cloud computing.

Anche nel linguaggio manutentivo si usano molti termini anglosassoni: si pensi ai vari indicatori MTBF, MTTR,…., accettati ed inseriti nelle normative UNI sulla manutenzione; per la misura delle prestazioni si parla di OEE (Overall Equipment Effectiveness) invece che Produttività o Resa o Rendimento, ma in molti confondono effectiveness (efficacia) con efficiency (efficienza); conosciamo la parola Equipment e non sappiano che il termine ufficale scelto da UNI per identificare la macchina (impianto, gruppo,linea, attrezzatura,…) è Entità; CMMS invece che SIM o sistemi informatici di manutenzione; outsourcing invece che terziarizzazione; failure per guasto e fault per avaria; usiamo l’acronimo KPI per indicatori di prestazione, ma lo leggiamo male, pronunciando chi-pi-ai invece che chei-pi-ai!

In effetti una parola inglese può ammazzare tre o quattro parole italiane, cancellando le sfumature che sempre sono proprie dei sinonimi, in compenso sintetizzando i concetti e velocizzando la comunicazione: anche i più restii se ne faranno una ragione, perché, in definitiva, la lingua riflette le condizioni della società che l’adopera.

Le svalutazioni sono sempre a somma zero?

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Un manager di manutenzione dedica gran parte del suo tempo alla propria professione: i quotidiani problemi di “produttività” degli impianti non devono però far perdere di vista gli altri aspetti socio-economici che determinano la qualità della nostra vita attuale e futura. Guardare oltre il nostro “recinto” può aiutare a capire meglio il mondo in cui viviamo: il primo contributo a questo obiettivo è fornito dalla lettura dell’articolo di Alessandro Fugnoli ,  pubblicato a fine aprile sul sito Trend-online.com  , sulle relazione fra tassi e monete e macroeconomie globali. Buona lettura.

Il vero esotismo non è viaggiare dall’altra parte del mondo per scoprire le differenze tra un McDonald’s asiatico e uno di casa nostra. Esotismo è viaggiare nel tempo. Non nel futuro, dal momento che la fantascienza è inevitabilmente proiezione del presente, ma nel passato anche prossimo, così strano e così alieno.

Ci fu un tempo, dall’origine della nostra specie fino a un secolo e mezzo fa, in cui il concetto di privacy era praticamente sconosciuto e perfino il corpo del sovrano era pubblico. Re Sole provvedeva ogni mattina ai bisogni del corpo in una grande sala e nel frattempo discorreva di affari di stato con ospiti e cortigiani. Aveva però il privilegio di potere dormire da solo, se voleva. La camera da letto, dal neolitico in poi, era comunque un concetto noto solo alle classi alte delle città. Nelle campagne del mondo la stragrande maggioranza degli esseri umani, una volta uscita dalle grotte, aveva sempre vissuto in comune in quello che oggi chiameremmo un monolocale senza bagno, che fosse uno yurt dell’Asia centrale, una capanna africana o una cascina padana da albero degli zoccoli.In questo monolocale si dormiva tutti insieme cercando di affrontare il gelo delle notti d’inverno senza disperdere calore. Nelle campagne cinesi di 7 mila anni fa si dormiva su pietre che erano state precedentemente messe vicino al fuoco, nella domus romana era già in uso il camino, ma indumenti spessi e pesanti coperte erano comunque indispensabili per sopravvivere. Con dieci o venti persone tutte insieme le notti erano movimentate e le coperte, tirate da tutte le parti, si rivelavano regolarmente troppo piccole e lasciavano inevitabilmente scoperto qualcuno.

Oggi abbiamo i termostati e le termocoperte, mentre al MIT hanno già pronta una pellicola di polimeri alimentati a energia solare che, applicata al pigiama, può regolarne a comando la temperatura. Il concetto di coperta troppo corta rimane però, come metafora, quando in economia si parla di risorse scarse da distribuire.A livello globale, come è ben noto, il bene scarso di questi nostri anni è la crescita, che è la coperta che ci protegge dalla disoccupazione di massa e dall’instabilità sociale. Questa coperta è così preziosa che i vari paesi cercano ogni volta che possono di tirarla dalla loro parte svalutando la loro moneta. Poiché però la mia svalutazione è la rivalutazione degli altri ecco che si usa dire che i riallineamenti sono a somma zero. Se svaluto esporto di più e importo di meno, ma a spese dei miei vicini. La crescita globale resta invariata e la guerra valutaria genera solo instabilità e confusione, per cui può addirittura risultare a somma negativa se il mio vantaggio competitivo diventa più piccolo del danno creato agli altri.Questo, quanto meno, è quello che si usa dire, scuotendo la testa, soprattutto quando a svalutare sono gli altri. Come tutte le frasi fatte (e come molte delle regole che si studiano sui manuali di economia) la teoria della somma zero vale qualche volta, ma non sempre.Ci sono infatti due casi in cui tirare la coperta può risultare a somma positiva e produrre più calore per tutti.

Il primo caso è quando si tira la coperta tutti insieme, allargandola (si suppone in questo caso che la coperta sia elastica). Se tutti i paesi creano contemporaneamente nuova base monetaria attraverso il Quantitative easing è come se tutti svalutassero l’uno verso l’altro. I rapporti di cambio rimangono alla fine invariati e si crea uno stimolo. Se lo stimolo mette in moto risorse inutilizzate crea crescita, se le risorse inutilizzate non esistono più crea solo inflazione. Se le risorse inutilizzate esistono ancora, ma non hanno voglia o modo di essere utilizzate lo stimolo ritorna al mittente (le banche ridepositano in banca centrale i soldi del Qe) e non succede niente. In questi anni abbiamo visto che lo stimolo ha avuto in parte il primo effetto e in parte il terzo. Alla fine, per quanto inferiore alle attese, è stato positivo.

Il secondo caso di coperta tirata a somma positiva è quando la coperta, senza cambiare forma o dimensione, viene spostata da una parte e dall’altra con uno spirito di cooperazione. Tutti abbiamo freddo, ma se qualcuno ha la febbre (e a turno capita a tutti) accettiamo di rimanere con una gamba o un braccio scoperti per coprire bene il malato. Se si tratta di un figlio piccolo lo facciamo volentieri, se si tratta di un parente lontano siamo meno lieti ma lo facciamo lo stesso. È lo spirito con cui si va ad aiutare il vicino che ha la casa a fuoco perché si sa che il fuoco potrebbe arrivare anche da noi.In questi anni post-2008 la coperta l’hanno tirata per primi gli Stati Uniti, che hanno inventato (o riscoperto) il Qe e hanno deciso che se non guarivano loro non sarebbe guarito comunque nessuno. Gli altri hanno accettato. Lo yen è salito fino a 80, l’euro fino a 1.50 e il renminbi ha continuato a rafforzarsi fino all’agosto scorso.Gli Stati Uniti sono guariti e si è ammalato invece il Giappone, che nel 2013 e poi di nuovo a fine 2014 ha svalutato fino a che non sono occorsi 125 yen per comprare un dollaro. Nessuno dei vicini ha fatto i salti di gioia ma Abe è stato bravo a convincere il mondo che la svalutazione, accompagnata dalle altre misure fiscali e strutturali, ci avrebbe restituito un Giappone risanato.Nella primavera del 2014 è stata l’Europa, con la sua parte meridionale esausta dopo tre anni di austerità, a mettersi in malattia e a curarsi con Qe e svalutazione. Anche questa volta i vicini hanno accettato di spostare la coperta. Un’implosione dell’Europa in un mondo fragile sarebbe stata devastante.

Nel 2013 hanno cominciato ad ammalarsi anche molti emergenti. La febbre si è alzata di nuovo nel 2015 per i molti di loro che producono materie prime e ha raggiunto in certi casi livelli pericolosi. E così l’anno scorso è stato loro concesso di tirare la coperta aggressivamente. Oggi non sono guariti, ma sono comunque sopravvissuti a una crisi gravissima e, sia pure barcollanti, sono di nuovo in piedi.Nel 2015, in agosto, la Cina ha smesso di fare finta di essere sana e ha fatto capire ai vicini di non farcela più a stare agganciata a un dollaro sempre più forte. In settembre la Yellen ha dichiarato ufficialmente che anche agli Stati Uniti cominciava a mancare il fiato. Questa idea è stata poi ribadita dalla stessa Yellen due settimane fa. Da settembre a oggi, del resto, l’economia americana è cresciuta pochissimo.Da qualche tempo, quindi, sono gli Stati Uniti (ufficialmente a nome della Cina) a tirare la coperta. Tutti gli altri hanno restituito all’incirca un quarto della loro svalutazione rispetto al dollaro.Il G 20 di Shanghai di fine febbraio si conferma ogni giorno di più come un piccolo Plaza (l’accordo del 1985 che fermò l’ascesa del dollaro). Nelle settimane che sono seguite a Shanghai abbiamo visto una nuova manovra europea studiata in modo da non indebolire l’euro. Il Giappone, dal canto suo, rinunciando ad allargare ulteriormente il suo Qe, ha implicitamente rinunciato a riportare lo yen a 125 (ora è a 108) anche se la sua economia ha perso una parte notevole dei progressi dovuti alla prima Abenomics. La Corea ha accettato di rivalutare insieme allo yen e perfino la Nuova Zelanda, rinunciando ad abbassare i tassi, ha accettato di non svalutare più.

Da una parte c’è la sensazione che allargare troppo il Qe è inutile e che i tassi negativi, oltre una certa misura, siano profondamente destabilizzanti. Dall’altra c’è la richiesta americana di una tregua sul dollaro.A questo punto la coperta è posizionata in modo ottimale, perché nessuno sta troppo bene e nessuno sta troppo male. Il paese che sta meglio, a guardare i numeri, è la Germania, che è anche quella che si lamenta più di tutti.La Germania, da paese mercantilista che non esporta mai abbastanza e non ha mai un cambio basso come vorrebbe, ha sviluppato negli anni una grande abilità nell’atteggiarsi a vittima. Prima l’unificazione, poi i disastrosi investimenti tedeschi nella tecnologia in bolla del 1999-2000, poi il peso morto del resto dell’Eurozona, poi il 2008, poi la Grecia e l’Italia, oggi la Cina in cui è più difficile esportare, Brexit, di nuovo la Grecia, le banche italiane, i rifugiati, insomma la Germania non è mai a corto di scuse per lamentarsi non solo all’interno dell’eurozona ma anche verso il resto del mondo. Dobbiamo comunque stare attenti a criticarla troppo, noi in Italia, perché questa capacità tedesca di tenere l’euro basso pur in presenza di un surplus delle partite correnti ci fa molto comodo.L’equilibrio attuale dei cambi può tenere a patto che tengano i suoi due anelli deboli, la Cina e l’America. Per l’America non c’è troppo da preoccuparsi perché ha una solidità strutturale senza pari. Per la Cina c’è da chiedersi quanto potrà andare avanti con lo stimolo del credito, ma per il momento le cose sono sotto controllo.

L’America, sempre più vicina alla piena occupazione, ha bisogno di alzare i tassi, ma non può farlo con un dollaro troppo forte. La coperta verrà dunque aggiustata fino a che la Cina sarà capace di assorbire un rialzo americano senza svalutare. In pratica ci sarà il rialzo il giorno in cui le economie americana e cinese andranno bene contemporaneamente. La prossima verifica sarà a giugno, ma se l’America andrà piano come adesso il rialzo verrà rimandato di nuovo.In questo clima tiepido e forse anche freddino borse e bond galleggiano senza troppi problemi. Il ribilanciamento dei portafogli dopo le vendite da panico di gennaio e febbraio è completato e lo spazio per salire è molto ridotto. In un mondo stabile (o semplicemente percepito come tale) occorrerebbe comunque uno shock esterno per fare ritracciare i mercati. Più che alleggerire si tratta quindi, in questa fase, di riposizionarsi verso ciclici ed emergenti nella speranza ragionevole che l’economia americana, grazie al dollaro più debole, torni ad accelerare.

Rapporto TESEM sulla manutenzione

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A fine 2015 TeSeM ha reso pubblico il report annuale, compendio di due interessanti indagini, complementari negli obiettivi e nelle modalità, ma sinergiche nei risultati: il benchmark della manutenzione, continuazione della ricerca iniziata nel 2012, e una riflessione sulle prospettive di implementazione dell’ Asset Management nell’industria italiana

L’Osservatorio TeSeM della School of Management del Politecnico di Milano è ormai riconosciuto come un punto di osservazione privilegiato sulle innovazioni di tecnologie e di servizi per la manutenzione. Sono oggetto di studio dell’Osservatorio tutti i temi pertinenti l’innovazione della manutenzione quali le tecnologie diagnostiche, i sistemi informativi e ICT di supporto, le pratiche di ingegneria di manutenzione, il full service e altre forme innovative per la fornitura di servizi di manutenzione, riservando una particolare attenzione alle conseguenze sul “business” aziendale e ai cambiamenti organizzativi indotti dalle innovazioni studiate. Con questi interessi di scopo, l’Osservatorio è un’iniziativa al di sopra delle parti che promuove la costituzione di una community permanente di confronto tra la domanda e l’offerta di tecnologie e servizi per la manutenzione.

Obiettivo della ricerca è di studiare l’evoluzione verso la manutenzione basata sulle condizioni (on condition maintenance), attraverso diversi stadi di sviluppo, a partire dalla manutenzione correttiva (a guasto) per arrivare al giusto mix di politiche che la rappresentino la soluzione ottimale per soddisfare le strategie e le sinergie aziendali. Per rispondere a questo obiettivo generale Tesem prevede di focalizzarsi sulle migliori pratiche e tecnologie disponibili, ponendo particolare attenzione a diversi fattori: il ruolo del sistema informativo per lo sviluppo delle politiche di manutenzione; le opportunità degli strumenti di mobile maintenance per l’attività sul campo; lo sviluppo delle tecnologie diagnostiche e prognostiche a supporto delle decisioni; il ruolo dell’ingegneria di manutenzione per la pianificazione delle politiche; lo sviluppo delle politiche e la gestione delle risorse di manutenzione.

leggi l’articolo pubblicato da Trasmissioni di Potenza (Tecniche Nuove Editore)

Industry 4.0, la voce di chi produce

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Si è svolto Venerdì 18 marzo ad Assago (MI) il Convegno Industry 4.0, la voce di chi produce, organizzato da Festo Spa in occasione del sessantesimo anniversario dalla sua fondazione.

Advanced Automation, Smart Factory & Smart Manufacturing, Supply Chain Integration, Interconnessione.

Cosa rappresentano le diverse facce dell’Industry 4.0 e Internet of Things per il settore manifatturiero e come impatteranno nella pratica sulle performance di business?
A che punto siamo in Italia e cosa cambierà realmente?
Come si stanno muovendo i costruttori di macchine e impianti per soddisfare le aspettative delle aziende produttrici?
Attorno a questi temi è giunta la testimonianza attiva di chi studia gli scenari, chi sviluppa la tecnologia, dei costruttori di plants & machines e degli attori dell’industrial manufacturing. Uno sguardo davvero a 360 gradi sull’Industry 4.0!

In modello industriale 4.0 scaturisce dalla quarta rivoluzione industriale. L’espressione tedesca Industrie 4.0 è stata usata per la prima volta alla Fiera di Hannover nel 2011 in Germania. Non esiste ancora una definizione esauriente del fenomeno, ma in estrema sintesi alcuni analisti tendono a descriverla come un processo che porterà alla produzione industriale completamente  automatizzata e interconnessa. Le nuove tecnologie digitali avranno un impatto profondo nell’ambito di quattro direttrici di sviluppo: la prima riguarda l’utilizzo dei dati, la potenza di calcolo e la connettività, e si declina in big data, open data, internet of things, machine-to-machine e cloud computing. La seconda è quella della analisi: una volta raccolti, i dati devono produrre valore. La terza direttrice di sviluppo è l’interazione tra uomo e macchina, che coinvolge le interfacce touch e la realtà aumentata. Infine il settore che si occupa del passaggio dal digitale al reale, che comprende la manifattura, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni. Oltre a Festo Industrial Automation, anche il Gruppo BMW cambierà l’organizzazione produttiva della rete globale, annunciando il programma Manufacturing 4.0, orientato ad una maggiore digitalizzazione, ad un’ulteriore spinta sul fronte della robotizzazione e a una forte automazione della logistica.

Sarà fondamentale capire come i processi di manutenzione si dovranno inserire ed integrare nel modo più efficace e costruttivo nel modello industriale 4.o.

 

 

 

Nuove norme ISO 5000x

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L’Asset management (AM) è definito insieme di attività coordinate attraverso le quali una organizzazione crea valore dalla gestione degli asset: il nuovo pacchetto di norme internazionali ISO 5500x del 2014 dettano le linee guida per la gestione degli asset basata sul valore. Si intende che il valore fornito dagli asset è il criterio decisionale per fare scelte fra diverse opzioni di gesione degli asset, portando ad una migliore efficienza ed una maggiore redditività.

La ISO 5500x è composta da 3 norme: la ISO 55000 offre una panoramica sull’AM per quanto riguarda definizioni e principi; la ISO 55001 definisce i requisiti per implemetare un sistema di AM; la ISO 55002 fornisce le linee guida per l’applicazione della ISO 55001

L’ISO 55000 è applicabile a qualunque settore industriale e considera diversi tipi di asset: quelli materiali intesi come infrastrutture, impianti, attrezzature, edifici e altri oggetti tangibili ma anche gli asset intangibili quali i dati aziendali di buona qualità, i sistemi informatici, le licenze e gli asset immateriali come il marchio, la reputazione, l’immagine, la fedeltà dei clienti dell’organizzazione.

Gli asset fisici sono però la linfa vitale di tutti i processi produttivi. Se un asset critico dovesse guastarsi, potrebbe non solo causare un problema per la sicurezza o per l’ambiente, ma anche interrompere il business fintanto che non viene riparato o sostituito. Grazie all’applicazione dello standard, le aziende possono ottenere una visione completa dell’integrità dell’intero impianto, rimuovendo gli approcci a compartimenti stagni che esistono in molte strutture. Possono anche creare un piano strategico per l’utilizzo delle risorse e la manutenzione in modo che le riparazioni e le sostituzioni siano programmate con il minimo disturbo alle produzioni.

Lo standard ISO 55000 definisce le norme per una buona gestione degli asset e richiede che sia sviluppato e documentato un Asset Management System (AMS).

L’ISO 55000 molto probabilmente diventerà la base sulla quale le autorità di regolamentazione economica valuteranno le richieste d’adeguamento prezzi che le aziende di pubblico servizio avanzeranno con la giustificazione di proteggere l’integrità a lungo termine delle attività e gli interessi pubblici. Per le aziende che non lavorano in settori regolamentati, l’ISO 55000 sarà il punto di riferimento di un’adeguata gestione degli asset, contribuendo quindi ad assicurare una certa protezione giuridica e assicurativa per quanto riguarda sicurezza, ambiente e salute. Alcune organizzazioni possono considerare la certificazione come incentivo per gli investitori o come fonte di vantaggio commerciale, così come alcuni consigli di amministrazione potranno valutare il potenziale di efficienza organizzativa e il successivo vantaggio commerciale inerenti a buone pratiche di gestione degli Asset.

Le Aziende possono decidere di approcciare le ISO 5500x sostanzialmente in 3 modi alternativi: per allineamento, aggiornando sole le procedure standard che ritiene più appropriate; per conformità, aggiornando tutte le procedure; infine tramite certificazione, completando cioè l’approccio precedente di conformità con l’attività ed i costi di certificazione e mantenimento

Survey su livello di maturità dei processi di manutenzione

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Relazione annuale di Festo Consulting relativa alla importante attività di Survey sui processi di manutenzione, ad un anno dall’avvio della raccolta delle autovalutazioni, coordinata e presentata dall’ing. Graziano Perotti.

La survey ha coinvolto 150 siti produttivi italiani, coinvolgendo Direttori di stabilimento, Direttori industriali e tecnici, Manager di manutenzione. Si può accedere al questionario di autovalutazione dal sito Maintaudit.com .

Tabelle riassuntive delle risposte alle domande specifiche del questionario di autovalutazione.

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Webinar: Qualifica personale di manutenzione (norma UNI EN 15628)

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La norma UNI EN 15628 specifica la qualifica del personale in relazione ai compiti da svolgere nel contesto della manutenzione di impianti, infrastrutture e sistemi di produzione.
Essa costituisce una guida per definire le conoscenze, le abilità e le competenze necessarie per la qualifica del personale addetto alla manutenzione.
La norma non specifica i criteri di verifica né la formazione specialistica del personale che è correlata allo specifico settore merceologico.

In questo webinar l’ing. Graziano Perotti approfondisce gli aspetti legati alla norma UNI EN 15628 sulla Qualifica personale di manutenzione.

UNI – Norme sul Condition Monitoring

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UNI ISO 10816-1; 28 mar. 2007 – Vibrazioni meccaniche – Valutazione delle vibrazioni delle macchine mediante misurazioni sulle parti non rotanti – Parte 1: Linee guida generali
La norma stabilisce condizioni generali e procedimenti per la misurazione e la valutazione delle vibrazioni di vari tipi di macchine quando le misurazioni delle vibrazioni sono eseguite su alberi rotanti

UNI ISO 10816-3; 28 mar. 2007 – Vibrazioni meccaniche – Valutazione delle vibrazioni delle macchine mediante misurazioni sulle parti non rotanti – Parte 3: Macchine industriali con potenza nominale maggiore di 15 kW e velocità di rotazione nominale compresa tra 120 giri/min e 15 000 giri/min, quando misurate in opera.
La norma fornisce i criteri per la misurazione delle vibrazioni a gruppi macchina con potenza maggiore di 15 kW e velocità operativa tra 120 giri/min e 15 000 giri/min. I gruppi macchina trattati nella norma comprendono: turbine a vapore con potenza fino a 50 MW; turbo-gruppi a vapore con potenza maggiore di 50 MW e velocità minori di 1 500 giri/min o maggiori di 3 600 giri/min (non inclusi nella ISO 10816-2);-compressori rotativi; turbine a gas industriali con potenza fino a 3 MW;-pompe centrifughe; generatori, tranne quelli usati negli impianti idroelettrici e di pompaggio; motori elettrici di qualsiasi tipo; soffianti o ventilatori

UNI ISO 10816-5; 28 mar. 2007 – Vibrazioni meccaniche – Valutazione delle vibrazioni delle macchine mediante misurazioni sulle parti non rotanti – Parte 5: Gruppi macchina in centrali idroelettriche di generazione e di pompaggio
La norma fornisce i criteri per la misurazione delle vibrazioni a gruppi macchina in centrali idroelettriche di generazione e di pompaggio

UNI ISO 10816-6; 28 mar. 2007 – Vibrazioni meccaniche – Valutazione delle vibrazioni delle macchine mediante misurazioni sulle parti non rotanti – Parte 6: Macchine alternative con potenza maggiore di 100 kW.
La norma fornisce i criteri per la misurazione delle vibrazioni a macchine alternative con potenza maggiore di 100 kW

UNI ISO 13373-1; 28 giu. 2006 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Monitoraggio dello stato vibrazionale – Parte 1: Procedure generali
La norma fornisce linee guida generali per le attività di misurazione e di raccolta di dati sulle vibrazioni di macchine, ai fini del monitoraggio del loro stato. Essa è indirizzata a promuovere la coerenza di procedure e di prassi di misurazione che di solito si focalizzano su macchine rotanti. Data la diversità tra gli approcci al monitoraggio delle condizioni, in altre parti della UNI ISO 13373 si farà riferimento a raccomandazioni specifiche a un particolare tipo di programma di monitoraggio. Lo stato vibrazionale di una macchina può essere monitorato mediante misurazioni delle vibrazioni su un cuscinetto o su una struttura di supporto e/o mediante misurazioni delle vibrazioni di elementi rotanti della macchina. Le misurazioni possono essere continue o discontinue e nella norma si fornisce una guida per entrambe le modalità di misurazione

UNI ISO 13373-2; 28 giu. 2006 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Monitoraggio dello stato di vibrazione – Parte 2: Elaborazione, analisi e presentazione
La norma propone procedimenti per l’elaborazione e la presentazione di dati sulle vibrazioni e per l’analisi delle “signatures” della vibrazione, allo scopo di monitorare lo stato vibrazionale di macchine rotanti e, se pertinente, di eseguirne una diagnostica. Essa descrive tecniche diverse per applicazioni diverse, ivi compresi le tecniche di amplificazione del segnale e i metodi di analisi usati nell’indagine di particolari fenomeni dinamici della macchina. La norma fa essenzialmente ricorso, nell’analisi dei segnali di vibrazione, di due approcci di base: il dominio del tempo e il dominio della frequenza. Essa comprende soltanto le tecniche più comunemente impiegate nel monitoraggio, nell’analisi e nella diagnostica dello stato vibrazionale di macchine.

UNI ISO 13374-2:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Elaborazione dei dati, comunicazione e presentazione – Parte 2: Elaborazione dati

UNI ISO 13379:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Linee guida generali sulle tecniche d’interpretazione dei dati e per la diagnosi

UNI ISO 13380:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Linee guida generali sull’uso dei parametri prestazionali

UNI ISO 13381-1:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Prognostica – Parte 1: Linee guida generali

UNI ISO 13436-1:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Requisiti per il training e la certificazione del personale – Parte 1: Requisiti per gli Enti di certificazione ed il processo di certificazione

UNI ISO 13436-2:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Requisiti per il training e la certificazione del personale – Parte 2: Monitoraggio e diagnostica delle vibrazioni

UNI ISO 13436-3:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Requisiti per il training e la certificazione del personale – Parte 3: Requisiti per gli Enti di formazione e per il processo di formazione

UNI ISO 13436-4:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Requisiti per il training e la certificazione del personale – Parte 4: Analisi in campo della lubrificazione

UNI ISO 13436-6:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Requisiti per il training e la certificazione del personale – Parte 6: Emissioni acustiche

UNI ISO 13436-7:2010 – Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine – Requisiti per il training e la certificazione del personale – Parte 7: Termografia

UNI ISO 7919-1:2010 – Vibrazioni meccaniche di macchine non alternative – Misurazioni su alberi rotanti e criteri di valutazione – Parte 1: Linee guida generali
La norma descrive delle linee guida generali per la misura e la valutazione delle vibrazioni di vari tipi di macchine quando le misurazioni delle vibrazioni sono eseguite su alberi rotanti.

UNI ISO 7919-2:2010 – Vibrazioni meccaniche – Valutazione delle vibrazioni di macchine mediante misurazione su alberi rotanti – Parte 2: Turbine a vapore e generatori per installazione terrestre con potenza maggiore di 50 MW e velocità di rotazione nominali di 1 500 giri/min, 1 800 giri/min, 3 000 giri/min e 3 600 giri/min
La norma fornisce delle linee guida per applicare i criteri di valutazione per alberi vibranti misurata nella direzione radiale in corrispondenza o vicino ai cuscinetti di turbine a vapore e generatori.

UNI ISO 7919-3:2010 – Vibrazioni meccaniche di macchine non alternative – Misurazioni su alberi rotanti e criteri di valutazione – Parte 3: Macchine industriali accoppiate
La norma fornisce delle linee guida per applicare i criteri di valutazione per alberi vibranti in condizioni di funzionamento normali, misurata in corrispondenza o vicino ai cuscinetti di macchine industriali accoppiate.

UNI ISO 7919-4:2010 – Vibrazioni meccaniche di macchine non alternative – Misurazioni su alberi rotanti e criteri di valutazione – Parte 4: Gruppi turbine a gas
La norma fornisce delle linee guida per applicare i criteri di valutazione per alberi vibranti in condizioni di funzionamento normali, misurata in corrispondenza o vicino ai gruppi di turbine a gas.

UNI ISO 7919-5:2010 – Vibrazioni meccaniche – Valutazione delle vibrazioni di macchine mediante misurazione su alberi rotanti – Parte 5: Gruppi in centrali idroelettriche di generazione e pompaggio
La norma fornisce delle linee guida per applicare i criteri di valutazione per alberi vibranti in condizioni di funzionamento normali, misurata in corrispondenza o vicino alle macchine o ai gruppi in centrali idroelettriche di generazione e pompaggio.

UNI ISO 19499:2011 – Vibrazioni meccaniche – bilanciamento – guida all’uso e all’applicazione delle norme sul bilanciamento

UNI – Norme sulla sezione Trasporti

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UNI 11069; 1 set. 2003 – Manutenzione – Indici di manutenzione dei rotabili su gomma in servizio di linea a limitata percorrenza e frequenti fermate
La norma intende fornire una metodologia per raccogliere le informazioni sull’efficacia ed efficienza della politica di manutenzione, attraverso la raccolta di indici

UNI 11082; 1 ott. 2003 – Manutenzione – Terminologia specifica per il settore del trasporto collettivo
La norma intende guidare il settore dei trasporti collettivi su gomma e su rotaia alla corretta applicazione della terminologia di base che viene arricchita, spiegata o semplificata in base alle esigenze di settore

UNI 11134; 1 feb. 2005 – Manutenzione – Indici di manutenzione per il settore del trasporto collettivo. La norma intende guidare il settore dei trasporti collettivi alla corretta applicazione degli indici contenuti nella UNI 10388, che viene arricchita, spiegata o semplificata in base alle esigenze di settore.

UNI 11178:2006 – Manutenzione – Indici di manutenzione – Guida per la applicazione della UNI 10388 (ritirata) al settore delle infrastrutture dei trasporti collettivi su ferro

UNI 11282:2008 – Manutenzione dei mezzi di trasporto collettivo – Valutazione e valorizzazione di flotte di rotabili su gomma

UNI – Norme su Facility Management

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UNI 10604; 31 mar. 1997 – Manutenzione. Criteri di progettazione, gestione e controllo dei servizi di manutenzione di immobili.
Si propone di fornire indicazioni per le attività legate alla manutenzione degli immobili.

UNI 10652:2009 – Manutenzione. Valutazione e valorizzazione dello stato dei beni.
La norma si propone di integrare il contenuto della UNI 10388, fornendo una serie di indicazioni qualitative e quantitative.

UNI 10831-1; 30 set. 1999 – Manutenzione dei patrimoni immobiliari – Documentazione ed informazioni di base per il servizio di manutenzione da produrre per i progetti dichiarati eseguibili ed eseguiti – Struttura, contenuti e livelli della documentazione
La norma definisce i contenuti di una documentazione unificata di progetto dell’opera edilizia e delle sue parti funzionali destinata agli operatori di gestione per la manutenzione dell’edificio e per la conduzione dell’esercizio degli impianti tecnici. Essa si applica agli interventi di nuova costruzione per qualsiasi destinazione d’uso di edificio.

UNI 10831-2; 28 feb. 2001 – Manutenzione dei patrimoni immobiliari – Documentazione ed informazioni di base per il servizio di manutenzione da produrre per i progetti dichiarati eseguibili ed eseguiti – Articolazione dei contenuti della documentazione tecnica e unificazione dei tipi di elaborato
La norma contiene approfondimenti relativi alla documentazione trattata nella prima parte, con lo stesso campo di applicazione.

UNI 10874; 31 mar. 2000 – Manutenzione dei patrimoni immobiliari. Criteri di stesura dei manuali d’uso e di manutenzione.
La norma definisce contenuti e criteri per la stesura dei manuali relativi ai servizi di manutenzione degli immobili con riferimento ad ogni componente edilizio, al fine di guidare o supportare le parti coinvolte

UNI 10951; 31 lug. 2001 – Sistemi informativi per la gestione della manutenzione dei patrimoni immobiliari – Linee guida
La norma fornisce linee guida metodologico-operative per la progettazione, la realizzazione, l’utilizzo e l’aggiornamento di sistemi informativi per la gestione della manutenzione dei patrimoni immobiliari e per la relativa informatizzazione

UNI 11257:2007; 15 nov. 2007 – Manutenzione dei patrimoni immobiliari – Criteri per la stesura del piano e del programma di manutenzione dei beni edilizi – Linee guida
La norma fornisce i criteri per elaborare i piani e i programmi di manutenzione applicabili agli edifici esistenti e agli edifici in costruzione. Si applica a singoli edifici (indipendentemente dalla destinazione d’uso) e loro pertinenze, subsistemi edilizi e impiantistici, componenti ed elementi tecnici

UNI CEN/TS 15331; 28 feb. 2006 – Criteri di progettazione, gestione e controllo dei servizi di manutenzione degli edifici
La presente specifica tecnica è la versione ufficiale in lingua inglese della specifica tecnica europea CEN/TS 15331 (edizione dicembre 2005). La specifica tecnica fornisce i criteri e i metodi generali nella pianificazione, gestione, controllo della manutenzione degli edifici e delle relative pertinenze in relazione agli obiettivi di proprietari ed utilizzatori e per la qualità dei servizi di manutenzione

UNI 11136; 1 set. 2004 – Global service per la manutenzione dei patrimoni immobiliari – Linee guida
La norma fornisce una guida ai committenti e agli assuntori per l’impostazione dei processi di global service di manutenzione immobiliare, al fine di uniformarne l’approccio, su una base comune di riferimento metodologico- operativo, da parte di committenti e assuntori. Essa si applica:- dopo la decisione del committente di intraprendere questo tipo di contratto;- prima della valutazione dei progetti di offerta formulati dai potenziali assuntori. Affronta la fase di richiesta del committente e la fase di impostazione del progetto di offerta da parte del potenziale assuntore.

UNI EN 15221-1; 18 gen. 2007 – Facility Management – Parte 1: Termini e definizioni
La presente norma è la versione ufficiale in lingua inglese della norma europea EN 15221-1 (edizione ottobre 2006). La norma fornisce i termini e le definizioni applicabili all’area del Facility Management. Essa inoltre fornisce conoscenze sullo scopo e campo di applicazione del Facility Management

UNI EN 15221-2; 18 gen. 2007 – Facility Management – Parte 2: Linee guida per preparare accordi di Facility Management
La presente norma è la versione ufficiale in lingua inglese della norma europea EN 15221-2 (edizione ottobre 2006). La norma fornisce delle linee guida per preparare accordi di Facility Management.

UNI 15221-1-2007 – Termini e definizioni
UNI 15221-2-2007 – Linee guida per preparare accordi di Facility Management
UNI 15221-3-2007 – Linee guida sulla qualità Facility Management
UNI 15221-4-2007 – Tassonomia, classificazione e strutture del Facility Management
UNI 15221-5-2007 – Guida ai processi nel Facility Management
UNI 15221-6-2007 – Facility Management. Misurazione dell’area e degli spazi nel Facility Management
UNI 15221-7-2007 – Facility Management: Linee guida per il benchmarking delle prestazioni

UNI – Norme sui servizi e contratti

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UNI 10144; 26 ott. 2006 – Classificazione dei servizi di manutenzione.
Ha lo scopo di classificare i servizi di manutenzione sotto l’aspetto di: tipologia dei servizi, specializzazioni del servizio, modalità, ambiti, al fine di avere un unico riferimento per tutte le norme che riguardano la contrattualistica di manutenzione.

UNI 10145; 8 mar. 2007 – Definizione dei fattori di valutazione delle imprese fornitrici di servizi di manutenzione.
Ha lo scopo di stabilire una serie di fattori di giudizio significativi per la valutazione di una impresa fornitrice di servizi di manutenzione. Non fornisce criteri di valutazione, nè valori minimi di accettabilità, ma suggerisce i fattori di valutazione di carattere generale e di orientamento atti ad accertare in che misura l’impresa è in grado di soddisfare le esigenze dell’utilizzatore. Essa pertanto non si occupa di assicurazione della qualità o di conduzione aziendale per la qualità, argomenti già affrontati dalle norme serie UNI EN serie 29000. Essa ha carattere generale e orientativo e può essere integrata da norme specifiche per le varie tipologie di servizi. I fattori di giudizio sono: informazioni acquisibili per via documentale e valutazione sull’impresa attraverso visita.

UNI 10146; 7 giu. 2007 – Criteri per la formulazione di un contratto per la fornitura di servizi finalizzati alla manutenzione.
Ha lo scopo di: indicare comportamenti idonei per agevolare e tutelare le parti nella stesura degli atti relativi e propedeutici alla stesura di contratti di appalto per la fornitura di servizi di manutenzione; uniformare i comportamenti del mercato; definire i requisiti essenziali del contratto; indirizzare alla formulazione di atti il più possibile completi. Appendice A: Garanzia di fidejussoria. Appendice B: Nomina del direttore dei lavori. Appendice C: Nomina del capo cantiere. Appendice D: Nomina dell’esperto di problemi di sicurezza. Appendice E: Nomina del supervisore ai lavori per conto del committente. Appendice F: Verbale di consegna lavori. Appendice G: Verbale di ultimazione lavori. Appendice H: Verbale di collaudo ed accettazione dell’opera. Appendice I: Indice alfabetico.

UNI 10148; 7 giu. 2007 – Manutenzione. Gestione di un contratto di manutenzione.
Ha lo scopo di facilitare l’applicazione del contratto indicando i criteri tecnici, organizzativi ed amministrativi per la sua gestione operativa. A tal fine essa: precisa le attività operative di controllo; detta le modalità organizzative, tecniche e amministrative per una corretta applicazione delle clausole contrattuali; chiarisce il ruolo ed i limiti di delega delle risorse umane coinvolte; definisce una metodologia che consenta il controllo del servizio svolto, nel rispetto del contratto e delle disposizioni in ordine alla sicurezza e igiene ambientale. Si applica ai contratti di appalto per attività di manutenzione e di servizi finalizzati alla manutenzione, svolti presso il committente. Appendice A: Garanzia fidejussoria. Appendice B: Nomina del direttore dei lavori. Appendice C: Nomina del capo cantiere. Appendice D: Nomina dell’esperto di problemi di sicurezza. Appendice E: Nomina del supervisore ai lavori per conto del committente. Appendice F: Verbale di consegna lavori. Appendice G: Verbale di ultimazione lavori. Appendice H: Verbale di collaudo ed accettazione dell’opera. Appendice I: Verbale di constatazione.

UNI 10449:2008 – Manutenzione. Criteri per la formulazione e gestione del permesso di lavoro.

UNI 10685:2007 – Manutenzione. Criteri per la formulazione di un contratto basato sui risultati (global service di manutenzione).
La norma fornisce criteri per la stesura di un contratto di manutenzione basato sui risultati (“global service” di manutenzione). Essa ha lo scopo di dare alle parti una base di riferimento nella definizione del contratto di manutenzione basato sui risultati, e dei relativi atti propedeutici. Inoltre ha lo scopo di uniformare i comportamenti del mercato, di definire i requisiti essenziali del contratto e di indirizzare alla formulazione di atti il più possibile completi.

UNI 11126; 1 ago. 2004 – Telemanutenzione – Criteri per la predisposizione dei beni e per la definizione del servizio collegato
La norma definisce le funzioni dei sistemi telematici applicati ai processi di manutenzione. Essa indica i requisiti che il sistema di manutenzione deve possedere per essere gestito in remoto e fornisce le indicazioni generali per la predisposizione del bene ad essere oggetto di telemanutenzione in relazione agli aspetti tecnologici, organizzativi e progettuali del processo in remoto ed in relazione ai requisiti dell’utenza.

UNI EN 13269:2006 – Linee guida per la preparazione dei contratti di manutenzione

UNI – Norme generali sulla manutenzione

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Elenco delle norme di manutenzione UNI rigurdanti gli aspetti generali

UNI 10749-5; 1 ott. 2003 – Manutenzione – Guida per la gestione dei materiali per la manutenzione – Criteri di acquisizione, controllo e collaudo
La norma fornisce una guida per l’approvvigionamento, controllo e collaudo dei materiali tecnici per la manutenzione.

UNI 10749-6; 1 ott. 2003 – Manutenzione – Guida per la gestione dei materiali per la manutenzione – Criteri amministrativi
La norma fornisce indicazioni sui metodi e i criteri che possono essere utilizzati per la determinazione dei valori unitari di carico, scarico e giacenza dei materiali a magazzino. Essa fornisce, inoltre, indicazioni atte ad individuare i costi che sono solitamente connessi alla disponibilità dei materiali.

UNI 10992; 1 set. 2002 – Previsione tecnica ed economica delle attività di manutenzione (budget di manutenzione) di aziende produttrici di beni e servizi – Criteri per la definizione, approvazione, gestione e controllo
La norma fornisce indirizzi per la previsione tecnica ed economica (budget) delle attività di manutenzione. La previsione tecnico- economica non è disgiunta dall’efficacia, che non viene però verificata dalla norma

UNI 11063; 1 mag. 2003 – Manutenzione – Definizioni di manutenzione ordinaria e straordinaria
La norma fornisce una classificazione delle attività di manutenzione, distinguendo tali attività in “manutenzione ordinaria” e “manutenzione straordinaria”. Essa integra la terminologia descritta nelle UNI EN 13306, UNI 9910 e

UNI 10147, in uso nella manutenzione, allo scopo di uniformare i comportamenti degli utenti. Si applica a tutti i settori in cui è prevista un’attività di manutenzione

UNI EN 13306 : 2010 – Manutenzione – Terminologia
La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 13306 (edizione aprile 2001). La norma specifica i termini generici e le loro definizioni per le aree tecniche,amministrative e gestionali della manutenzione. La sua applicazione non è prevista per i termini utilizzati esclusivamente per la manutenzione di programmi di informatica

UNI EN 13460:2009 – Manutenzione – Documenti per la manutenzione
La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 13460 (edizione maggio 2002). La norma fornisce delle linee guida generali per:- la documentazione tecnica da allegare ad un bene, prima della sua messa in servizio, per essere di supporto alla sua manutenzione;- la documentazione delle informazioni da stabilire durante la fase operativa di un bene, per essere di supporto ai requisiti di manutenzione

UNI EN 15341; 5 lug. 2007 – Manutenzione – Indicatori di prestazione della manutenzione (KPI)
La presente norma è la versione ufficiale in lingua inglese della norma europea EN 15341 (edizione marzo 2007). La norma descrive un sistema per la gestione degli indicatori di manutenzione atti a misurarne le prestazioni nel quadro di fattori d’influenza quali gli aspetti economici, tecnici ed organizzativi, per valutare e migliorare la sua efficienza ed efficacia al fine di raggiungere l’eccellenza nella manutenzione dei beni tecnici.

UNI 11414:2011 – Linee guida per la qualificazione del sistema manutenzione
La Norma fornisce le linee guida per qualificare il sistema di manutenzione  attraverso la misura e la valutazione di tutte le fasi del processo, verificandone la conformità dei metodi e degli strumenti adottati rispetto al contesto in cui opera, sia esso interno o terziarizzato.

UNI EN 15628:2014 – Manutenzione – Qualificazione del personale di manutenzione
“La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 15628 (edizione agosto 2014) e sostituisce la UNI 11420. La norma specifica la qualifica del personale in relazione ai compiti da svolgere nel contesto della manutenzione di impianti, infrastrutture e sistemi di produzione.
Nella presente norma, la manutenzione di impianti ed edifici è inclusa in termini di aspetti tecnici dei servizi.
Essa costituisce una guida per definire le conoscenze, le abilità e le competenze necessarie per la qualifica del personale addetto alla manutenzione.
La norma tratta le seguenti figure professionali nell’organizzazione di manutenzione:
– Tecnico specialista di manutenzione;
– Supervisore dei lavori di manutenzione e/o ingegnere di manutenzione;
– Responsabile della manutenzione (Responsabile del servizio o della funzione manutenzione).
La norma non specifica i criteri di verifica né la formazione specialistica del personale, che è correlata allo specifico settore merceologico.”

EC 1-2014 UNI EN 15628:2014 – Manutenzione – Qualificazione del personale di manutenzione. Errata Corrige

UNI 11454:2012 – La manutenzione nella progettazione di un bene fisico

UNI EN ISO 14119 Sicurezza del macchinario

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La presente norma è la versione ufficiale in lingua inglese della norma europea EN ISO 14119 (edizione ottobre 2013) e specifica i principi per la progettazione e la scelta, indipendentemente dalla natura della fonte di energia, dei dispositivi di interblocco associati ai ripari.

Essa tratta le parti dei ripari che azionano i dispositivi di interblocco. L’anno 2013 ha visto la pubblicazione, grazie all’attività del comitato tecnico ISO/TC 199, della norma UNI EN ISO 14119:2013 “Sicurezza del macchinario – Dispositivi di interblocco associati ai ripari – Principi di progettazione e di scelta” Tale norma è da intendere come risultato della revisione dei seguenti documenti ISO: ISO 14119:1998 e ISO 14119:1998/Amd 1:2007 “Design to minimize defeat possibilities”. La nuova ISO 14119:2013 specifica i principi per la progettazione e la selezione (indipendentemente dalla natura della fonte di energia) dei dispositivi di interblocco associati ai ripari. Essa si riferisce in particolare alle parti dei ripari che azionano i dispositivi di interblocco. Tale norma non è tuttavia da intendere necessariamente come strumento che fornisce tutti i requisiti specifici per i sistemi “Trapped key”, ovvero interruttori di interblocco a chiave bloccata codificata. La ISO 14119:2013 fornisce le misure per ridurre al minimo l’eluzione intenzionale di dispositivi di interblocco in modo ragionevolmente attendibile. La norma sostituisce, nella sua versione EN (European Norm), anche la norma europea EN 1088:1995+A2 (edizione luglio 2008) che specifica i principi di progettazione e scelta, indipendentemente dalla natura della sorgente di energia, dei dispositivi di interblocco associati ai ripari e fornisce i requisiti specificatamente destinati ai dispositivi di interblocco elettrici. Definizione dei principi di funzionamento e delle tecniche tipiche adottate per i dispositivi di interblocco associati ai ripari:

  • Principi di protezione con metodo ad interblocco con blocco della protezione
  • Principi di protezione con metodo ad interblocco senza blocco della protezione
  • Requisiti per la progettazione e per l’installazione di dispositivi di protezione con e senza meccanismo di blocco
  • Corretta selezione della protezione e del dispositivo di interblocco
  • Progettazione orientata alla riduzione al minimo delle possibilità di manipolazione e manomissione di dispositivi di interblocco
  • Progettazione orientata alla riduzione al minimo delle possibilità di elusione dei dispositivi o interruttori di interblocco a chiave bloccata codificata
  • Progettazione orientata alla riduzione al minimo delle possibilità di elusione degli elementi di connessione presa / spina dei dispositivi o interruttori di interblocco a chiave bloccata codificata
  • Argomenti relativi al controllo
  • Valutazione dei guasti
  • Prevenzione delle cause di guasto di modo comune (con riferimento a tutte le architetture ridondate)
  • Rilascio dei meccanismi di interblocco
  • Esclusione dei guasti
  • Collegamento logico serie dei dispositivi di interblocco
  • Condizioni ambientali di installazione
  • Requisiti relativi alle istruzioni d’uso fornite dal costruttore del dispositivo di interblocco
  • Requisiti relativi alle istruzioni d’uso fornite dal costruttore di macchine equipaggiate con dispositivi di interblocco

Principali novità

Le principali novità apportate attraverso la pubblicazione del recente documento riguardano i seguenti aspetti:

Introduzione di nuove tecnologie ad oggi disponibili o semplicemente non ancora adottate (RFID o dispositivi elettromagnetici) con definizione delle relative prescrizioni e caratteristiche minime; in particolare la norma prevede che i dispositivi di interblocco possano/debbano essere suddivisi nei seguenti quattro tipi:

  • ad azionamento meccanico, non codificati;
  • ad azionamento meccanico, codificati (ad esempio mediante la forma)
  • di prossimità, senza contatto e non codificati;
  • di prossimità, senza contatto e codificati (ad esempio mediante la frequenza).

Un attuatore codificato (geometria, frequenza, modulazione, informazione seriale) è appositamente progettato per azionare un definito interruttore di interblocco. La nuova norma definisce i livelli di codifica per evitare l’elusione in:

  • basso livello, per il quali sono disponibili/prevedibili 1-9 variazioni nel livello di codifica,
  • livello medio, per il quali sono disponibili/prevedibili da 10 a 1000 variazioni nel livello di codifica,
  • alto livello per il quali sono disponibili/prevedibili più di 1000 variazioni nel livello di codifica (ad esempio RFID non riprogrammabile).

La norma prevede peraltro prescrizioni specifiche per il progettista destinate a ridurre la possibilità di elusione dei dispositivi di interblocco mediante, innanzitutto, l’individuazione di un design tale da ridurre le interferenze tra operatore/ciclo operativo e ripari così diminuendo l’iniziativa tesa ad eludere i dispositivi di interblocco e conseguentemente i ripari (ciò che la norma auspica consiste nel fatto che il progettista tenga in considerazione l’uso prevedibile e il ciclo di vita della macchina in modo da ridurre le interferenze); in secondo luogo la norma prevede un livello di protezione proprio del dispositivo di interblocco atto ad impedire l’accesso improprio al dispositivo stesso, atto ad impedire l’utilizzo di attuatori sostitutivi attraverso l’unicità e facendo uso dei necessari livelli di codifica, atto a favorire l’integrazione di sistemi di monitoraggio dell’elusione dei dispositivi di interblocco attraverso ad esempio prove cicliche. La norma presenta temi e affermazioni che coinvolgono i dispositivi di interblocco in circuiti di comando aventi funzioni di sicurezza realizzati secondo le prescrizioni ISO 13849-1 e EN 62061; in particolare il tema riguarda la serie di dispositivi di interblocco e il livello diagnostico necessario per raggiungere il performance level (PL) o safety integrity level (SIL) attesi.

Alcuni dettagli

La sintesi nel quotidiano di quanto espresso dalla norma può risultare nel fatto che la ridondanza complessiva ottenuta anche attraverso la serie logica di diversi dispositivi di interblocco, conduce a livelli affidabilistici modesti rispetto all’atteso in quanto la frequente apertura di anche uno solo dei dispositivi dell’intera catena, riduce o annulla il livello diagnostico e pertanto invalida gli effetti benefici della ridondanza. La norma ammette che un singolo dispositivo possa svolgere più di una funzione di sicurezza garantendo sia la funzione della prevenzione di entrata mantenendo il blocco del riparo, sia garantendo l’impedimento dell’energizzazione e/o il funzionamento degli attuatori interbloccati fino a quando la protezione non nuovamente chiusa per evitare l’avvio. Le norme/technical report EN 62061, TR ISO 23849 e ISO 13849-2 considerano/contemplano il concetto di singolo guasto meccanico ed escludono pertanto la possibilità di elevare il grado affidabilistico di un contatto o di una camma. Questa limitazione comporta pertanto che un livello di integrità funzionale elevato (tendenzialmente PLe) può essere ottenuto unicamente provvedendo mediante utilizzo di un’architettura ridondata includente almeno due dispositivi facenti funzione identica e speculare. Questo problema ad oggi non riguarda i dispositivi privi di contatto meccanico tra le parti ovvero operanti mediante un concetto di rivelazione di prossimità; purtuttavia la nuova norma prevede che in sistema di interblocco con sistema ad estrazione a lingua possa essere ammesso per un livello PLe  qualora ad un livello di forza di estrazione dichiarato corrisponda  un test documentabile del costruttore con un margine di sicurezza pari al 30%. Qualora le protezioni interbloccate non vengano aperte con sufficiente frequenza, il livello di affidabilità delle stesse può degenerare o crollare in quanto vengono a mancare le condizioni a sostegno del proof – test e della diagnostica attuata mediante attuazione completa del dispositivo. La EN 14119 definisce in modo univoco che la cadenza di prova su un dispositivo avente grado affidabilistico PL livello “e” deve essere mensile mentre per un PL livello “d” un test attuato con cadenza annuale è sufficiente. Interblocco dei ripari: la norma ammette l’uso di dispositivi elettromagnetici a solenoide bistabile per poter bloccare o poter rilasciare un’apertura. La norma specifiche anche le circostanze in cui è consentito l’utilizzo di serrature elettromagnetiche facenti uso della solo energia elettromagnetica (ovvero prive di chiavistello) per la sicurezza della macchina (ad esempio, tenendo conto della distanza dal pericolo, il tempo di arresto in caso di perdita di potenza, monitoraggio del forza di mantenimento, fornendo chiara indicazioni relative  ai tentativi di effrazione intentati). Le emergenze caratterizzate da eventi in cui le persone possano restare intrappolate dietro i dispositivi facenti funzione di riparo vengono gestite. Lo sblocco di emergenza dall’esterno e la fuga di emergenza dall’interno sono standardizzati, con ovvi  risvolti sugli interruttori blocco elettromagnetico. Processo di voto parallelo ISO/CEN : il progetto della nuova norma EN14119 è stato sviluppato nell’ambito della seguente organizzazione International Organization for Standardization (ISO) ed elaborato sulla base delle modalità di collaborazione ISO-lead, così come definito nell’accordo di Vienna. Il progetto della nuova norma EN14119 è stato presentato agli organi membri ISO e agli organismi membri del CEN per un voto parallelo avente carattere di cinque mesi di inchiesta. Il progetto, accettato, è diventato progetto definitivo di norma, stabilito sulla base dei commenti ricevuti, ed è stato sottoposto a votazione per approvazione della durata di due mesi al voto parallelo ISO e votazione formale al CEN.

Armonizzazione

L’allegato ZA (informativo) definisce il livello di relazione/interazione tra la EN14119, norma europea, e i requisiti essenziali di sicurezza e salute riportati all’allegato I della Direttiva Europea 2006/42/CE, pertanto ne risulterà evidenza di allineamento formalizzato con armonizzazione e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea.

Pubblicata la norma UNI EN 15628 “Qualifica del personale di manutenzione”

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News da UNI

E’ stata pubblicata la norma UNI EN 15628:2014, col titolo “Manutenzione – Qualifica del personale di manutenzione”, entrata in vigore il 23 ottobre 2014.

La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 15628 (edizione agosto 2014).
La norma specifica la qualifica del personale in relazione ai compiti da svolgere nel contesto della manutenzione di impianti, infrastrutture e sistemi di produzione.
Nella presente norma, la manutenzione di impianti ed edifici è inclusa in termini di aspetti tecnici dei servizi.
Essa costituisce una guida per definire le conoscenze, le abilità e le competenze necessarie per la qualifica del personale addetto alla manutenzione.
La norma tratta le seguenti figure professionali nell’organizzazione di manutenzione:
– Tecnico specialista di manutenzione;
– Supervisore dei lavori di manutenzione e/o ingegnere di manutenzione;
– Responsabile della manutenzione (Responsabile del servizio o della funzione manutenzione).
La norma non specifica i criteri di verifica né la formazione specialistica del personale, che è correlata allo specifico settore merceologico.

La nuova ISO9001: 2015, quali i principali cambiamenti

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È ormai certa per settembre 2015, l’emissione della nuova ISO9001 che conterrà modifiche sia di natura prettamente formale (termini, definizioni) sia operativa, ridando cosi energia e spinta ai sistemi di gestione per la qualità.

Gli obiettivi che la nuova edizione si pone sono quelli di riflettere i cambiamenti in un mondo del lavoro sempre più complesso e dinamico, di facilitare un’implementazione efficace presso le organizzazioni, di consentire verifiche di conformità efficaci, di utilizzare un frasario più semplice al fine di garantire un’interpretazione e comprensione dei requisiti la più uniforme possibile.

Si tratta ormai della quinta versione delle norme relative ai sistemi di gestione per la qualità o, meglio, della terza revisione sostanziale delle stesse. Abbiamo infatti avuto le norme edizione 1987 e 1994 seguite da quelle edizione 2000 e 2008 per giungere ora alla edizione 2015.

Leggi l’articolo completo sulla rivista Stampi (digitale).

Norma UNI EN 15628 sulla qualifica del personale di manutenzione

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È stata pubblicata dall’UNI ed è in vigore dal 23 ottobre 2014 la norma UNI EN 15628:2014 dal titolo “Manutenzione – Qualifica del personale di manutenzione”. Si tratta della versione ufficiale in lingua inglese della norma europea EN 15628 (edizione agosto 2014).

La norma specifica la qualifica del personale in relazione ai compiti da svolgere nel contesto della manutenzione di impianti, infrastrutture e sistemi di produzione.

Si noti come, nelle indicazioni della norma, la manutenzione di impianti ed edifici è inclusa in termini di aspetti tecnici dei servizi.

Il testo costituisce una guida per definire le conoscenze, le abilità e le competenze necessarie per la qualifica del personale addetto alla manutenzione.

L’Italia, in anticipo rispetto alle altre nazioni europee, aveva già realizzato la norma nazionale UNI 11420 “Manutenzione – Qualifica del personale di manutenzione”, nata appunto con l’obiettivo di definire, nell’ambito della manutenzione, quali sono le conoscenze, le abilità, le competenze e i requisiti formativi necessari per acquisire un livello specifico di qualifica professionale che consente di ricoprire un determinato ruolo all’interno dell’organizzazione.

Per entrare più nel dettaglio va detto che la norma considera tre figure professionali:

  • lo specialista di manutenzione (preposto e/o operativo)
  • il supervisore dei lavori di manutenzione e/o ingegnere di manutenzione
  • il responsabile del servizio o della funzione manutenzione.

Questa gerarchia su tre livelli può variare in funzione delle dimensioni e dalla struttura dell’azienda. L’obiettivo del gruppo di lavoro era infatti quello di pervenire a una norma che potesse essere applicata da qualsiasi realtà aziendale che intendesse qualificare il proprio personale addetto alla manutenzione.
La norma non è rivolta ai manutentori che operano a livelli inferiori rispetto alle figure sopraindicate.

Ovviamente con la pubblicatazione della norma europea UNI EN 15628, la precedente norma nazionale UNI 11420 è stata ritirata dal mercato. Rimane la soddisfazione e l’ orgoglio del fatto che il contributo italiano alla definizione del nuovo documento sia stato assolutamente determinante.

Saluto del Presidente

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GittarelliLa genesi dell’ Associazione risale al 2011, quando è stata pubblicata la Norma UNI 11420 “Manutenzione – Qualifica del personale di manutenzione”, alla stesura della quale avevo partecipato attivamente come componente della Commissione UNI    Manutenzione.
Scopo della Norma UNI 11420 è quello di definire le conoscenze, le abilità e le competenze necessarie per acquisire uno specifico livello di qualifica professionale nella manutenzione.
Sulla base della norma e con il contributo dei partner europei, è stata poi preparata la norma EN 15628 di prossima pubblicazione. Successivamente alla norma UNI, l’ente CICPND ha pubblicato il Regolamento N° 299 per la certificazione delle competenze di manutenzione, suddividendo le professioni in tre livelli:

  • Specialista di manutenzione (Livello 1)
  • Supervisore e/o ingegnere di manutenzione (Livello 2)
  • Responsabile di manutenzione (Livello 3)

Infine ACCREDIA ha accreditato il processo per la certificazione delle figure professionali previste dal Regolamento CICPND. Il riconoscimento del processo di certificazione da parte di ACCREDIA ha fatto si che, finalmente, oggi si possa parlare di “professione“ del manutentore.

Nasce quindi l’esigenza di una Associazione in grado di rispondere puntualmente alle esigenze di rappresentanza (anche pubblica e formale) e di riconoscimento di una professione basilare nella gestione dei processi industriali, delle infrastrutture (porti, autostrade, aeroporti), delle facilities e delle utilities (e della loro relativa efficienza energetica).

Asso.E.Man. nasce pertanto con lo scopo primario di valorizzare e promuovere le figure degli Esperti nella Manutenzione certificati.
La certificazione professionale deve basarsi su protocolli ufficiali accreditati ACCREDIA e che operino in conformità alla norma ISO 17024.

Il Consiglio Direttivo dell’associazione sarà in carica per tre esercizi. Primo compito del Consiglio sarà la composizione di un Comitato Scientifico e la formazione di organismi tecnici consultivi. Riteniamo inoltre di vitale importanza la creazione di partnership e di collaborazioni con altre Associazioni, Imprese Private, Enti, Università e Centri di diffusione della Cultura della Manutenzione, in Italia e all’estero.

Perché una nuova associazione di manutenzione ?
Asso.E.Man. nasce principalmente come rappresentante e portavoce del personale di manutenzione che intende valorizzare la propria professionalità. Per questo motivo prevediamo due modalità associative:

  • I Soci ordinari, cioè i professionisti della manutenzione in possesso di una certificazione accreditata
  • I Soci affiliati, cioè coloro che (anche se non certificati) sono comunque esperti di manutenzione riconosciuti dal Consiglio Direttivo della associazione

A nome dei soci fondatori e del Consiglio Direttivo sono pertanto lieto di invitare ad associarsi tutti coloro che hanno passione e visione “alta” del ruolo della manutenzione.
Ci accumunerà la volontà di essere portatori di alcuni importanti valori sociali:

  • la cultura della conservazione, contrapposta alla cultura del disinteresse e dello spreco dei beni e della energia
  • l’attenzione al mantenimento del valore dei beni e delle risorse, nella prospettiva della sostenibilità
  • la propensione ad operare garantendo la sicurezza nel lavoro e la cura dell’ambiente

Francesco Gittarelli
Presidente Asso.E.Man