di Frédéric Simon | EurActiv.com, traduzione di Barbara Pianese
Per molti a Bruxelles la rivoluzione dei dati è stata un brusco risveglio, a causa delle intercettazioni su larga scala dell’intelligence degli Stati Uniti. Se i politici europei ne apprezzano il potenziale economico, i timori sulla privacy restano
I politici di tutta Europa tendono a guardare con sospetto alla grande rivoluzione dei dati, considerandola un processo prettamente americano importato con rilievi importanti in tema privacy. E non hanno tutti i torti come si è visto quando è stato scoperto che i servizi segreti americani hanno carpito informazioni dai server delle aziende internet inducendo le autorità di regolamentazione dell’Ue a rafforzare le leggi sulla privacy e a chiedere un nuovo accordo per sorvegliare il trasferimento dei dati con gli Stati Uniti.
Le cose, però, sono mutate molto da allora, con i politici europei grandi promotori dei ” big data”, considerati motore di crescita economica e strumento di supporto in alcuni settori di policy.
Un settore chiave è la lotta al terrorismo. L’interesse per l’analisi dei dati è cresciuta in modo significativo dopo gli attentati di Parigi dello scorso anno assieme alle iniziative europee per monitorare i post sui social media che diffondono messaggi radicali e mirano a reclutare combattenti per gruppi estremisti, in particolare per la guerra in Siria.
Nel frattempo i membri del Parlamento europeo hanno votato una relazione che prospetta accuse penali qualore aziende come Facebook e Twitter non rimuovano i messaggi dei jihadisti dai loro siti web.
Un altro progetto di punta è la creazione di un’unità speciale della Commissione europea dedicata alla lotta contro la propaganda russa, lanciata sulla scia della crisi in Ucraina orientale in seguito all’annessione della Crimea. L’unità di nove persone all’interno del servizio per l’azione esterna della Commissione è stata creata l’anno scorso e si concentra sul controllo della disinformazione su Internet grazie ai dati raccolti da una rete di 400 collaboratori da tutta Europa e dall’Europa orientale in modo particolare.
Ma dare un senso all’enorme quantità di informazioni pubblicate sui social media quotidianamente non può essere demandato solo agli esseri umani. “I social network producono un tale volume di dati impossibile da elaborare per un cervello umano”, spiega Laurentiu Vasiliu, fondatore e ceo di Peracton, una società che fornisce in tempo reale analisi del cosiddetto “sentiment” per gli investitori. “Così abbiamo bisogno di macchine per analizzare ed elaborare tali dati”, ha aggiunto Vasiliu nel corso di un recente evento sul data mining organizzato da EurActiv.com.
Ma il software utilizzato dalla società può essere applicato in qualsiasi altra area, ad esempio per monitorare l’occorrenza di determinate parole o frasi usate dai jihadisti a cui è possibile associare anche la posizioni geograficha dell’autore.
Allo stesso tempo, però, vanno fatte delle osservazioni dal punto di vista della privacy. “Gli utenti di Twitter, Facebook e altri social media hanno bisogno di essere rassicurati che non ci sia un abuso dei loro”, ha spiegato Vasiliu.
I legislatori nel Parlamento europeo, quindi, hanno adottato una riforma della normativa Ue sulla protezione dei dati lo scorso aprile, dopo anni di arduo negoziato.
L’eurodeputato tedesco Jan Philip Albrecht, che ha rappresentato il Parlamento Ue nei negoziati con i 28 stati membri, ha definito l’accordo “storico”, affermando come il nuovo regolamento “permetterà alle persone di riprendere il controllo dei propri dati personali nell’era digitale”.