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Le politiche di manutenzione

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Progettare la manutenzione

Progettare la manutenzione significa determinare il miglior sistema di gestione delle fasi che compongono tale processo, vale a dire trovare il giusto equilibrio tra le varie politiche (tipologie) di manutenzione, che ne massimizzi sia l’efficienza (costi) che l’efficacia (risultati).

La scelta delle politiche di manutenzione deve seguire precise logiche, derivanti dalla conoscenza approfondita degli impianti, dall’analisi dei guasti, da valutazioni di carattere economico sul costo del ciclo di vita dei beni aziendali.

Il manutentore ha sostanzialmente la facoltà di scegliere fra le due fondamentali tipologie di intervento: intervenire a guasto (manutenzione correttiva) oppure anticiparlo (manutenzione preventiva). Deve valutare se sia più conveniente aggiustare quando il guasto ormai è avvenuto oppure sia preferibile organizzarsi per prevenirlo. Non è corretto vedere nella prevenzione la soluzione perfetta, pur essendo ovviamente ed in linea di massima auspicabile: tutte le politiche di manutenzione, sia quella reattiva, a fronte del guasto, sia quella preventiva, magari realizzata attraverso l’impiego di tecniche predittive, hanno la stessa dignità, a patto che siano “scelte”, cioè siano il risultato di una progettazione accorta, che sappia trovare il giusto compromesso fra efficacia (eliminazione delle perdite) ed efficienza (contenimento dei costi diretti ed indotti).

La progettazione della manutenzione porta anche ad individuare le corrette regole di gestione dei materiali tecnici di ricambio: quali tenere a scorta e quali a fabbisogno. Aspetto strategico soprattutto qualora si adotti una politica di manutenzione correttiva, sia per gli aspetti economici legati all’immobilizzo di capitali (rischio di eccesso di stock), sia per quelli tecnici derivanti dalla loro mancanza, con gravi implicazioni sulla disponibilità dei beni aziendali

Il processo di manutenzione

Nel tempo il concetto di manutenzione inteso come singolo intervento sulla macchina o sull’attrezzatura è stato superato. La manutenzione viene considerata come un “sistema”, in quanto coinvolge tutti i processi lavorativi ed organizzativi. Opera in modo integrato con gli altri enti di produzione e deve garantire l’affidabilità degli impianti.

In genere un processo viene descritto ispirandosi al noto circolo virtuoso PDCA di Deming, distinto nelle fasi di Progettazione e Pianificazione (Plan), Esecuzione (Do), Controllo (Check) e Miglioramento (Act). Il processo di manutenzione rispetta esattamente questo modello ed inizia con la fase di progettazione.

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Le Politiche di manutenzione

Progettare la manutenzione significa scegliere le politiche di manutenzione più idonee per bilanciare le esigenze di efficacia ed efficienza del sistema: bisogna seguire precise logiche derivanti dalla conoscenza approfondita degli impianti, dall’analisi dei guasti (tipologie di guasto, distribuzione del tasso di guasto), da valutazioni di carattere economico relative al costo del ciclo di vita di macchine ed impianti che costituiscono il patrimonio aziendale. Quali sono le principali politiche di manutenzione?

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Manutenzione correttiva

La manutenzione correttiva o a guasto viene eseguita a seguito di una avaria ed è volta a riportare un’entità nello stato in cui essa possa eseguire la funzione richiesta. Essa risponde quindi all’esigenza di riparare le macchine per allungare la loro vita utile produttiva: si basa sull’attesa che compaia un guasto e sul successivo intervento dei tecnici per la riparazione e il ripristino della funzionalità originale. Questo modo di affrontare il tema della manutenzione prevede di lasciare la macchina in esercizio fintanto che il manifestarsi o il progredire di una anomalia costringa il conduttore a fermare la macchina. Questa strategia presenta degli aspetti contrastanti: il fattore positivo è rappresentato da un costo di manutenzione e di fermo macchina pressoché nullo fintanto che la macchina funziona.

Se applicata in modo indiscriminato emergono fattori negativi che non sono trascurabili e che possono essere sintetizzati in:

  • elevata perdita di ricavi dovuti al fermo macchina per guasto;
  • imprevedibilità dell’ intervento e quindi delle eventuali operazioni di deviazione del flusso produttivo in corso;
  • probabile elevato costo di riparazione; un guasto ad un componente che si protrae per molto tempo può avere effetti dannosi a catena e danneggiare altri componenti della macchina.

Una strategia correttiva, che rappresenta l’ approccio più tradizionale della manutenzione, conserva una sua validità qualora le tipologie di guasto siano facilmente riparabili e si operi in un contesto produttivo in cui il fermo macchina non comporta gravi danni al ciclo produttivo generale. E’ il caso di avarie a macchine singole, facenti parte di un gruppo di unità intercambiabili, il cui ruolo nel processo produttivo può essere facilmente ricoperto da un’ altra macchina gemella.

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Manutenzione preventiva ciclica

La manutenzione preventiva è definita come la manutenzione volta a ridurre le probabilità di guasto o il degrado del funzionamento di una entità, grazie ad una programmazione di interventi eseguiti a intervalli predeterminati o abbinata a criteri prescritti e guidati da tecniche predittive. Essa prevede la sostituzione a tempo di un certo componente della macchina, in modo tale da prevenirne il cedimento incontrollato. Questa soluzione viene adottata in particolari situazioni; in caso di gruppi funzionali che operano in aziende di processo a ciclo continuo e la cui interruzione del servizio possa provocare effetti gravissimi sulla sicurezza e salute delle persone, dell’ambiente o degli impianti e per i quali non sia possibile adottare tecniche predittive: oppure nel caso opposto, in cui il costo dell’ispezione sia superiore a quello del componente stesso. La possibilità di programmare un intervento di manutenzione consente una migliore organizzazione del lavoro di manutenzione e garantisce la possibilità di gestire la fermata della macchina nella maniera più conveniente. Appare chiaro che la manutenzione ciclica è efficace quando il guasto presenta una certa regolarità di accadimento

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Manutenzione su condizione

In molti casi però risulta difficile da prevedere l’accadimento di un guasto, per cui non è conveniente applicare in modo rigido la manutenzione programmata, in quanto si rischia di sostituire un componente la cui vita utile è tutt’altro che terminata. La strategia di monitoraggio su condizione, effettuata mediante verifiche ispettive periodiche, tende ad individuare lo stato di un componente che potenzialmente potrebbe provocare il guasto. Una manutenzione su condizione, basata sul monitoraggio attraverso ispezioni programmate, può portare un vantaggio rispetto alle precedenti politiche in termini di :

  • riduzione dei costi di manutenzione;
  • aumento della disponibilità operativa delle macchine;

Il monitoraggio delle condizioni può essere definito come un metodo che indica lo stato di salute della macchina utilizzando parametri che evidenziano i cambiamenti avvenuti nel tempo nella macchina stessa. La tipologia di ispezioni può variare da quella visiva a quella strumentale, a seconda della tipologia di macchina e della sua criticità nel processo produttivo.

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Manutenzione predittiva

Un ulteriore passo verso l’obiettivo di ottimizzare gli interventi di manutenzione preventiva consiste nell’adottare tecniche di manutenzione predittiva: esse si basano sulla possibilità di riconoscere la presenza di una anomalia in stato di avanzamento attraverso la scoperta e l’ interpretazione di segnali deboli premonitori del guasto finale. Il segnale, quando riconosciuto, entra poi a far parte di quei fattori che possono essere monitorati attraverso ispezioni continue o periodiche e quindi nella sfera di influenza della manutenzione preventiva (su condizione o programmata). Contrariamente alla manutenzione su condizione, l’idea di base della predittiva si fonda su un controllo dello stato delle apparecchiature tale da non interrompere il loro normale funzionamento ma da segnalarne anticipatamente ed in modo continuo il progressivo degrado. Lo scopo della manutenzione predittiva è quello di minimizzare, attraverso lo sviluppo di metodologie flessibili e affidabili di rilevamento della condizione, il numero di ispezioni o di revisioni che potrebbero a loro volta dare luogo a guasti o deterioramenti. Tra i fattori che sono utilizzati per una diagnosi dello stato del sistema ricordiamo quelli più importanti o che comunque forniscono il maggiore numero di informazioni: analisi delle vibrazioni, analisi termografiche, analisi chimico fisica degli oli che in base ai residui presenti individua quali componenti si stanno usurando.

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Manutenzione produttiva

Con la manutenzione produttiva si compie un ulteriore passo verso l’integrazione tra operatività, arricchita dall’esperienza e conoscenza diretta di processi ed impianti di produzione, e capacità di progettare e realizzare idee di miglioramento. Basandosi su sinergie con funzioni tecniche interne ed esterne all’azienda, la manutenzione produttiva è una politica volta a migliorare le prestazioni degli impianti, in esercizio e futuri, attraverso la crescita della loro manutenibilità; attraverso l’elaborazione di procedure di controllo e specifiche tecniche per la definizione e l’acquisto di nuovi impianti, la manutenzione operativa collabora con le tecnologie per l’ingegnerizzazione delle nuove linee di produzione o la modifica delle precedenti. Con la fabbrica snella si consolida il nuovo approccio tecnico e gestionale alla manutenzione, sviluppato in Giappone con la TPM (Total Productive Maintenance), in cui essa non è più vista come una funzione aziendale accessoria alla produzione, ma viene riconosciuta quale parte fondamentale di un sistema integrato, finalizzato alla ottimizzazione delle prestazioni attraverso il coinvolgimento di tutte le risorse.

Piccola storia dei modelli produttivi

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La bottega artigiana ha costituito il nucleo originario della storia della laboriosità del genere umano: nel piccolo laboratorio si pensa e si costruisce un bene da offrire in un mercato di scambio e l’artigiano è garante in prima persona della qualità del suo prodotto, in quanto unico e profondo conoscitore del metodo per progettarlo e costruirlo. Il modo artigianale di costruire beni mantiene tuttora la caratteristica di privilegiare la qualità alla quantità: il target dell’artigiano è oggi generalmente costituito da un pubblico elitario e ristretto, che considera il valore e l’originalità dell’oggetto più del prezzo. Gli strumenti utilizzati fino al XVIII secolo erano semplici, pur essendo geniali: solo nei primi del Settecento sono messe a punto le tecnologie che permetteranno lo sviluppo della metallurgia del ferro e la diffusione della macchina a vapore. L’Ottocento infatti vede la nascita delle tecnologie moderne alla base della rivoluzione industriale, caratterizzata dalle prime macchine utensili, talvolta semoventi, e dallo spostamento dell’interesse del produttori dalla dimensione qualitativa verso quella quantitativa. Il sistema industriale risponde infatti alla necessità di soddisfare la domanda di beni di un maggior numero possibile di persone. Ai primi del novecento, negli Stati Uniti d’America la crescente ricchezza e la conseguente richiesta di beni di consumo primari o voluttuari permettono alle aziende di introdurre sul mercato un gran numero di prodotti caratterizzati da prezzo competitivo e facile reperibilità, realizzando la cosiddetta produzione di massa. Fra tutti i settori, quello automobilistico si distingue per il grande quanto rapido sviluppo e rappresenta un esempio emblematico della risposta industriale ad una situazione di mercato emergente; situazione che si osserva nei paesi in periodi di forte crescita sociale ed economica, come quella americana e, nel dopoguerra, quella italiana degli anni Sessanta del boom economico. Nel Nuovo Mondo appunto, con l’avvento della produzione di massa, l’organizzazione razionale del lavoro ha rappresentato, al momento della sua applicazione, un notevole salto di qualità dell’attività industriale, in quanto basata su una analisi del processo lavorativo estremamente rigorosa e su di un modello di funzionamento adatto alle risorse e alla cultura industriale ed alle necessità del mercato del tempo.

Modello americano

Grazie all’opera di Frederick W. Taylor, nello studio di tempi e movimenti durante le fasi di trasformazione, e di Henry Fayol, per quanto riguarda la struttura organizzativa, negli anni Trenta vengono teorizzati modelli organizzativi ed introdotte innovazioni tecnologiche che portano ad una razionalizzazione della produzione industriale, con l’introduzione di raffinati metodi di meccanizzazione e parcellizzazione del lavoro. Produzioni di massa caratterizzate da grandi volumi, standardizzazione spinta, indifferenziazione del fattore lavoro, queste sono state le basi concettuali e pragmatiche dei modelli organizzativi di Taylor e Fayol, concretizzati nel “Fordismo”, cioè nella loro applicazione pratica nelle fabbriche automobilistiche Ford nel Nord America. L’immagine data da Charlie Chaplin nel film “Tempi moderni” è radicata nella memoria dell’uomo come esempio emblematico, pur nella sua interpretazione artistica ed ironica, della difficile situazione ambientale del mondo del lavoro in quegli anni.

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In conseguenza di ciò, nel dopoguerra nascono e si sviluppano nuove teorie che hanno come fine la valorizzazione della componente sociale del lavoro: la società vive importanti momenti evolutivi, che sfoceranno nei moti studenteschi del Sessantotto ed nelle “lotte di classe” degli anni Settanta. La struttura tecnica ed organizzativa della fabbrica segue lo sviluppo tecnologico, adeguandosi al variare delle situazioni sociali esterne: sicuramente l’introduzione dell’automazione costituisce una svolta del modo di concepire l’attività produttiva.

Nel giro di pochi anni, in fabbrica compaiono le prime unità operatrici automatiche, poi i robot e l’elettronica di controllo dei processi: la macchina esegue il lavoro fisico ed allo stesso tempo fornisce i parametri di controllo delle eventuali derive di processo rispetto agli standard prefissati.

Dal punto di vista organizzativo, l’innovazione tecnologica, il cui sviluppo rapidissimo è dovuto all’avvento dell’elettronica, porta inevitabilmente ad una rarefazione della catena gerarchica tradizionale delegata al controllo e pone i presupposti per altri e più profondi mutamenti strutturali. La crisi del modello tayloristico si manifesta proprio con la scarsa reattività dei produttori ai cambiamenti improvvisi del mercato, a causa di inerzie aziendali dovute a processi decisionali lenti, caratterizzati da una scissione netta fra chi decide e chi esegue; il risultato che ne deriva porta a fornire prodotti e servizi inadeguati rispetto alla richiesta di qualità sempre crescente. Ecco che, dopo circa novanta anni dalla sua introduzione, il modello tradizionale dell’organizzazione in fabbrica si dimostra improvvisamente inadeguato a reggere i nuovi scenari di business e le dinamiche sociali e culturali di fine XX secolo. La conseguente revisione delle strutture organizzative porta a delineare nuove figure professionali, con ruoli operativi rivisti in funzione delle mutate condizioni di lavoro: al capo gerarchico si affiancano, con pari valenza, figure specialistiche nel governo dei processi e si incomincia ad aver coscienza che l’azienda vive come un organismo ed ogni suo organo è fondamentale per la sua crescita. Il salto epocale e qualitativo del modo di lavorare deriva dal riconoscimento della condizione di discrezionalità dell’operaio, che non si limita ad eseguire, ma anzi è chiamato a intervenire in modo attivo nel governo del processo. L’operatore si evolve in conduttore di sistemi complessi ed è responsabilizzato sul controllo delle derive qualitative del processo ed alla prevenzione dei guasti e dei difetti.

Modello giapponese

Negli anni Cinquanta e Sessanta prende corpo il modello di produzione giapponese, espresso appunto con lo schema e le regole della produzione snella, che, in estrema sintesi, potremmo identificare come quello in grado di produrre con facilità e flessibilità un prodotto di massa, secondo le logiche della produzione artigianale. Il sistema di produzione giapponese, nato e sviluppato negli anni sessanta nelle fabbriche Toyota, parte dal modello americano di produzione di massa, ma, invece che produrre grandi lotti di prodotto con necessità di scorte notevoli, punta sui piccoli lotti: in questo modo produce scorte minime e reagisce in tempi rapidi alla mutazione delle richieste di mercato. Uno studio condotto dal MIT (Massachussets Institute of Technology) di Boston, alla fine degli anni Ottanta, mise in evidenza come le industrie automobilistiche giapponesi riuscissero a produrre con minori spese rispetto alle concorrenti americane ed europee. Lo studio inoltre dimostrò che il successo dell’industria giapponese era stato possibile grazie ad un nuovo sistema di concepire i processi aziendali, definito appunto “Lean”, cioè snello. Il principio “Lean thinking” (pensiero snello), finalizzato alla caccia ed alla eliminazione degli sprechi che rallentano i processi aziendali, aumentandone i costi sia diretti che indotti, è applicato alla gestione della produzione, per nasce il termine “Lean production”.

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Dal termine in lingua inglese derivano poi quelli usati in letteratura tecnica e nel gergo delle aziende italiane, quali “produzione snella” e “fabbrica snella”. In modo molto sintetico, ma significativo, è possibile affermare che la principale novità del sistema di produzione snella consiste nel coinvolgimento di tutto il personale nell’attività di produzione e manutenzione degli impianti. Il sistema di gestione aziendale moderno si struttura per essere in grado di ridurre tutti i possibili sprechi e tendere costantemente all’obiettivo di fornire un prodotto in grado di soddisfare le aspettative del cliente. La scelta della struttura gerarchica deve permettere di spostare il potere decisionale al livello più basso possibile: per riuscirci bisogna però fornire agli operativi gli strumenti idonei per poter progettare ed attuare le decisioni. Per poter ottenere il risultato del pieno ed effettivo coinvolgimento delle risorse umane è necessario modificare la struttura organizzativa ed i livelli di responsabilità dei vari livelli gerarchici, adottando nuove metodologie e procedure operative. Anche dal punto di vista tecnologico e metodologico si assiste all’avvento di strumenti nuovi come i sistemi gestionali informatici, l’automazione dei cicli di produzione programmabili ed adattabili ai diversi lotti attraverso i quali si concretizza la possibilità di rendere flessibile la produzione e ridurre i costi di produzione .

Lean Production

I comportamenti legati al modello gerarchico-funzionale di origine tayloristica prevedono un flusso verticale dei problemi operativi e delle fasi decisionali, che si sviluppano lungo la gerarchia dell’organizzazione, rigidamente strutturata per funzioni. Nella fabbrica tradizionale viene privilegiata la logica funzionale, per cui ogni reparto od ufficio tende a raggiungere il massimo dei propri obiettivi, dando per implicita l’ottimizzazione degli obiettivi generali dell’azienda. L’esperienza di molti gruppi industriali, specialmente quelli di grandi dimensioni, ha ampiamente dimostrato che questa situazione è difficilmente realizzabile: risultati apprezzabili si ottengono solo a costo di complesse e faticose opere di mediazione, ma nella maggior parte dei casi la stessa struttura gerarchica tende per sua natura a nascondere le inefficienze del sistema. Infatti, nella scala meritocratica di valutazione dei risultati di un responsabile di funzione, il raggiungimento dell’obiettivo dell’ente o del reparto assegnato ha sempre una valenza maggiore rispetto a quello globale aziendale: pertanto, anche in caso di risultati generali non positivi, sarà comunque premiante per un manager il raggiungimento degli obiettivi particolari rispetto a quelli generali prefissati, ottenuti magari a discapito di altre funzioni aziendali. La rappresentazione grafica della struttura tradizionali assume un aspetto ramificato e distribuito su molti livelli gerarchici. Nell’ambito produttivo, ancor oggi si riscontrano (ma sono in calo) situazioni di competizione e contrapposizione fra produzione e manutenzione, con la prima interessata a produrre ad ogni costo e l’altra costretta a rincorrere guasti sempre più frequenti ed onerosi: è un circolo vizioso che porta a conseguenze pesanti per i costi diretti e indiretti derivanti, non più accettabili specialmente per aziende che operino in mercati altamente competitivi. L’avvento della Lean Production rappresenta un vero e proprio salto di qualità nel governo dei sistemi produttivi: la traduzione organizzativa del principio della produzione snella è nella abolizione delle funzioni concorrenti. In fabbrica chi produce ha anche la responsabilità di mantenere efficienti i mezzi dedicati alla produzione: in questo modo al responsabile della fabbrica snella riferiscono sia i reparti produttivi sia la manutenzione, che avranno quindi gli stessi obiettivi di qualità, produttività e livello di servizio. Nella fabbrica snella l’attenzione viene rivolta ai processi: struttura organizzativa, disposizione degli impianti e responsabilità del personale si adeguano alla nuova mappa, sia logica che fisica, dei processi produttivi identificati all’interno di una sito produttivo.

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Tale situazione porta il vantaggio di annullare gli interessi partigiani delle singole funzioni, in quanto queste concorrono alla realizzazione del prodotto con stessi obiettivi, seppure con diverse competenze. La logica del nuovo modello organizzativo permette di rendere più semplici sistemi produttivi complessi, puntando sulla mobilitazione di tutti e nell’abolizione della tradizionale distinzione fra chi pensa e chi esegue, con il conseguente spreco di intelligenza. I problemi devono essere risolti là dove si generano e dalle persone che, avendoli scoperti ed evidenziati, hanno pure le competenze per risolverli. Infatti le persone interessate alla fabbricazione di un prodotto, siano operativi di produzione oppure tecnici, lavorano in prossimità del luogo ove il prodotto si genera, così come tutte le attrezzature necessarie alla sua realizzazione sono dislocate nelle immediate vicinanze. Termini come coinvolgimento, motivazione e delega decisionale ed operativa prendono valore e diventano capisaldi gestionali del nuovo modello. L’organizzazione si preoccupa che le idee propositive vengano raccolte e che le persone siano stimolate a partecipare alle attività di miglioramento. Nella struttura di produzione snella le funzioni mettono direttamente a disposizione del processo di fabbricazione le loro risorse, delegandole alla prevenzione e soluzione dei problemi e alla gestione del flusso produttivo. Tale delega viene esercitata attraverso l’attività di piccoli gruppi di lavoro, coordinati da figure aventi il compito preciso di facilitare lo scambio di informazioni e competenze all’interno di esso, stimolando la collaborazione delle persone partecipanti, indipendentemente da livelli gerarchici e funzioni rappresentati.

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La delega decisionale permette di lavorare con un gruppo ridotto di livelli gerarchici, solo quelli che rispondono ad una effettiva esigenza di gestione. Ne consegue un reale allargamento delle aree di responsabilità dei partecipanti ed un arricchimento di contenuti professionali. La fabbrica snella è la risposta in termini di struttura operativa al nuovo modello produttivo; essa è rappresentata da un organismo costituito da varie piccole unità produttive, dette anche mini fabbriche, in cui si ritrovano applicati i principi organizzativi e le linee guida della produzione snella, riassumibili in:

  • coinvolgimento del personale;
  • creazione di gruppi di lavoro multifunzionali;
  • identificazione ed eliminazione degli sprechi;
  • adozione delle tecniche giapponesi di gestione della produzione;
  • adozione del miglioramento continuo.

La mini fabbrica costituisce perciò la cellula organizzativa di base della fabbrica snella, capace di presidiare gli obiettivi di qualità, servizio e costi di un segmento produttivo ed ha le caratteristiche di una fabbrica in miniatura. In essa si governano i fattori fondamentali della produzione:

  • prodotto/processo (quantità e qualità);
  • mezzi tecnologici di produzione (manutenzione);
  • risorse umane (addestramento);
  • flusso dei materiali prodotti, movimentati, immagazzinati (logistica);
  • costi di trasformazione legati a macchine e tipologie di prodotto;
  • sicurezza e ambiente.

Quali sono gli elementi che caratterizzano ed identificano una mini fabbrica?

  • Innanzi tutto essa coincide con un processo, in cui sono definite le specifiche di scambio (input-output) con i fornitori a monte ed i clienti a valle (le altre mini fabbriche).
  • Per essa è definito e misurabile il valore aggiunto attraverso indicatori prestazionali, detti KPI (Key Performance Indicator), attraverso i quali la mini fabbrica misura, valuta e governa le proprie prestazioni nei confronti dei clienti a valle.
  • Generalmente la mini fabbrica è caratterizzata da omogeneità tecnologica, utile per facilitarne l’autonomia nella sua gestione tecnica.
  • Infine, ha dimensioni gestibili a vista dal suo responsabile.

La mini fabbrica riproduce in piccolo i principi visti per il modello della fabbrica snella. Il concetto di unità produttiva elementare è stato interpretato in modo differente a seconda delle realtà in cui se ne è applicato il modello. In generale però la mini fabbrica deve essere un’entità di piccole dimensioni, semplice da gestire, compatta e ben definita in termini di prodotti e processi, organico e disposizione degli impianti.

Conclusioni

Lo scenario in cui operano i settori industriali ha visto aumentare in modo rapido la complessità delle relazioni fra le variabili in gioco, soprattutto a causa degli andamenti altalenanti delle principali economie, caratterizzate da crescente esasperazione della competitività e conseguente nervosismo. La globalizzazione degli effetti di eventi, purtroppo e spesso tragici, segnano in modo pesante la vita della gente comune e ne condizionano reazioni e progetti per il futuro. I mercati subiscono forti oscillazioni della domanda. In situazioni di estrema variabilità è molto difficile prevedere il futuro anche immediato: nel contempo il mercato rimane sempre più selettivo, con maggiori aspettative sulla qualità del prodotto e del servizio reso ed ancor più sul rapporto qualità/prezzo di vendita. Il consumatore diventa a pieno titolo il vero padrone del mercato: ne determina la quantità e la qualità, spingendo il produttore ad una risposta caratterizzata da una forte innovazione progettuale e tecnologica, dal miglioramento del servizio al cliente e dalla riduzione del prezzo di vendita. Il modello di produzione giapponese è ormai riconosciuto come quello in grado di produrre con facilità e flessibilità un prodotto di massa, con le caratteristiche qualitative della buona produzione artigianale.

I ricambi di manutenzione

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I beni strumentali che utilizziamo per erogare servizi per fabbricare prodotti, sono costituiti da componenti che col tempo perdono la loro funzionalità per varie ragioni: rottura, usura, corrosione, decomposizione, etc.. Ciò causa la necessità di sostituire tali componenti affinché i beni stessi possono continuare a compiere le loro missioni, cioè le funzioni per cui sono stati costruiti e acquistati.

Alcuni di tali beni sono molto semplici strutturalmente e anche economici, cosicché non è convenienza a ripararli, essi vengono per questo denominati: componenti “non riparabili”. La maggior parte però dei beni strumentali sono assai complessi e costosi, per cui sarebbe impensabile non ripararli, quando funzionamento in modo anomalo o addirittura sono guasti e non funzionano affatto

Sorge così la duplice necessità di poter intervenire con risorse di vario genere (umane, materiali economiche) per poter riportare alle condizioni di funzionamento il bene che non lo è più.. Evidentemente la funzione che presiede quest’attività di riparazione è la manutenzione, la quale però deve poter contare su componenti disponibili per rimpiazzare quelli che si sono guastati a bordo del bene strumentale.

Le attività basilari

In questo articolo non ci occupiamo però della manutenzione, ma di tutto ciò che riguarda la gestione dei componenti detti comunemente ricambi e più precisamente materiali tecnici; con questo termine s’intendono oltre ai ricambi, anche altri prodotti che non sono deputati alla sostituzione, bensì sono di supporto al buon funzionamento degli impianti (lubrificamiti, decapanti, collanti, etc.). Provvedere alla disponibilità di materiali tecnici significa occuparsi di un processo dalle caratteristiche eminentemente logistiche, tuttavia nell’ambito aziendale non è sempre la logistica che si occupa dell’approvvigionamento e della gestione di tale materiale di ricambio; a seconda dell’organizzazione aziendale assegna questo in carico alla manutenzione, acquisti, produzione oppure costituisce una funzione ad hoc.

Entrando più nel vivo della disciplina: materiali tecnici per la manutenzione, occorre considerare le attività fondamentali in cui si decompone il processo che rende disponibili i ricambi al momento e nel luogo opportuni.

Occorrerà per esempio dotarsi di un sistema di codifica con cui poter associare una sigla a ciascun componente fisico, che permetta di denotarne le caratteristiche salienti, la sua ubicazione all’interno del magazzino e altri dati di carattere tecnico gestionale. Fondamentale è la scelta dei materiali da tenere magazzino, per questo scopo occorre considerare quali siano i guasti potenziali la cui riparazione comporti la sostituzione della componentistica. A tal fine giova riferirsi allo storico dei consumi di ricambi già presenti in azienda, qualora effettivamente l’azienda abbia già una storia di ricambi di manutenzione. Nel caso più generale, si rende necessario analizzare, ad esempio col metodo FMECA, le anomalie potenziali del mezzo di lavoro che comportano l’utilizzo di ricambistica.

Proseguendo con l’analisi del nostro processo riscontriamo la necessità d’individuare una rosa di fornitori potenziali di materiali e di stabilire con essi un sistema solido di contrattualistica che ne regoli i rapporti commerciali. Proseguendo ulteriormente compare il ricevimento dei materiali dall’esterno, sui quali è bene effettuare un controllo, quantomeno visivo ma ancora meglio se documentale o, se del caso, addirittura un collaudo (per collaudo s’intende una prova funzionale). A questo punto il ricambio è giunto a magazzino per cui necessita poterlo gestire cioè sistemarlo su apposita scaffalatura e curarlo nel tempo, affinché non degeneri per il semplice motivo che si trova a magazzino, ma anche poterlo poi fornire al manutentore nel momento in cui questo lo richieda, siamo quindi nella fase di gestione operativa di ricambi di magazzino. Poiché, come già detto, i materiali tecnici hanno un’implicazione non solo tecnica ma anche amministrativa, non bisogna dimenticare di mettere a punto quell’insieme di norme e comportamenti che permettono la gestione amministrativa del magazzino. A questo riguardo intervengono anche leggi dello stato e pertanto concetti di natura tipicamente fiscale e finanziaria.

Vista l’importanza della materia, già alcuni anni l’UNI si occupò della materia e in seno alla propria Commissione Manutenzione, venne emanata una norma specifica, suddivisa in sei parti, si tratta della norma UNI 10749 Guida per la gestione dei materiali per la manutenzione.

Come sempre la norma non ha l’unicità e la coerenza del testo scritto da un unico autore, per contro gode del beneficio che deriva dalla fusione di esperienze maturate in comparti aziendali di natura diversa.

Tale norma è composta da sei parti, ciascuna con la propria specifica definizione:

  1. Aspetti generali e problematiche organizzative
  2. Criteri di classificazione, codifica e unificazione
  3. Criteri per la selezione dei materiali da gestire
  4. Criteri di gestione operativa
  5. Criteri di acquisizione, controllo e collaudo
  6. Criteri amministrativi

Sin qui abbiamo parlato dei materiali tecnici indipendentemente dalla politica manutentiva prescelta dall’azienda, con questo si intende dire che quanto sopra descritto è indipendente da politiche manutentive quali: Reliability Centered Maintenance, Total Productive Maintenance od altro ancora. E’ bene a questo punto menzionare che, per esempio, la Total Productive Maintenance considera a fondo il magazzino ricambi, per esempio proponendo l’applicazione delle cinque S per ottenere un magazzino ordinato e snello, in modo che il capitale circolante ad esso associato (il cosiddetto immobilizzo) sia il più contenuto possibile e al tempo stesso la fruizione dei ricambi sia esaustiva, rapida e ordinata.

Nascono così due esigenze tra loro in conflitto cioè quella di avere poco capitale congelato nel magazzino e molta disponibilità di ricambi al momento opportuno. Una serie di indicatori specifici, anche questi trattati in una specifica norma, la UNI , permettono di avere una chiara visione del processo e di mantenere sotto controllo queste due esigenze tra loro contrastanti.

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Sul piano puramente economico occorre considerare che il costo che grava sul magazzino non è unicamente quello di acquisto dei materiali ivi contenuti; ma anche quelli necessari alla immancabile gestione e conservazione degli stessi, cioè il fatto che occuperanno uno spazio che sarà in una zona per definita, riscaldata, illuminata e sarà anche oggetto di una gestione di tipo informatizzato. Si capisce così facilmente che il costo della gestione del magazzino è costituito da vari fattori gravanti sul costo complessivo di ciascun ricambio.

Qualche strumento

Vi sono due approcci fondamentalmente diversi di gestire la ricambistica. Osserviamo innanzitutto che ciò di cui serve disporre è il ricambio al momento in cui occorre eseguire una sostituzione di un componente, in seguito a un guasto o a un intervento preventivo. Questa considerazione ci porta a concludere che i materiali tecnici non debbono necessariamente essere di proprietà dell’azienda prima dell’evento di sostituzione. In altre parole sarebbe sufficiente acquistarlo prima di utilizzarlo, anziché acquistarlo per tenerlo a magazzino (in gergo ”a scorta”). In effetti le due alternative di gestione sono: a scorta (stoccaggio a magazzino) e a fabbisogno (acquisto a ridosso del momento previsto d’impiego). La scelta tra tali alternative attiene alla politica aziendale e alla ricerca dell’ottimo economico. Nella pratica ambedue le gestioni convivono e sono legate a sua volta alle politiche manutentive nel seguente modo:

manutenzione a guasto  >    prevede gestione a scorta

manutenzione preventiva   >   permette gestione a fabbisogno.

La gestione a scorta risulta solitamente la più impegnativa e onerosa, ma è irrinunciabile per fronteggiare il guasto imprevisto che richiede una immediata riparazione.

Miglioramento continuo

La gestione a scorta deve essere oggetto di miglioramento continuo, teso a contenere i costi gravanti sul magazzino. Uno strumento utile per orientare il miglioramento è l’analisi di Pareto applicata alla numerosità (o al valore) dei ricambi per ciascuna tipologia. Il risultato di questo studio è una costante, indipendente dal tipo di azienda; si perviene sempre a una curva, la cumulata della numerosità (o del valore) dei ricambi per tipologia come illustrata in figura. Risulta semplice suddividere tale curva in tre parti:

A – ricambi che esprimono il 80% della giacenza (quantità di oggetti fisicamente presenti a magazzino)

B – ricambi che esprimono il 10% della giacenza tra 80% e 90%

C – ricambi che esprimono il 10% della giacenza tra 90% e 100%.

Si ottengono così indicazioni sulle voci di cui ridurne la numerosità, quelle del segmento A.

Si può procedere in modo analogo per evidenziare le voci che rappresentano lo 80% dell’immobilizzo.

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La rilevanza finanziaria

Da un punto di vista puramente finanziario il magazzino ricambi è assimilabile a una cassaforte cioè a una riserva, in quanto non si tratta di investimento perché i beni ivi immagazzinati non producono benefici economici ma, servono per garantire la continuità funzionale di mezzi di produzione o servizio. Sorge una domanda: perché la Finanza pubblica si preoccupa del magazzino ricambi? La risposta è alquanto semplice: la costituzione del magazzino potrebbe rappresentare un occultamento di profitti ottenuti dall’azienda, cioè l’azienda potrebbe costituire un tesoro, il magazzino appunto, occultando utili e pertanto non corrispondendo la debita imposta fiscale.

Uno sguardo al futuro

Un punto critico della gestione dei materiali è la corrispondenza della giacenza inventariale reale e quella riportata dal sistema informativo (giacenza contabile). La discordanza tra i due valori non è purtroppo rara nel panorama industriale; ciò comporta perdita di fiducia del sistema informativo e conseguentemente la necessità di ricorrere con maggior frequenza all’aggiornamento dell’inventario. Accade che il tecnico, incaricato di preparare gli interventi preventivi, debba recarsi a magazzino e verificare personalmente la presenza dei ricambi occorrenti, sottraendo a costui tempo prezioso da dedicare ad attività a maggior contenuto (da verifiche eseguite dall’autore si riscontrano sprechi di tempo pari a 1/3 dell’intera giornata lavorativa). La causa della discrepanza tra giacenza effettiva e contabile risiede nella mancanza di una registrazione scrupolosa di prelievi dal magazzino. La contromisura da attuare per contrastare questo problema, consiste nella formazione di coloro che prelevano a magazzino, manutentori in primis, affinché diventino coscienti dell’importanza di una contabilità rigorosa.

Recentemente si affaccia un’altra possibilità per superare l’impasse, la via tecnologica. Essa propone l’uso di etichette RFID (Radio Frequency IDentification) da associare al ricambio corrispondente. In questo modo registrare il prelievo di un componente diventerebbe molto semplice e, in certi casi automatizzabile. Nella fase transitoria, dall’attuale a quella futura RFID, si diffonde sempre più l’uso del codice a barre scritto su etichetta apposita.

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Conclusione

Gestire i materiali tecnici richiede la conoscenza di metodiche precise e complesse, la capacità di interfacciarsi con altre funzioni aziendali. Il magazzino è spesso ritenuto uno strumento non fondamentale, eppure è un tesoro che permette di fronteggiare interruzioni impreviste del servizio principale. Questo tesoro deve essere costantemente monitorato e migliorato, affinché funzioni al meglio, riducendo le perdite per mancata produzione, senza lasciar ingigantire i costi a causa di un eccessivo stoccaggio.

Industry 4.0: Il futuro della manifattura

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Per la prima volta dall’inizio dell’era industriale, la vera fonte di valore non sono i prodotti in sé quanto i dati, considerati oggi il petrolio dell’era digitale. Resta da vedere se i cambiamenti positivi bilanceranno quelli negativi. L’Ue ha presentato in aprile un action plan

Per la prima volta dall’inizio dell’era industriale, la vera fonte di valore non sono i prodotti in sé quanto i dati, considerati oggi il petrolio dell’era digitale. È quanto prospetta la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, o Industry 4.0, il concetto coniato durante la Fiera di Hannover del 2011.

Nel gennaio 2016 il presidente del World Economic Forum di Davos, Klaus Schwab, afferma: “L’ondata di innovazione attuale non ha precedenti nella storia. Comparata con le passate, l’odierna rivoluzione industriale sta evolvendo in maniera esponenziale piuttosto che seguire un andamento lineare”.

A guidare il cambiamento sono diverse tecnologie: sensori tecnologici in grado di collegare ogni oggetto al mondo digitale, intelligenza artificiale, internet mobile 5G, analisi dei big data, cloud computing, realtà aumentata e stampa in 3D.

Questa rivoluzione potrebbe, però, non avere lo stesso impatto sui diversi settori economici ed è da vedere se i cambiamenti positivi bilanceranno i negativi. Secondo un rapporto dello staff di ricerca del Parlamento Europeo, la digitalizzazione ha la potenzialità di invertire l’attuale processo di de-industrializzazione europea aiutando il settore manifatturiero ad assicurare il target del 20% del pil Ue.

Dal punto di vista tecnico la digitalizzazione è in grado di ottimizzare l’intera catena del valore, risparmiando su capitale, energia e lavoro a bassa qualifica. Le catene del valore integrato, secondo lo studio del parlamento, possono velocizzare il processo di manifattura del 70% in termini di tempi di consegna dei prodotti al mercato e garantire aumenti di produttività in diversi settori. Per le imprese, però, l’innovazione rappresenta un investimento rilevante, non sempre sostenibile per piccole e medie imprese, quantificato in 140 miliardi.

Inoltre la diffusione della robotica avanzata potrebbe assecondare lo schiacciamento della classe media se nuovi lavori non saranno creati in settori dove il capitale umano è essenziale, come nella cura alla persona. Lo stesso Klaus Schwab a Davos ha affermato “L’ineguaglianza rappresenta una delle grandi preoccupazioni associate alla quarta rivoluzione industriale” sottolineando come la tecnologia sia stata una delle cause maggiori della stagnazione dei salari nei paesi sviluppati.

La strategia europea

Secondo il Commissario Ue per l’innovazione, Carlos Moedas, i paesi europei di tradizione manifatturiera “non si stanno integrando con il mondo del digitale”. L’esecutivo europeo menziona anche la mancanza di un mercato unico digitale e il basso investimento in ricerca. Per affrontare questi cambiamenti la Commissione Europea ha presentato il 19 aprile un action plan su standardizzazione del mercato digitale europeo e cloud computing, oltre ad una serie di finanziamenti per aiutare le imprese a massimizzare la creazione del valore.

Sebbene Germania, Francia, Olanda e Regno Unito abbiano già presentato i loro piani di digitalizzazione industriale, la competizione globale resta alta di fronte alle posizioni quasi monopoliste di imprese come Google e Facebook. Se non governata, l’Internet of Things sarà una cattiva notizia per l’Europa perché sono soprattutto imprese americane come Amazon, Google, Apple e Facebook ad essere capaci di usare i dati per la creazione di veicoli automatici e prodotti costumizzati.

Ma anche L’Asia si sta preparando. Se il Giappone è il paese maggiormente avanzato su questo fronte, secondo Roland Berger, la Cina punta molto sulla stampa in 3D, cercando di trasformare la sua economia manifatturiera.

ClassEuractiv.it

Industry 4.0: la produzione diventa lean

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Oggi, nella maggior parte dei casi, il controllo della conformità dei pezzi avviene dopo lo stampaggio, quando lo scarto è già stato generato. La soluzione ideale, invece, è quella di agire a monte, implementando una procedura di qualificazione del processo per ogni singolo stampo, al fine di determinarne la precisione e la ripetibilità già dal collaudo. Perché un tale procedimento possa essere messo in atto è necessario definire chiaramente i parametri di processo critici, anche da gestire in fase di stampaggio, ed effettuare il controllo di processo con l’ausilio di strumenti di monitoraggio adeguati, per esempio l’andamento della pressione della cavità dello stampo e le curve grafiche di riferimento della pressa, ottenibili dalle unità di controllo avanzate. La parola chiave dell’industria del futuro, diventa quindi “digitalizzazione”.

Produzione “zero difetti”
Nello stampaggio a iniezione il potenziale dell’industria digitale è particolarmente evidente nella produzione di pezzi di grande complessità e in piccoli lotti, ma anche nei casi in cui è necessario effettuare cambi versione in modo rapido ed efficiente. Esigenze che, nella Filiera “Zero difetti” a Mecspe 2017 di Parma erano soddisfatte da una pressa Arburg, accessoriata in modo specifico, e dalle funzionalità del suo sistema di gestione ALS. Il progetto è stato sviluppato seguendo una logica improntata alla lean production, un concetto ancora relativamente poco applicato nel settore delle materie plastiche, al quale, invece, potrebbe portare enormi vantaggi nell’ottimizzazione dei tempi di produzione e nel controllo di processo, soprattutto nell’ottica di ottenere un manufatto privo di difetti.

Controllo a tuttotondo
Controllo di processo, nell’Industria 4.0, significa anche disporre di un sistema per la diagnosi precoce della deriva dei parametri di qualità, ma anche per la loro correzione in base a valori predefiniti, al fine di evitare che venga raggiunto il fuori tolleranza. Qualora le variazioni di tali parametri non siano correggibili in modo precoce, il sistema deve identificare i pezzi non conformi e quindi separarli per mezzo di robot o selettori di scarti. In un simile contesto, la macchina a iniezione diventa il fulcro dell’intero processo di stampaggio, perché attraverso l’unità di controllo, si interfaccia con le periferiche, le apparecchiature ausiliarie e lo stampo, permettendo sia il monitoraggio delle prestazioni della pressa stessa, sia il controllo di qualità in tempo reale. Controllo che avviene online, senza l’intervento dell’operatore.

Tracciabilità per ogni pezzo
Oltre alla visibilità e al controllo in tempo reale dei processi, un altro aspetto importante dell’operatività Industry 4.0 è la condivisione delle informazioni, realizzabile, per esempio, attraverso la codifica del pezzo con QR code, codice a barre o altro. Il sistema ALS della pressa rileva e memorizza i parametri di ogni stampata, oltre ad ogni altro parametro operativo delle attrezzature interfacciate, e ne permette la tracciabilità nel tempo, abbinando anche i parametri del pezzo alla confezione.

Tutto con lo smarphone
A Mecspe, nella Filiera “Zero difetti” ai visitatori veniva illustrato il processo di stampaggio a iniezione di un componente per il settore automobilistico destinato alla protezione dall’alta tensione: un pezzo tecnico di grande precisione e con caratteristiche critiche. Il manufatto veniva prodotto in una linea dove tutte le attrezzature – pressa a iniezione, ausiliari, periferiche, robot e marcatura laser – erano interfacciate tra loro. Il pezzo stampato, all’uscita della pressa veniva inviato a una stazione di marcatura laser per l’impressione di un QR code, che permetterà di risalire – mediante smartphone – ai parametri di processo di ogni pezzo specifico.

Big Data, tra potenziale economico e privacy

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di Frédéric Simon | EurActiv.com, traduzione di Barbara Pianese

Per molti a Bruxelles la rivoluzione dei dati è stata un brusco risveglio, a causa delle intercettazioni su larga scala dell’intelligence degli Stati Uniti. Se i politici europei ne apprezzano il potenziale economico, i timori sulla privacy restano

I politici di tutta Europa tendono a guardare con sospetto alla grande rivoluzione dei dati, considerandola un processo prettamente americano importato con rilievi importanti in tema privacy. E non hanno tutti i torti come si è visto quando è stato scoperto che i servizi segreti americani hanno carpito informazioni dai server delle aziende internet inducendo le autorità di regolamentazione dell’Ue a rafforzare le leggi sulla privacy e a chiedere un nuovo accordo per sorvegliare il trasferimento dei dati con gli Stati Uniti.

Le cose, però, sono mutate molto da allora, con i politici europei grandi promotori dei ” big data”, considerati motore di crescita economica e strumento di supporto in alcuni settori di policy.

Un settore chiave è la lotta al terrorismo. L’interesse per l’analisi dei dati è cresciuta in modo significativo dopo gli attentati di Parigi dello scorso anno assieme alle iniziative europee per monitorare i post sui social media che diffondono messaggi radicali e mirano a reclutare combattenti per gruppi estremisti, in particolare per la guerra in Siria.

Nel frattempo i membri del Parlamento europeo hanno votato una relazione che prospetta accuse penali qualore aziende come Facebook e Twitter non rimuovano i messaggi dei jihadisti dai loro siti web.

Un altro progetto di punta è la creazione di un’unità speciale della Commissione europea dedicata alla lotta contro la propaganda russa, lanciata sulla scia della crisi in Ucraina orientale in seguito all’annessione della Crimea. L’unità di nove persone all’interno del servizio per l’azione esterna della Commissione è stata creata l’anno scorso e si concentra sul controllo della disinformazione su Internet grazie ai dati raccolti da una rete di 400 collaboratori da tutta Europa e dall’Europa orientale in modo particolare.

Ma dare un senso all’enorme quantità di informazioni pubblicate sui social media quotidianamente non può essere demandato solo agli esseri umani. “I social network producono un tale volume di dati impossibile da elaborare per un cervello umano”, spiega Laurentiu Vasiliu, fondatore e ceo di Peracton, una società che fornisce in tempo reale analisi del cosiddetto “sentiment” per gli investitori. “Così abbiamo bisogno di macchine per analizzare ed elaborare tali dati”, ha aggiunto Vasiliu nel corso di un recente evento sul data mining organizzato da EurActiv.com.

Ma il software utilizzato dalla società può essere applicato in qualsiasi altra area, ad esempio per monitorare l’occorrenza di determinate parole o frasi usate dai jihadisti a cui è possibile associare anche la posizioni geograficha dell’autore.

Allo stesso tempo, però, vanno fatte delle osservazioni dal punto di vista della privacy. “Gli utenti di Twitter, Facebook e altri social media hanno bisogno di essere rassicurati che non ci sia un abuso dei loro”, ha spiegato Vasiliu.

I legislatori nel Parlamento europeo, quindi, hanno adottato una riforma della normativa Ue sulla protezione dei dati lo scorso aprile, dopo anni di arduo negoziato.

L’eurodeputato tedesco Jan Philip Albrecht, che ha rappresentato il Parlamento Ue nei negoziati con i 28 stati membri, ha definito l’accordo “storico”, affermando come il nuovo regolamento “permetterà alle persone di riprendere il controllo dei propri dati personali nell’era digitale”.

 

Il cambiamento

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Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel, ha messo nero su bianco quello che la classe dirigente deve fare per realizzare e consolidare un processo di miglioramento (da “il Fatto Quotidiano” del 30/05/2016).

“Per cambiare un’organizzazione ci vuole un gruppo sufficiente di persone convinte di questo cambiamento, non è necessario sia la maggioranza, basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare e bisogna distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando ad essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all’interno dell’organizzazione dei gangli da distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone che si oppongono al cambiamento, e la cosa va fatta nella maniera più plateale e manifesta possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta in fretta, con decisione e senza nessuna requie, e dopo pochi mesi l’organizzazione capisce, perché alla gente non piace soffrire. Quando capiscono che la strada è un’altra, tutto sommato si convincono miracolosamente e vanno tutti lì. È facile.”

Survey su livello di maturità dei processi di manutenzione

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Relazione annuale di Festo Consulting relativa alla importante attività di Survey sui processi di manutenzione, ad un anno dall’avvio della raccolta delle autovalutazioni, coordinata e presentata dall’ing. Graziano Perotti.

La survey ha coinvolto 150 siti produttivi italiani, coinvolgendo Direttori di stabilimento, Direttori industriali e tecnici, Manager di manutenzione. Si può accedere al questionario di autovalutazione dal sito Maintaudit.com .

Tabelle riassuntive delle risposte alle domande specifiche del questionario di autovalutazione.

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UNI – Norme generali sulla manutenzione

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Elenco delle norme di manutenzione UNI rigurdanti gli aspetti generali

UNI 10749-5; 1 ott. 2003 – Manutenzione – Guida per la gestione dei materiali per la manutenzione – Criteri di acquisizione, controllo e collaudo
La norma fornisce una guida per l’approvvigionamento, controllo e collaudo dei materiali tecnici per la manutenzione.

UNI 10749-6; 1 ott. 2003 – Manutenzione – Guida per la gestione dei materiali per la manutenzione – Criteri amministrativi
La norma fornisce indicazioni sui metodi e i criteri che possono essere utilizzati per la determinazione dei valori unitari di carico, scarico e giacenza dei materiali a magazzino. Essa fornisce, inoltre, indicazioni atte ad individuare i costi che sono solitamente connessi alla disponibilità dei materiali.

UNI 10992; 1 set. 2002 – Previsione tecnica ed economica delle attività di manutenzione (budget di manutenzione) di aziende produttrici di beni e servizi – Criteri per la definizione, approvazione, gestione e controllo
La norma fornisce indirizzi per la previsione tecnica ed economica (budget) delle attività di manutenzione. La previsione tecnico- economica non è disgiunta dall’efficacia, che non viene però verificata dalla norma

UNI 11063; 1 mag. 2003 – Manutenzione – Definizioni di manutenzione ordinaria e straordinaria
La norma fornisce una classificazione delle attività di manutenzione, distinguendo tali attività in “manutenzione ordinaria” e “manutenzione straordinaria”. Essa integra la terminologia descritta nelle UNI EN 13306, UNI 9910 e

UNI 10147, in uso nella manutenzione, allo scopo di uniformare i comportamenti degli utenti. Si applica a tutti i settori in cui è prevista un’attività di manutenzione

UNI EN 13306 : 2010 – Manutenzione – Terminologia
La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 13306 (edizione aprile 2001). La norma specifica i termini generici e le loro definizioni per le aree tecniche,amministrative e gestionali della manutenzione. La sua applicazione non è prevista per i termini utilizzati esclusivamente per la manutenzione di programmi di informatica

UNI EN 13460:2009 – Manutenzione – Documenti per la manutenzione
La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 13460 (edizione maggio 2002). La norma fornisce delle linee guida generali per:- la documentazione tecnica da allegare ad un bene, prima della sua messa in servizio, per essere di supporto alla sua manutenzione;- la documentazione delle informazioni da stabilire durante la fase operativa di un bene, per essere di supporto ai requisiti di manutenzione

UNI EN 15341; 5 lug. 2007 – Manutenzione – Indicatori di prestazione della manutenzione (KPI)
La presente norma è la versione ufficiale in lingua inglese della norma europea EN 15341 (edizione marzo 2007). La norma descrive un sistema per la gestione degli indicatori di manutenzione atti a misurarne le prestazioni nel quadro di fattori d’influenza quali gli aspetti economici, tecnici ed organizzativi, per valutare e migliorare la sua efficienza ed efficacia al fine di raggiungere l’eccellenza nella manutenzione dei beni tecnici.

UNI 11414:2011 – Linee guida per la qualificazione del sistema manutenzione
La Norma fornisce le linee guida per qualificare il sistema di manutenzione  attraverso la misura e la valutazione di tutte le fasi del processo, verificandone la conformità dei metodi e degli strumenti adottati rispetto al contesto in cui opera, sia esso interno o terziarizzato.

UNI EN 15628:2014 – Manutenzione – Qualificazione del personale di manutenzione
“La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 15628 (edizione agosto 2014) e sostituisce la UNI 11420. La norma specifica la qualifica del personale in relazione ai compiti da svolgere nel contesto della manutenzione di impianti, infrastrutture e sistemi di produzione.
Nella presente norma, la manutenzione di impianti ed edifici è inclusa in termini di aspetti tecnici dei servizi.
Essa costituisce una guida per definire le conoscenze, le abilità e le competenze necessarie per la qualifica del personale addetto alla manutenzione.
La norma tratta le seguenti figure professionali nell’organizzazione di manutenzione:
– Tecnico specialista di manutenzione;
– Supervisore dei lavori di manutenzione e/o ingegnere di manutenzione;
– Responsabile della manutenzione (Responsabile del servizio o della funzione manutenzione).
La norma non specifica i criteri di verifica né la formazione specialistica del personale, che è correlata allo specifico settore merceologico.”

EC 1-2014 UNI EN 15628:2014 – Manutenzione – Qualificazione del personale di manutenzione. Errata Corrige

UNI 11454:2012 – La manutenzione nella progettazione di un bene fisico