Troubleshooting

Col termine Troubleshooting si identifica il processo di ricerca ed analisi che lega l’accertamento di uno o più sintomi di un’avaria o di un malfunzionamento, con una o più possibili cause: si tratta quindi di un processo a ritroso nella catena di cause ed effetti, che ha lo scopo di identificare la causa o le concause che ne sono alla radice.

Uno studio condotto da una importante multinazionale evidenzia che le situazioni veramente problematiche sono (per fortuna) una minoranza rispetto al totale delle attività manutentive e pesano circa il 10%. In particolare, nel 9% di queste, possiamo giungere ad una soluzione positiva facendo di tecniche e metodologie di problem solving, adattate al campo manutentivo. Solo una parte minima (1%) richiede strumenti straordinari: la complessità e la gravità degli effetti di questi casi, che generalmente impattano pesantemente sulla qualità di un prodotto o sulla salute delle persone o dell’ambiente, devono essere affrontate in modo collegiale e coordinato (task force), in quanto coinvolgono più enti e persone all’interno di una Azienda. Nei casi più frequenti di un servizio di manutenzione, la situazione problematica si presenta quando, a fronte di un guasto abbastanza grave non esistono o non sono conosciute soluzioni efficaci e definitive. Per meglio dire, non esistono né procedure di troubleshooting né esperienze dirette del personale, oppure potrebbe capitare le immediate soluzione adottate dai tecnici, in base alle loro competenze, falliscono: problema!  Al fine di evitare confusione e panico è caldamente consigliabile affidarsi ad una metodologia, cioè ad una procedura logico-analitica di approccio al problema, attraverso la sequenza di azioni logicamente correlate di seguito elencate. Le metodologie utilizzate sono varie, ma abbastanza simili, in quanto tutte ricalcano il meraviglioso concetto espresso dal ciclo di Deming nel PDCA (*), e vengono generalmente descritte attraverso schemi a blocchi come quello descritto in figura (Metodo in sette passi). Con questo primo articolo analizzeremo le varie fasi descritte nel modello che abbiamo scelto, sottolineando che la letteratura tecnica ne presenta altri, che però non variamo in modo sensibile nelle logica. Cominciamo quindi con descrivere le fasi iniziali del metodo, che hanno l’obiettivo di identificare il problema.

Identificazione del problema

Il primo passo nel cammino che conduce alla ricerca e soluzione dei guasti consiste nella definizione del vero problema, quindi si deve sapere “che cosa” è successo prima di dire “perché” è successo. In genere, quando le persone riferiscono i problemi, i fatti raccontati possono essere incompleti, poco chiari e imprecisi in troppi dettagli. Tipicamente, si tende a riferire personali interpretazioni ai problemi visti: magari a queste si aggiungono le impressioni trasmesse da altre persone presenti. La situazione peggiora quando i problemi accadono durante il turno di notte o in giornate festive, per cui si possono solo leggere le annotazioni scritte dai testimoni senza poterli ascoltare direttamente. Possiamo distinguere alcune situazioni ricorrenti.

  • Problemi semplici: la loro identificazione necessita di semplici relazioni con l’operatore. Per esempio, l’operatore potrebbe riferire che il sensore di temperatura di un impianto è andato a zero e non si muove, l’indicatore di flusso oscilla, oppure si è acceso un allarme: si tratta di informazioni chiare e inequivocabili.
  • Problemi transitori e complessi: la raccolta dei sintomi può spaziare dall’indicazione chiara a quella vaga. Queste ultime possono non essere né concise né corrette e si possono avere troppe o troppo poche informazioni, magari viziate da pregiudizi o convinzioni.
  • Livello della comunicazione: quando si definisce il problema è opportuno ascoltare con cura la persona che riporta il fatto.

L’oggetto del rapporto consiste generalmente nella descrizione di sintomi e specifiche osservazioni, sulla base dei primi tentativi di soluzione di quel problema e sulla conoscenza e competenza di chi parla. Dopo avere ascoltato attentamente conviene fare domande chiare, brevi e precise. È meglio evitare di utilizzare termini troppo tecnici o forbiti: un buon ricercatore di guasti dovrebbe parlare e comprendere la lingua delle persone che operano in quella sede. Ciò significa conoscere il processo, il layout fisico dello stabilimento, la posizione degli strumenti e delle funzioni dell’impianto, non solo con il loro termine tecnico, ma anche secondo abbreviazioni e nomignoli comunemente usati in stabilimento (l’esperienza insegna che conoscere la forma dialettale o le corrispondenti parole in gergo aiuta molto nella comunicazione con gli addetti).

  • Interpretazione soggettiva: la persona che riporta un problema può introdurre nella sua descrizione delle interpretazioni personali. Quando non emerge chiaramente una causa del problema segnalato, l’esistenza di queste interpretazioni personali diventa evidente. Per esempio, un’interpretazione comune è che si trova sempre il guasto nello strumento, quando in effetti esiste un problema collegato al processo; in questo caso lo strumento riporta semplicemente le informazione che legge. Ci si può trovare di fronte a una valutazione soggettiva perché la persona che riporta l’informazione crede, per qualunque ragione, che un certo particolare di una macchina abbia causato il problema: molti casi pratici dimostrano che certe convinzioni portano fuori strada e che la soluzione sta altrove. Gli operatori che hanno troppa fiducia negli strumenti tendono a escludere altre informazioni: in questi casi è necessario imparare a distinguere il segnale vero ed essere sicuri di non subire interferenze. In buona sostanza, vale sempre la regola: “non dire mai più di quanto non si è sicuri di sapere”. Quando si definisce il problema è buona regola considerare il grado di generalità con cui si rapporta. Per esempio, un operatore potrebbe dire che una valvola di controllo è andata in avaria, dando così un preciso e ben definito oggetto sul quale investigare. Ma se lo stesso operatore dice che “c’è un problema sul livello nel serbatoio combustibile”, fornendo così una descrizione vaga, il guasto potrebbe essere causato da una serie di problemi, riguardanti il processo stesso. I problemi transitori capitano occasionalmente, si pensi per esempio al controllo di chiusura di una stazione di lavoro che si fa soltanto nel terzo turno. La bravura del buon ricercatore di guasti consiste nell’ordinare e distinguere, fra le varie informazioni, quelle che permettono di definire adeguatamente il problema. La descrizione del problema fornisce il punto di partenza per la raccolta dati. Se non si conosce da dove partire, si può essere sommersi da troppi dati e informazioni, spesso sbagliati, e perdere di vista quelli giusti.

Riparazione provvisoria (Quick Fix)

Molto spesso sono indispensabili azioni immediate e provvisorie di riparazione e di rimessa in servizio di una macchina (quick fix), al fine di “tamponare” situazioni critiche o di emergenza, al fine di velocizzare la ripresa di un processo produttivo o di un servizio o per limitare eventuali danni a cose e persone. Non sono secondarie, anzi fanno parte della normale attività di un servizio di manutenzione: richiedono elevata professionalità, capacità di rapida analisi della situazione e resistenza allo stress. L’efficacia di un’azione di tamponamento si basa su più fattori: esperienza, strumentazione, training. L’esperienza è sicuramente una carta vincente nella ricerca guasti: si tratta di ritrovare un problema già vissuto, di cui si pensa di conoscerne la soluzione. La eccessiva fiducia sull’esperienza, però, può ridurre la capacità di vedere oltre e comprendere a fondo e completamente un fenomeno. Nondimeno investire in strumentazioni di diagnostica evolute consente di velocizzare la fase di ricerca ed identificazione di sintomi e degli effetti di un guasto e quindi di porli in immediata correlazione con le probabili cause alla radice.

In generale, comunque, l’addestramento continuo del personale, la formazione sulle modalità di individuazione e riparazione, sia provvisoria che definitiva, dei guasti, anche attraverso la simulazione di casi reali, costituiscono la forma più efficace di training, forza e patrimonio delle aziende meglio organizzate

PDCA

Il ciclo (virtuoso) di Deming o PDCA è un modello studiato per il miglioramento continuo della qualità in un’ottica a lungo raggio. Serve per promuovere una cultura della qualità che è tesa al miglioramento continuo dei processi e all’utilizzo ottimale delle risorse. Questo strumento parte dall’assunto che per il raggiungimento del massimo della qualità sia necessaria la costante interazione tra ricerca, progettazione, test, produzione e vendita. Per migliorare la qualità e soddisfare il cliente, le quattro fasi devono ruotare costantemente, tenendo come criterio principale la qualità. La sequenza logica dei quattro punti ripetuti per un miglioramento continuo è la seguente:

P – Plan (Progettazione e pianificazione)

D – Do (Esecuzione del programma, dapprima in contesti circoscritti)

C – Check (Test e controllo, studio e raccolta dei risultati e dei riscontri)

A – Act (Azione per rendere definitivo e/o migliorare il processo (estendere quanto testato dapprima in contesti circoscritti all’intera organizzazione)

Fonte: Trasmissioni di Potenza (Ed. Tecniche Nuove), marzo 2015