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L’oleodinamica nelle applicazioni industriali

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Quello della oleodinamica è un settore fondamentale, grazie alla capacità di gestire notevoli potenze utilizzando componentistica di dimensioni e pesi ridotti rispetto ad altre tecnologie alternative.

Nelle foto d’epoca di vecchie officine, in bianco e nero o seppiate, il manutentore, con in mano l’immancabile straccio ed un bell’oliatore, è intento ad accudire il proprio macchinario lubrificando i vari meccanismi. Poi la tecnica ci ha dato materiali migliori, elettronica ed informatica, l’olio però è rimasto sempre al centro della meccanica, attore insostituibile: possiamo senza dubbi affermare che l’intera industria moderna poggia su un film di olio, non più spesso di 10 micron. L’olio, oltre che lubrificare, viene utilizzare per trasferire energia e quindi muovere cilindri, motori, ruote, interagendo con tutte le parti di un circuito. Per questa ragione, sul mercato esistono diversi tipi di olii, che vengono scelti seguendo le varie caratteristiche: viscosità, capacità lubrificante, resistenza all’invecchiamento, igroscopicità, elevato punto di fiamma, bassa nocività.

In sintesi, un sistema oleodinamico deve avere:

  • un gruppo generatore, in cui si ha la trasformazione di energia meccanica in energia idraulica;
  • un gruppo di controllo, in cui il fluido viene condizionato facendo assumere ad esso determinati valori di pressione e portata e distribuendolo ove necessario;
  • un gruppo di utilizzo, formato da attuatori di diverso tipo.

La tribologia è la disciplina che studia l’attrito, la lubrificazione e l’usura di superfici a contatto e in moto relativo. Essa è inerente quindi a tutti quei processi produttivi che utilizzano la trasmissione dell’energia: le forme più comunemente usate sono la meccanica, la pneumatica, l’idraulica e quella elettrica. Queste forme di energia presentano caratteristiche peculiari con relativi vantaggi e svantaggi che, per ogni settore applicativo, ne orientano in molti casi la scelta. Una caratteristica peculiare di un impianto oleoidraulico è quella di ottenere molto facilmente movimenti in grado di vincere forze resistenti di centinaia di tonnellate, unitamente ad una precisione di posizionamento elevato. Un classico attuatore lineare oleodinamico è il cilindro idraulico, costituito da una camicia in cui scorre un pistone, il quale spinge uno stelo che esplica il moto. Per eseguire moti di rotazione basti pensare alle ruote delle macchine movimento terra come gli escavatori, i grandi trattori agricoli, alle pale eoliche oppure pensare agli argani per issare le reti dei pescherecci, dove servono coppie elevate e solitamente velocità angolari modeste.

1Nell’ambito di questa disciplina il sostantivo “idraulica” e l’aggettivo “idraulico“, utilizzati spesso per coerenza con la terminologia inglese e francese, corrispondono al termine “oleoidraulica” o “oleodinamica” della letteratura tecnica italiana corrente.

Il fluido. Il fluido che permette la trasmissione dell’energia, possiede, seppur in minima quantità, una certa elasticità, che, se da un lato diminuisce la prontezza di intervento e la precisione, dall’altro permette di eliminare i giunti elastici meccanici sulle trasmissioni. L’olio, sia minerale che sintetico, è il liquido comunemente utilizzato per la trasmissione di energia. Le sue caratteristiche sono la viscosità, che influisce direttamente sull’attrito che incontra nel passaggio attraverso tubazioni ed apparecchiature, il potere lubrificante e la protezione contro la corrosione dei vari componenti. Inoltre, la sua capacità di asportare calore nei punti dove si generano perdite di energia consente di utilizzare motori molto piccoli rispetto alla potenza erogata, con buone possibilità di ripetere partenze ed arresti con elevata frequenza, senza necessità di accorgimenti particolari o sovradimensionati.

Moto dei fluidi. Il movimento dei fluidi entro condotti a sezione chiusa o canali aperti può essere a regime laminare e turbolento. Per individuare il tipo di moto viene utilizzato il numero di Reynolds (Re): per numeri di Reynolds minori di 2000, si ha un moto laminare. Per numeri di Reynolds compresi fra 2000 e 3500 si ha una zona critica di instabilità, caratterizzata dal fatto che possono verificarsi sia condizioni di moto laminare che turbolento, a seconda di particolari situazioni contingenti. Per numeri di Reynolds maggiori di 3500 si ha moto turbolento. Come in tutti fenomeni fisici, la linea di demarcazione fra i due tipi di moto non è esattamente definita, vi è cioè un passaggio graduale dal moto laminare al turbolento. Il moto laminare avviene quando il fluido in movimento segue traiettorie che costituiscono dei filetti rettilinei e paralleli. Il moto turbolento si ha quando il moto dei filetti segue traiettorie irregolari e tortuose, continuamente variabili con creazione di moto vorticosi, in modo che tutta la massa liquida subisce un incessante rimescolamento. Poiché il tipo di moto influenza in modo determinante le perdite di carico nelle tubazioni, è evidente la notevole importanza di poter disporre di un criterio per individuare a priori il tipo di moto. Nei processi pratici di trasmissione di fluidi in condotte, a meno che il fluido abbia una viscosità molto elevata o il tubo sia un capillare, si opera normalmente in condizioni di moto turbolento.

Fluidi. Da un punto di vista generale un buon liquido idraulico deve possedere i seguenti requisiti:

  • trasmettere energia con basse perdite ed elevate velocità di risposta;
  • lubrificare le aperti in movimento relativo;
  • possedere viscosità adeguata alle diverse condizioni operative che si possono prevedere nell’esercizio dell’impianto;
  • mantenere puliti gli organi meccanici e proteggerli dalla corrosione;
  • possedere una buona conducibilità termica,
  • non essere pericoloso per gli operatori o per gli impianti;
  • possedere elevata stabilità chimica;
  • essere difficilmente infiammabile.

I fluidi idraulici possono essere raggruppati nelle seguenti quattro categorie fondamentali:

  1. acqua: si utilizza acqua industriale normale o, quando si vuole attenuare il potere ossidante del fluido base, in emulsione con olio.
  2. olii : sono a base minerale e sono generalmente migliorati con l’aggiunta di speciali additivi
  3. fluidi sintetici a base di acqua: emulsioni di acqua in olio; sono costituite da un elevata percentuale di olio emulsionabile e contengono speciali additivi stabilizzanti, antiruggine, antiusura,…
  4. fluidi sintetici non acquosi: fra i più comuni gli esteri fosforici, idrocarburi clorurati, silicati esteri.

Colpo d’ariete: propagazione di forti perturbazioni generate in una colonna liquida a causa della chiusura o apertura rapida di valvole di efflusso

Alcuni richiami di fisica utili in manutenzione

Principio dei vasi comunicanti: poiché in ogni punto di uno strato orizzontale deve esistere la stessa pressione, un liquido contenuto in recipienti diversi, tra loro comunicanti, raggiunge in tutti lo stesso livello.

2014-09-16Principio di Pascal: la pressione esercitata su un qualunque elemento di superficie di una stessa massa liquida, contenuta in un recipiente, è trasmessa con pari intensità in tutte le direzioni.

Il principio di Pascal ha la sua più nota applicazione nel torchio idraulico, costituito essenzialmente da due cilindri nei quali scorrono stantuffi di diverso diametro.

Principio di Archimede: un corpo immerso in un fluido viene premuto su tutta la sua superficie e la risultante di tali pressioni è una forza verticale (spinta) diretta verso l’alto e di intensità uguale alla massa del volume spostato.

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Leonardo da Vinci così spiegava a Ludovico il Moro il Principio di Archimede, quando gli propose la costruzione di un ponte canale: “il gran peso della barca che passa per il fiume sostenuto dall’arco del ponte, non cresce peso a esso ponte, perché la barca pesa di punto quanto il peso dell’acqua che tal barca caccia dal suo sito“.

Equazione di continuità: in una corrente liquida a regime permanente la portata è costante attraverso qualunque sezione; la velocità del fluido varia in proporzione inversa rispetto alla sezione della condotta.

Spiega che l’aumento della velocità di un fluido attraverso la strozzatura di una tubazione.

Teorema di Bernoulli: teorema fondamentale dell’oleodinamica, stabilisce che in un tubo la somma dell’energia potenziale, dell’energia cinetica e dell’energia di pressione è costante.

L’equazione vale per tutti i sistemi che consentono il trasferimento di energia sfruttando il movimento di un fluido (acqua, olio,…); serve al progettista per definire pressioni e portate e dimensionare correttamente i vari componenti del circuito oleodinamico.

Strumenti di misura della temperatura

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La temperatura è la proprietà fisica che regola il trasferimento di energia termica da un sistema a un altro. I primi tentativi di misurare la sensazione di caldo o di freddo risalgono ai tempi di Galileo, mentre il termometro a mercurio viene attribuito a Fahrenheit, che introdusse nel 1714 una scala di temperature in uso ancora oggi, mentre un’altra, detta all’epoca scala centigrada, si deve a Celsius nel 1742. La relativa precocità delle misure di temperatura non implica che il concetto di temperatura fosse ben chiaro già a quei tempi. La distinzione fra calore e temperatura è stata posta chiaramente solo dopo la metà del 1700. Il termometro consente di definire il concetto di equilibrio termico: dei corpi, A e B, si dicono in equilibrio termico quando hanno la medesima temperatura, misurata con l’aiuto di un terzo corpo, il termometro C. Si tratta dell’applicazione alla fisica del principio della transitività dell’uguaglianza e per questo alcuni chiamano l’affermazione sopraddetta principio zero della termodinamica.

foto n.1-galileoMisurazione della temperatura

Sono stati sviluppati molti metodi per la misurazione della temperatura. La maggior parte di questi si basano sulla misurazione di una delle proprietà fisiche di un dato materiale, che varia in funzione del variare della temperatura. Uno degli strumenti di misura più comunemente utilizzati per la misurazione della temperatura è il termometro a liquido. Esso consiste di un tubicino capillare di vetro riempito con mercurio o altro liquido. L’incremento di temperatura fa espandere il liquido e la temperatura può essere determinata misurando il volume del fluido all’equilibrio. Questi termometri possono essere calibrati in modo che sia possibile leggere le temperature su una scala graduata (osservando il livello del fluido nel termometro). I termometri che acquisiscono immagini nella banda dell’infrarosso sfruttano tecniche di termografia, basate sul fatto che ogni corpo emette radiazioni elettromagnetiche la cui intensità dipende dalla temperatura.

foto n.2-termometro

Unità di misura della temperatura

In senso stretto, la temperatura non costituisce una vera e propria grandezza fisica. La proprietà fisica che il concetto di temperatura intende quantificare può essere ricondotta essenzialmente a una relazione d’ordine fra i sistemi termodinamici, rispetto al verso in cui fluirebbe il calore se fossero messi a contatto. Per questo, alla scelta, necessariamente arbitraria, di un’unità di misura per una grandezza fisica, corrisponde, nel caso della temperatura, la scelta, anch’essa necessariamente arbitraria, di una scala termometrica e di relative unità di misura.

La scala assoluta di misura della temperatura

L’unità di misura base della temperatura nel Sistema Internazionale è il kelvin (simbolo K). Un kelvin viene formalmente definito come la frazione 1/273,16 della temperatura del punto triplo dell’acqua, cioè del punto in cui acqua, ghiaccio e vapore acqueo coesistono in equilibrio.

La scala Celsius

Nelle applicazioni di tutti i giorni è spesso conveniente usare la scala Celsius, nella quale si assume il valore di 0 °C corrisponde al punto di fusione del ghiaccio e il valore di 100 °C corrisponde al punto di ebollizione dell’acqua a livello del mare. Il simbolo °C si legge «grado Celsius». La dizione «grado centigrado» non è più accettata dal Sistema internazionale di unità di misura. Anche il grado Celsius è utilizzato nel Sistema Internazionale

La scala Fahrenheit

Un’altra scala usata spesso nei paesi anglosassoni è la scala Fahrenheit. Su questa scala il punto di congelamento dell’acqua corrisponde a 32 °F e quello di ebollizione a 212 °F. La seguente equazione può essere usata per convertire i gradi Fahrenheit in gradi Celsius: T(°C)= (T(°F)-32)*5/9 . La conversione fra le tre scale si può effettuare attraverso pratici strumenti grafici.

foto n.3-scaleI Termometri

Un termometro è uno strumento di misura per misurare la temperatura. Esistono vari tipi di termometri, utilizzanti diversi principi fisici per la realizzazione della misura: gas, liquido, solido. Tra questi consideriamo due tipi particolarmente utili nel settore industriale: termocoppie e pirometri.

Termocoppie

La termocoppia è un sensore di temperatura largamente diffuso. Sono ampiamente utilizzate perché economiche, facilmente sostituibili, standardizzate e possono misurare un ampio intervallo di temperature. Il loro limite più grande è il grado di accuratezza nella misura; infatti errori minori di un grado Celsius sono difficili da ottenere. Una termocoppia è costituita da una coppia di conduttori elettrici di diverso materiale uniti tra loro in un punto. Questa giunzione è convenzionalmente chiamata giunzione calda ed è il punto nel quale viene applicata la temperatura da misurare. L’altra estremità, costituita dalle estremità libere dei due conduttori, è convenzionalmente chiamata giunzione fredda. Quando esiste una differenza di temperatura tra la zona del giunto caldo e la zona del giunto freddo, si può rilevare una differenza di potenziale elettrico tra le estremità libere della termocoppia in corrispondenza del giunto freddo. Tale valore di potenziale elettrico è funzione diretta della differenza di temperatura, secondo una legge non lineare. Negli impianti industriali, la termocoppia è inserita all’interno di una guaina di protezione che penetra all’interno dell’apparecchiatura della quale si vuole misurare la temperatura. I due conduttori sono connessi ad una morsettiera di porcellana, contenuta dentro una testina di protezione, da cui partono altri due conduttori, collegati alla morsettiera di uno strumento o di un registratore di temperatura. Lo strumento misuratore permette di leggere sul display l’indicazione della misura della temperatura all’interno della macchina.

foto n.4-termocoppieTermometri ad infrarosso

Si chiamano pirometri quei termometri che sono particolarmente adatti per la misura delle temperature elevate. Nella tecnica moderna si usano pirometri che permettono esattezza nella misura e capacità di seguire continuamente le sue variazioni, anche a distanza, e che consentono di ottenere il tracciamento di diagrammi oppure la regolazione automatica della temperatura. Sono di particolare interesse e praticità per le misure industriali i cosiddetti termometri (pirometri) laser o ad infrarossi, che utilizzano la radiazione infrarossa. La radiazione infrarossa è una parte della luce solare e può scomporsi riflettendosi attraverso un prisma. Questa radiazione possiede energia, per cui tutti gli oggetti con una temperatura al di sopra dello zero assoluto irradiano energia infrarossa. La quantità di energia cresce in maniera proporzionale alla temperatura.

foto n. 5 - Fluke_62Perché utilizzare un termometro a infrarossi? La temperatura è spesso il primo e più evidente segnale di un problema in atto e può essere utilizzata rapidamente per identificare situazioni che necessitano di ulteriori analisi con altri strumenti di misura, quali, ad esempio, il multimetro digitale o la pinza amperometrica. Un pirometro consente di rimanere a distanza di sicurezza dall’oggetto e di ottenere le letture più precise in un vasto range di temperature. Ecco perché il termometro a infrarossi è definito “senza contatto”. Esso permette letture di temperature di superficie rapide e affidabili. Questi strumenti portatili consentono ai tecnici di monitorare lo stato di motori e quadri elettrici, individuare problemi relativi a impianti di riscaldamento e di ventilazione e diagnosticare con facilità malfunzionamenti di impianti e loro componenti. Inoltre lo sviluppo della tecnologia ha portato ad avere termometri con immagini IR che ulteriormente facilitano l’individuazione dei punti critici , velocizzano così il lavoro del professionista.

foto n.7 Fluke_62Come si eseguono le misure con i termometri ad infrarossi? I termometri a raggi infrarossi hanno, rispetto ai termometri tradizionali, alcune caratteristiche interessanti, infatti permettono la misura senza contatto e con risposta molto rapida (1 secondo). Ciò permette misure veloci, igieniche e senza danni per esempio sui prodotti alimentari (ricevimento merce, controlli di routine) oppure su parti in movimento, superfici sotto tensione o su componenti elettronici. I termometri ad infrarossi sono semplici da usare: si dirigono verso la superficie da misurare e si preme un pulsante, quindi si legge la misura sul display. Per ottenere misure corrette tuttavia è necessario seguire due semplici regole.

1 – Distanza dall’oggetto da misurare. La distanza corretta dipende dal coefficiente ottico del termometro che è il rapporto fra la distanza del sensore ed il diametro della superficie di cui il termometro misura la temperatura media. Se ad esempio questo rapporto è di 3:1, significa che se ci si pone con il termometro a 15 cm dal punto da misurare, la temperatura che si legge sul display è quella media di una circonferenza centrata nel punto mirato e con un diametro pari ad 1/3 della distanza, cioè di 5 cm. Per inquadrare una superficie più piccola è quindi necessario avvicinarsi. La distanza minima per eseguire la misura è di 3 cm.

foto n.8 - Fluke Serie 60

2 – Tipo di materiale su cui si effettua la misura. Il termometro ad infrarossi che si utilizza deve avere un coefficiente di emissività idoneo al materiale su cui si esegue la misura. Questo coefficiente dipende dal colore e dalla opacità della superficie del materiale. Ad esempio, i termometri ad infrarossi con un coefficiente di emissività pari a 0.95 sono idonei per la maggior parte di sostanze organiche (prodotti alimentari, carta), per muratura ed in generale per le superfici opache. Per misure su materiali con superfici riflettenti o trasparenti si può ricorrere all’espediente di ricoprire la zona da misurare (se possibile) con dell’adesivo scuro.

Funzionamento e Troubleshooting delle pompe oleodinamiche

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La famiglia delle pompe volumetriche sono impiegate in vari campi dell’industria. Quelle che in genere troviamo nella maggioranza dei circuiti oleodinamici sono divise in due grandi tipologie: pompe rotative e pompe a pistoni alternativi. In questo articolo ci occuperemo delle prime, generalmente più diffuse grazie alla loro semplicità costruttiva, economicità ed affidabilità.

Le pompe rotative basano il loro funzionamento grazie al passaggio di un fluido attraverso un meato o gioco, cioè una millimetrica o micrometrica intercapedine, che separa le superfici di due corpi in movimento relativo, riempita di lubrificante che ne evita lo sfregamento. Esso viene realizzato meccanicamente attraverso l’uso di coppie di ingranaggi o di viti oppure sfruttando gli spazi generati da palette mobili. Le pompe a pistoni alternativi sfruttano invece il classico movimento dei pistoni nei cilindri e possono avere strutture sia radiali che assiali.

Caratteristiche delle pompe rotative

In questo articolo prenderemo in considerazione le più comuni pompe rotative ad ingranaggi esterni. In effetti esistono anche pompe ad ingranaggi interni, che danno la possibilità di fornire prestazioni e rendimenti superiori a quelle con ingranaggi esterni, ma hanno un costo più elevato, a causa di un livello di costruzione più raffinata; risultano essere un’alternativa valida qualora si abbia la necessità di portate e pressioni maggiori, unite ad un basso livello sonoro.

figura 1bis - pompa-idraulica-a-ingranaggi

Tornando alla tipologia ad ingranaggi esterni ed a cilindrata costante, queste si apprezzano per avere una costruzione semplice e robusta, sinonimo di affidabilità, e pertanto hanno una notevole diffusione, in quanto uniscono la buona affidabilità ad un costo molto contenuto.

Per ottenere un buon rendimento volumetrico è opportuno fare in modo che vengano utilizzate a pressioni di esercizio non elevate: nell’adozione di questi componenti è bene tenere presente il fattore “rumorosità”, che risulta strettamente collegato alle dimensioni (portata).

Funzionamento delle pompe rotative

La ruota dentata primaria (2) ruota nel senso indicato dalla freccia (vedi figura 2), trascinando la ruota dentata secondaria (3), in senso di rotazione contrario. A seguito della rotazione, si rendono liberi i vani di dentatura: la conseguente depressione che viene generata e l’azione della pressione atmosferica, fanno in modo che il fluido affluisca nella camera di aspirazione E. Il fluido riempie i vani dei denti e, percorrendo la parte esterna, viene spinto verso l’uscita P, la cosiddetta mandata: per un buon rendimento volumetrico occorre tenere sotto controllo il gioco di accoppiamento laterale (rasamento sui fianchi) tra ingranaggi (5) e gli organi di tenuta, le ralle (6). Inoltre questo tipo di pompe sono dotate di cuscinetti di sostentamento e bilanciamento idrostatico funzionanti tramite i dischi (7), i quali, spinti dalla pressione del sistema, premono sui fianchi degli ingranaggi. Grazie a questo fenomeno, il gioco dell’accoppiamento si adegua alla pressione e, di conseguenza, il rendimento della pompa ad ingranaggi esterni risulta praticamente indipendente dalla pressione di esercizio.

Troubleshooting.

Come si sottolineato all’inizio di questo articolo, la pompa costituisce il cuore di ogni impianto oleodinamico, per cui è fondamentale conoscerne le modalità di guasto, le possibili cause ed i rimedi più efficaci. Di seguito riportiamo una serie di anomalie più frequenti, sulle quali conviene porre particolare attenzione.

Presenza d’aria nel circuito, olio emulsionato, formazione di schiuma nel serbatoio

  1. Livello dell’olio nel serbatoio troppo basso, il tubo di aspirazione non sufficientemente immerso fa si che la pompa aspiri contemporaneamente olio ed aria.
  2. Bolle o fessurazioni nel tubo di aspirazione o paraolio della pompa rotto, difettoso che permettono l’ingresso di aria nell’impianto.

La pompa non eroga olio

  1. -Pompa non adescata.
  2. -Senso di rotazione errato.
  3. -Filtro di aspirazione intasato.
  4. -Livello dell’olio troppo basso.
  5. -Olio troppo viscoso.
  6. -Albero pompa o giunto di trascinamento rotti.

La pompa non da la pressione richiesta

  1. -La pompa non eroga olio.
  2. -Valvola di massima non regolata correttamente.
  3. -Valvola di massima difettosa (rimane aperta e trafila).
  4. -Pompa usurata.

Pompa e motore rumorosi

  1. -Presenza di aria nel circuito.
  2. -Viscosità dell’olio eccessiva (crea fenomeni di cavitazione in aspirazione).
  3. -Difetto di allineamento del trascinamento pompa-motore.
  4. -Usura del giunto di trascinamento motore-pompa.
  5. -Pompa o motore usurati.

Surriscaldamento dell’olio

  1. -La pompa è usurata e permette trafilamenti interni.
  2. Funzionamento della pompa ad una pressione troppo elevata rispetto la taratura della valvola di massima pressione (la valvola di massima pressione trafila internamente).
  3. -Eccessivi trafilamenti del distributore o del motore.
  4. -Raffreddamento insufficiente.
  5. -Insufficiente capacita di dispersione di calore del sistema (richiede l’installazione di uno scambiatore).
  6. -Viscosità dell’olio eccessiva.
  7. -Funzionamento del motore idraulico a pressione continua troppo elevata rispetto la taratura della valvola di massima pressione.

Perdite dalle guarnizioni

  1. -Olio contaminato (Sostanze abrasive nell’olio).
  2. -Olio contaminato (Trucioli o altre sostanze estranee nell’olio).
  3. -Pressione di esercizio eccessiva.
  4. -Difetto di allineamento, accoppiamenti difettosi.

La pompa sovraccarica il motore primario

  1. -Velocità superiore a quella specificata.
  2. -Valore di pressione eccessivo.
  3. -Condotti di mandata ostruiti.
  4. -Motore con caratteristiche inadatte a quelle richieste dalla pressione e dalla portata.

Rumore nel distributore

  1. -Cursore usurato.
  2. –Portata eccessiva.

Velocità insufficiente

  1. -Portata insufficiente (pompa o motore con rendimenti scarsi).
  2. -Mancanza di pressione.
  3. -Motore usurato e drenaggi elevati.

Pressione e portata irregolari

1) -Regolatore di portata difettoso o tarato male.

2) -Aria nel circuito.

3) –Segnale di pilotaggio insufficiente (Linea di pilotaggio troppo lunga).

4) -Accumulatori scarichi.

5) –Stick-slip (avanzamento a scatti).

6) -Instabilità della valvola di max. pressione inserita nel circuito o a bordo del distributore.

Manutenzione ordinaria

Un programma di manutenzione ordinaria deve riportare gli interventi periodici preventivi che sono consigliati per garantirne l’affidabilità di funzionamento.

Si consiglia di prevedere un periodico controllo, con cadenza semestrale, del funzionamento generale della pompa, con particolare attenzione a fenomeni di perdite di olio (stillicidio) e rumorosità: come sopra indicato, le perdite possono essere causate dall’azione del fluido contaminato da sostanze abrasive, per cui è importante garantire e controllare il corretto filtraggio dell’olio.

E’ necessario controllare i valori della pressione nelle fasi di lavoro più impegnative, rispetto ai valori di targa indicati dal costruttore.

Un ulteriore parametro fondamentale, indicatore dello stato di salute della pompa, è il Rendimento: esso viene considerato normale se pari a 95% o comunque superiore a 90%. Se si avvicina a valori pari o inferiori ad 80%, significa che la pompa drena troppo e scalda in modo sensibile, a causa di problemi di tenuta.

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Circuiti idraulici: scambiatori di calore e serbatoi

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L’aggettivo “accessori” serve più per distinguerli che per classificarli, visto che la loro funzione è determinante per valorizzare al meglio i pregi della trasmissione di potenza oleodinamica. Per facilitare l’analisi abbiamo dividiso i componenti accessori in due gruppi: quelli dedicati alla regolazione del regime di flusso e quelli dedicati al collegamento delle varie parti del circuito. Vengono assunti come:

Componenti di regolazione: accumulatori, scambiatori di calore, serbatoi e filtri.

Componenti di collegamento: tubi rigidi, tubi flessibili, raccorderia /guarnizioni

In questo articolo completeremo la trattazione dei componenti accessori “di regolazione”, ad eccezione dei filtri che, avendo un’importanza fondamentale ed una diversificazione particolarmente complessa saranno trattati in forma specifica.

Scambiatori di calore

La temperatura dell’olio di un circuito idraulico aumenta per effetto delle perdite dovute all’attrito durante il flusso nei condotti e, soprattutto, a causa delle perdite di rendimento nelle trasformazioni energetiche compiute. Anche le caratteristiche intrinseche dell’olio usato danno un contributo significativo. E’ qualcosa di molto simile all’effetto Joule per un circuito elettrico. Alla dissipazione in calore corrispondono diminuzione di energia: potenziale, di velocità o di pressione; l’energia corrispondente rimane nel sistema ma non è utilizzabile. Si produce dunque uno spreco ma anche un potenziale danneggiamento delle caratteristiche dell’olio indotte dall’aumento della temperatura oltre i limiti consentiti.

Molto dipende dal tipo di applicazione: se le condizioni di lavoro non sono particolarmente gravose, l’aumento della temperatura dell’olio è contenuto: se il serbatoio è sufficientemente grande e ventilato la permanenza dell’olio è abbastanza lunga da dissipare verso l’esterno il calore accumulato. Quando la dispersione di calore operabile dal serbatoio non è sufficiente, occorre inserire nel circuito uno scambiatore di calore opportunamente dimensionato, caratterizzato dalla capacità di raffreddare rapidamente volumi di olio relativamente piccoli, in modo da evitare accumuli di olio troppo caldo nel serbatoio stesso.

Nella pratica comune esistono essenzialmente due tipi di scambiatori: ad acqua e ad aria.

Scambiatori di calore ad acqua

Sono normalmente a fascio tubiero e con flussi in controcorrente. Questo permette la regolazione di temperatura dell’olio variando la portata dell’acqua. Risultati ancora più precisi si ottengono se è possibile variare anche la temperatura dell’acqua stessa.

La manutenzione è quella classica degli scambiatori e viene programmata in funzione dell’efficienza dello scambio termico, a propria volta strettamente correlata alla pulizia delle superfici di scambio. Si tratta quindi di monitorare le temperature di entrata e uscita dell’acqua e dell’olio secondo uno scadenziario adeguato. E’ una tipica attività di “automanutenzione” , ovvero di manutenzione svolta autonomamente dall’Esercizio. In caso di rilevazione di situazioni diverse da quelle attese si lancia la “Richiesta di Lavoro” alla Manutenzione.

In caso di perdite d’olio, l’acqua di raffreddamento potrebbe risultarne contaminata: pertanto è obbligatorio usare circuiti chiusi. Il raffreddamento ad acqua richiede quindi installazioni fisse di grandi dimensioni, con bacini di accumulo /intercettazione e sistemi di refrigerazione per l’acqua (torri di refrigerazione o altri sistemi).

figura 1

Scambiatori di calore ad aria

Pur con capacità refrigeranti nettamente minori, l’aria è il fluido più comodo ed immediato per asportare il calore dai fasci tubieri percorsi dall’olio. La superficie di scambio termico deve essere però molto più ampia e quindi si utilizzano tubi sottili, numerosi, di materiali con coefficiente di scambio termico elevato ed alettati. E’ il classico “radiatore”. Per avere una buona portata d’aria è indispensabile un flusso forzato della stessa: si usano ventilatori o dispositivi analoghi.

Anche in questo caso la manutenzione preventiva consiste soprattutto nel monitoraggio della temperatura e nella pulizia periodica delle superfici alettate, molto soggette a sporcamento a causa del flusso di aria forzata. Una macchina di movimento terra che lavori nella Pianura Padana nel mese di maggio, è esposta a vere e proprie nuvole di fiocchi (pappi) provenienti dai pioppi, che ostruiscono rapidamente qualsiasi alettatura. Una pulizia periodica con aria compressa è indispensabile. Anche eventuali “ammaccature” del pacco alettato devono essere riparate per evitare variazioni di flusso e riduzioni di scambio termico.

figura 2

Una puntualizzazione

Nella pratica comune gli scambiatori di calore hanno il compito di mantenere l’olio e i fluidi idraulici in genere entro un range prestabilito di temperatura. Poiché il fabbisogno più corrente è essenzialmente di raffreddamento, si dovrebbe più propriamente parlare di refrigeratori.

Non è però sempre così: con temperature esterne molto basse si rende necessario uno scambio termico inverso, con cessione di calore all’olio o al fluido idraulico, che altrimenti sarebbe troppo viscoso ed inutilizzabile.

Un metodo consiste nel far circolare un fluido diatermico a temperatura nettamente più elevata di quella ambiente in appositi elementi scambiatori situati nei serbatoi a monte delle pompe principali, in modo che almeno gli elementi operatori possano iniziare a lavorare in condizioni non troppo dissimili da quelle previste come “a regime”.

Per le macchine semoventi ( tipiche quelle di movimento terra ) si possono sfruttare i gas di scarico dei motori termici, convogliandoli in appositi fasci tubieri situati nei serbatoi o addirittura utilizzando veri e propri scambiatori accessori inseribili in parallelo al circuito principale. Considerando che si tratta di motori a ciclo Diesel, salvo forse alcuni equipaggiamenti militari, la manutenzione consiste anche qui sostanzialmente in una sistematica pulizia /disincrostazione.

Serbatoi

I motivi ( le funzioni svolte) per cui i serbatoi sono classificati a pieno titolo tra i componenti di regolazione e non come semplici contenitori sono numerosi e sintetizzabili come segue.

  • Scambio termico: raffreddamento a regime e/o riscaldo in avviamento (climi freddi, viscosità elevata), in “affiancamento” agli scambiatori veri e propri. Nelle figure: presenza di diaframma.
  • Spurgo dell’aria e degli areiformi in genere (bollicine in risalita), grazie alla permanenza in regime di moto lento Nelle figure: presenza di diaframma e sfiatatoio con filtro aria
  • Prima purificazione/separazione di particelle solide estranee via decantazione sul fondo. Nelle figure: rubinetto di spurgo e presenza di diaframma.
  • Prima filtrazione ( in aspirazione ). Nelle figure: filtro in aspirazione
  • Compensazione delle espansioni e contrazioni di volume dovute alle variazioni di temperatura dell’olio, in “affiancamento” agli accumulatori. Sono impiegati anche serbatoi pressurizzati. La pressione è relativamente bassa. Lo scopo è quello di impedire l’ingresso di contaminanti/umidità dall’esterno ed il traboccamento del liquido dal serbatoio. L’applicazione è tipica dei servomeccanismi di aerei, sommergibili e altri semoventi. I sistemi di pressurizzazione sono del tutto analoghi a quelli usati per gli accumulatori (gas in pressione o molla-pistone e valvola di sicurezza).

Come si vede dalle figure la struttura del serbatoio tipico (non pressurizzato, nel caso rappresentato), deve rispondere a requisiti non solo funzione dell’esercizio ma anche funzione della manutenibilità.

figura 3

figura 4L’espressione non in dica soltanto una “virtù” generica: la mautenibiità è un parametro (quindi misurabile e misurato) classificato da UNI 9910 – Riferimento 191.13.01: [Manutenibilità ] la probabilità che un’azione di manutenzione attiva, per un’entità data, utilizzata in condizioni assegnate, possa essere eseguita durante un intervallo di tempo dato, quando la manutenzione è assicurata nelle condizioni date e mediante l’uso di procedure e mezzi prescritti.

Una buona parte di manutenzione preventiva è eseguibile vantaggiosamente in automanutenzione: spurgo periodico delle morchie dal fondo (dal rubinetto di spurgo) e controllo sistematico del livello.

Anche l’olio può essere sistematicamente pulito mediante l’utilizzo di filtri carrellati con pompa autonoma. La filtrazione (più spinta di quella effettuata dai filtri a bordo macchina) può quasi sempre essere effettuata senza fermare l’impianto. I vantaggi sono notevoli: a titolo esemplificativo e non esaustivo, si eliminano impurità che possono creare problemi nei passaggi di piccolo diametro e si allungano i tempi di sostituzione della carica.

figura 5.1

figura 5.3

Interessantissime le possibilità di manutenzione predittiva (diagnostica precoce), attraverso l’analisi periodica dell’olio: esistono correlazioni precise tra i tipi di inquinanti, la relativa concentrazione, la progressione della medesima e il grado di affidabilità del sistema. Questa attività è di norma affidata a Specialisti esterni ed è normalmente utilizzata per tutti i tipi di olio (lubrificanti, isolanti nei trasformatori etc.). Il ricorso a Specialisti esterni è raccomandabile anche perché condizione necessaria che la diagnostica precoce sia attendibile è che i campioni di olio siano prelevati con modalità assolutamente rigide e ripetitive nonchè in posizioni indicate e (meglio ancora) predisposte dal provider. Il rubinetto di spurgo non è consigliabile.

La manutenibilità (e non solo in questo caso ! ) si persegue soprattutto in fase di progetto e viene perfezionata eventualmente come manutenzione migliorativa. Nel caso rappresentato nelle figure precedenti, il serbatoio è facilmente ispezionabile e pulibile grazie ai due portelli di ispezione (fase progettuale espressamente rivolta alla manutenibilità). Va corredato di almeno una presa per campioni di olio se si vuole attivare la manutenzione predittiva (manutenzione migliorativa), mentre la filtrazione con filtro carrellato può avvenire utilizzando il foro di riempimento e il rubinetto di spurgo (fase progettuale, per altri scopi e utilizzabile per la manutenzione).

Circuiti idraulici: accumulatori

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I componenti accessori di un sistema idraulico

Premettiamo che l’aggettivo “accessori” serve più per distinguerli che per classificarli, visto che la loro funzione è determinante per valorizzare al meglio i pregi della trasmissione di potenza oleodinamica. Per facilitare l’analisi dividiamo i componenti accessori in due gruppi: quelli dedicati alla regolazione del regime di flusso e quelli dedicati al collegamento delle varie parti del circuito. Vengono assunti:

Come componenti di regolazione: accumulatori, scambiatori, serbatoi e filtri.

Come componenti di collegamento: tubi rigidi, tubi flessibili, raccorderia /guarnizioni

In questo articolo inizieremo col trattare i componenti accessori “di regolazione”, ad eccezione dei filtri che, avendo un’importanza fondamentale ed una diversificazione particolarmente complessa saranno trattati in forma specifica. Sempre nei prossimi numeri completeremo la nostra esposizione in ottica manutentiva sui componenti accessori.

Accumulatori

Si trovano installati su tutti i circuiti, oleodinamici ma non solo, in cui operano fluidi incomprimibili soggetti a variazioni di pressione. Nel caso dei circuiti oleodinamici tali variazioni derivano sostanzialmente dalle normali modalità di impiego dei sistemi, in quanto i tipi di pompe volumetriche normalmente impiegati erogano un flusso assimilabile al continuo ( pompe a ingranaggi, palette, pistoncini ). In figura è riportata una classica centralina con accumulatore a sacca e blocco di sicurezza. In altri circuiti industriali gestiti con pompe volumetriche di altra tipologia è invece il tipo di pompa stesso a produrre pulsazioni ( pompe a membrana, a pistoni, a disco cavo, peristaltiche etc.). Il fenomeno è ad esempio tipico delle pompe dosatrici.

Figura 1Rimanendo nell’oleodinamica, sempre a titolo esemplificativo e non esaustivo, brusche variazioni di pressione possono essere normalmente indotte dall’azionamento di valvole, da variazioni di carico, dall’arrivo a fine corsa degli attuatori e, non trascurabile, da sovrasollecitazioni dovute al comportamento degli operatori, errori compresi. Essendo l’olio incomprimibile, repentini incrementi di pressione determinano quello che in idraulica prende il nome di “colpo di ariete”. L’energia in eccesso impatta su tutto il circuito, causando danni o usura precoce. Esiste anche il problema opposto, quello di bruschi cali di pressione, quando ad esempio la richiesta di portata degli attuatori supera la portata della pompa e la mancanza di continuità di pressione crea problemi nell’esecuzione della funzione richiesta (es. allentamento di un bloccaggio, movimenti discontinui, perdita di ciclo etc.). Per inciso, quanto sopra descritto costituisce anche un segnale per il manutentore. L’intensità del segnale può spaziare tra quella del “sintomo premonitore” , percepibile strumentalmente in sede di Predittiva a quella del malfunzionamento conclamato con effetti sul funzionamento ( con richiesta di intervento). Se ci sono problemi in un circuito oleodinamico dotato di accumulatori, in fase di ricerca del guasto questi sono tra i primi componenti a dover essere controllati.

Costruttivamente gli accumulatori sono realizzati secondo tre soluzioni canoniche: accumulatore a membrana, accumulatore a sacca, accumulatore a pistone.

La figura mostra in sezione un accumulatore a sacca e uno a pistone

Figura 2Funzione fondamentale degli accumulatori è mantenere il più possibile regolare nel tempo l’andamento dei valori di pressione e di portata dell’olio che circola nel sistema oleodinamico, rendendone “fluide” e senza picchi le variazioni. Spesso infatti sono detti anche “smorzatori”. Fisicamente questo compito viene svolto da un fluido comprimibile, tenuto separato dall’olio e in grado di comprimersi od espandersi in funzione e sincronia con le fluttuazioni di pressione dell’olio stesso. Abbiamo scritto “funzione fondamentale” in quanto gli accumulatori possono essere impiegati in sostituzione o integrazione delle pompe, anche se ciò è possibile per intervalli di tempo molto brevi. Tipicamente, “punte” di fabbisogno di energia oppure il caso di dispositivi di emergenza che debbano comunque intervenire in caso di blocco dei componenti operatori veri e propri (es. Valvole di intercettazione ad azionamento oleodinamico) oppure l’impiego di accumulatori a scarica comandata preposti a fornire un surplus di energia in fase di avviamento e messa a regime di impianti complessi. In questo caso si realizzano vere e proprie batterie di accumulatori di grandi dimensioni, molto simili alle “rampe” di bombole per lo stoccaggio dei gas tecnici. In figura è addirittura riportata la pressione di pre-carica.

YASHICA Digital CameraIl funzionamento degli accumulatori destinati agli impieghi “normali”, come vedremo, è di tipo automatico; numero e dimensioni ( es. per una centralina oleodinamica di una macchina utensile) sono decisamente contenuti. A causa dell’incomprimibilità dell’olio basta infatti una piccola perturbazione nel circuito per far impennare o cadere la pressione ma basta anche una piccola compensazione di volume per mantenerla entro un range voluto.

Sempre per completezza è anche necessario puntualizzare che esistono accumulatori in cui il fluido incomprimibile (olio o altro) è a diretto contatto col gas compresso. Il pericolo di contaminazione e di formazione di bolle nel circuito ne rendono l’uso molto ridotto.

Accumulatori a membrana e a sacca

Sono i più diffusi sugli impianti oleodinamici. L’olio entra dalla parte inferiore andando a ridurre il volume a disposizione del gas , che viene a sua volta compresso e può restituire il volume d’olio accumulato in caso di calo di pressione.

Il punto di installazione ottimale è il più possibile vicino agli attuatori che generano le perturbazioni da controllare. Tra l’accumulatore e il punto del circuito in cui questo è installato ( molto frequentemente sulle centraline) è interposto il blocco di sicurezza. (visibile in Fig. 1, proprio sotto l’accumulatore ). Esso è costituito da manometro, valvola di sicurezza e valvola di esclusione e permette la manutenzione dell’elemento con impatto minimo o nullo sui tempi di interferenza col funzionamento, dal controllo della pressione di carica gas alla sostituzione preventiva o a guasto dell’elemento stesso.

I due tipi di accumulatori sono abbastanza simili, somigliando a una piccola bombola ed essendo accomunati dal fatto che olio e gas compresso sono separati da un elemento in elastomero, ma hanno caratteristiche diverse. Quello a membrana infatti è costituito da due metà, saldate di testa dopo il fissaggio della membrana oppure filettate. Quello a sacca è monolitico, senza saldature.

Il materiale di costruzione più comune per l’involucro è l’acciaio al Carbonio, ma sono normalmente presenti accumulatori in acciaio inox , PVC, polipropilene e altri materiali ancora.

Anche per sacca e membrana la varietà di elastomeri disponibili è molto ampia, in quanto le condizioni di esercizio sono tra le più diverse. Pensiamo ad una macchina di movimento terra che opera in climi rigidi, dove le basse temperature possono produrre indurimento degli elementi deformabili. In questo caso si raccomandano compositi a base di epicloroidrina (ECO), mentre applicazioni più “tranquille” la famiglia delle membrane in gomma nitrile (NBR) copre una vasta gamma di fabbisogni. L’ accumulatore a membrana saldato, in caso di rottura della medesima non è riparabile, mentre quello filettato lo è. L’accumulatore a sacca è sempre riparabile, in quanto la sacca è inserita ( con opportune procedure) dalla parte superiore.

In figura è riportato un assortimento di entrambi i tipi in versione “compatta”.

Figura 5

Altra differenza è che la membrana oscilla secondo un movimento indotto dal sistema di fissaggio sul mantello ma senza o quasi deformazioni elastiche, mentre la sacca si espande e si contrae come un palloncino.

Infine nella versione a membrana l’otturatore è fissato alla medesima, mentre nella versione a sacca esso è costituito da una valvola a fungo con molla di apertura.

I costruttori di accumulatori forniscono appositi kits di pre-carica (manometro e connessioni varie) che devono essere consegnati alla Manutenzione in fase di Commissioning, assieme ai dati di taratura previsti. Il kit è tipicamente fornito in apposita valigetta. Sarà compito dell’a Manutenzione eseguire controlli periodici e prevenire un tipo di malfunzionamento tanto dannoso per impianto e processo quanto facilmente individuabile in sede di Predittiva.Figura 6Accumulatori a pistone

In questo caso la variazione controllata di volume è affidata allo scorrimento di un pistone flottante, che funge anche da elemento di separazione tra l’olio e l’azoto. Il principio di funzionamento non cambia. La testa del pistone lato olio ( piana o opportunamente sagomata) funge anche da otturatore. Gli accumulatori a pistone sono utilizzati per impieghi mediamente più gravosi degli altri e richiedono una lavorazione accurata della camicia di scorrimento; pertanto si usano di norma acciaio al Carbonio, acciaio Inox e alluminio. Limitatamente alla famiglia degli accumulatori a pistone, lo sforzo antagonista che permette di mantenere l’olio in pressione, anziché da un gas può anche essere esercitato da dispositivi meccanici, quali molle a caratteristica idonea, dispositivi meccanici proporzionali o anche da un carico costante. La figura mostra in sezione un accumulatore a molla e uno a carico costante. In questo ultimo caso l’assorbimento delle variazioni di portata avviene senza variazioni di pressione. Il contrasto meccanico serve anche spesso per ricavare un segnale di posizione del pistone, utilizzabile per scopi diversi.

Figura 7Volendo abbinare il controllo di posizione alla funzione principale di accumulatore, la tendenza dominante è quella di dotare di appositi sistemi ( senza contatto diretto) il pistone flottante classico con contrasto a gas in pressione. Affidabilità, precisione, compattezza e facilità di regolazione ne traggono indiscutibili vantaggi. Questo grazie a sensori – trasduttori magnetici, capacitivi etc. che dialogano con centraline esterne. Modalità e frequenza di intervento dell’accumulatore risultano monitorabili in continuo, consentendo un controllo in tempo reale della funzionalità dell’accumulatore da parte della Manutenzione e di eventuali scostamenti dal range prefissato. La possibilità di connessione a sistemi di telecontrollo completa il quadro delle potenzialità di diagnostica precoce e remota. Inoltre l’apparecchio può essere utilizzato anche in operatività, per le funzioni di commutazione al raggiungimento di determinate posizioni del pistone flottante, posizioni strettamente correlate al raggiungimento di valori “sensibili” di pressione nel circuito.

Circuiti idraulici: tubi e raccordi

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Premettiamo che l’aggettivo “accessori” serve più per distinguerli che per classificarli, visto che la loro funzione è determinante per valorizzare al meglio i pregi della trasmissione di potenza oleodinamica. Per facilitare l’analisi abbiamo diviso i componenti accessori in due gruppi: quelli dedicati alla regolazione del regime di flusso e quelli dedicati al collegamento delle varie parti del circuito.

Componenti di collegamento sono  i tubi flessibili, raccorderia, guarnizioni.

Premettiamo che, stante l’infinita varietà di tipi, dimensioni, materiali esecuzioni, impieghi etc. non pretendiamo sicuramente che la trattazione sia completa ed esaustiva: dovrà forzatamente essere per famiglie. Vorremmo però in parallelo focalizzarci sugli aspetti che maggiormente impattano sull’affidabilità e la disponibilità dei sistemi su cui sono installati. Questo sarà in particolare evidente per le guarnizioni, la cui vastissima gamma obbliga, in questa sede, ad una trattazione quanto mai sintetica.

Tubi flessibili

Un’importante caratteristica dei sistemi oleodinamici, ai primi posti tra quelle che li rendono particolarmente appetibili rispetto ai corrispondenti sistemi meccanici, è costituita dalla relativamente grande facilità nel variare con ripetitività le posizioni relative tra i componenti o tra intere parti del circuito durante il lavoro (impiego dinamico). Ciò è reso possibile dalla famiglia dei tubi flessibili. Esiste anche un impiego statico dei tubi flessibili, che semplifica di molto installazioni, specie se a carattere provvisorio, in cui pompe ed attuatori siano fermi tra loro ma distanti e con ostacoli o dislivelli che renderebbero complicato e costoso l’uso dei tubi rigidi. Ci sono molte similitudini coi cavi elettrici.

A differenza dei cavi elettrici, però, l’energia trasmessa è energia di pressione. Questo comporta che i “conduttori” siano sollecitati meccanicamente non solo per quanto riguarda le deformazioni, ma anche da notevolissime forze interne. La pressione del’olio tenderebbe a disporre il tubo secondo una retta. Inoltre gli spostamenti sistematici durante il lavoro inducono un classico stato di sollecitazione a fatica e la gravosità di certi ambienti di lavoro può danneggiare fisicamente la superficie esterna, producendo potenziali inneschi a rottura. Montaggio e scelta del tipo di esecuzione dei tubi flessibili sono dunque strategici.

Tubi flessibili : montaggio

L’affidabilità di servizio esige quindi il rispetto rigoroso di una serie di regole di montaggio, il cui mancato rispetto determina la rottura in tempi molto brevi.

Anche i raggi di curvatura non possono essere indotti arbitrariamente: il tipo di impiego (dinamico o statico), il diametro nominale e il tipo di esecuzione del flessibile comportano dei valori limite al di sotto dei quali il funzionamento affidabile non può avvenire.

Va ricordato che i tubi flessibili hanno la possibilità di dilatarsi elasticamente e di funzionare (entro limiti molto ristretti, ovviamente) come elemento smorzatore di vibrazioni. Tipiche, ad esempio, quelle presenti negli impianti oleodinamici con motori e componenti operatori di tipo volumetrico. A maggior ragione il montaggio deve essere fatto a regola d’arte.

Infine ricordiamo che l’unica sollecitazione esterna ammissibile per i tubi flessibili (come dice il loro nome…), è la flessione. Non sono ammissibili sollecitazioni a trazione o a torsione, pena la rapida distruzione del componente.

Tubi flessibili : tipologie

Come già accennato in apertura, le tipologie sono pressoché infinite. Strutturalmente i tubi flessibili sono costituiti da uno più strati concentrici in elastomero (gomme o altri elastomeri) alternati a strati di tessuti in fibre naturali, sintetiche o a strati di trecce metalliche. Le trecce possono essere a più strati e sono sempre disposte ad eliche alternate dello stesso passo per coniugare resistenza e flessibilità L’esterno può essere in elastomero come in treccia metallica a scopo protettivo e di sicurezza. In caso di perdita il “dardo” d’olio ad alta pressione (pericolosissimo) viene nebulizzato o quantomeno smorzato drasticamente. L’interno, la parte a contatto col fluido idraulico, è sempre in elastomero. La scelta del tubo flessibile più adatto è comunque funzione del rispetto di due famiglie tipiche di condizioni al contorno:

  • ELASTOMERO: da verificare la compatibilità Natura del fluido operante con l’elastomero con cui è a contatto. Temutissimi dai manutentori: rigonfiamenti, irrigidimenti, perdita di impermeabilità, forature.
  • TRECCIATURA: la scelta è in funzione delle esigenze di flessibilità, del numero di deformazioni per unità di tempo, dalla pressione del fluido. Le possibilità di scelta comprendono il materiale prescelto, il diametro dei fili di solito disposti come nastri, il numero degli strati (schiere, in gergo), il passo dell’avvolgimento elicoidale. Temutissima dai manutentori: l’estrusione dell’elastomero dall’interno del tubo attraverso la treccia. N.d. R: Le macchine trecciatrici sono particolarmente complesse e la qualità dei tubi è strettamente funzione della buona manutenzione delle medesime.

Raccorderia per tubi flessibili

Trattiamo ovviamente la raccorderia terminale. Al raccordo terminale è demandato il collegamento tra il tubo flessibile e le parti del sistema idraulico a cui deve essere connesso con facilità ed affidabilità. Si individuano due famiglie fondamentali: la raccorderia fissa, a perdere, che va sostituita assieme al flessibile e la raccorderia recuperabile, che può essere reimpiegata cambiando solo il flessibile.

Raccorderia fissa

Il flessibile viene graffato tra il collare esterno deformabile plasticamente e un porta gomma interno opportunamente corrugato. L’operazione è effettuata con un’apposita macchina-rullatrice ad azionamento idraulico, un tempo presente in molte officine di manutenzione aziendali che avevano necessità di sostituzioni immediate.

Se la deformazione plastica è eccessiva il flessibile subisce però un principio di tranciatura (appare inizialmente come un rigonfiamento) che causerà la rottura del flessibile presso l’innesto sul raccordo, punto dove peraltro si verifica la maggioranza delle rotture. Questo è il motivo per cui attualmente si preferisce il ricorso a terzi specializzati, magari tenendo a magazzino flessibili di scorta già intestati.

La graffatura fornisce prestazioni ottimali in caso di sollecitazioni pesanti, vibrazioni, colpi d’ariete etc. ed è anche relativamente economica.

Raccorderia recuperabile

Il vantaggio dei raccordi recuperabili sta nel non necessitare di attrezzature particolari per il fissaggio del flessibile. Per emergenze, se il flessibile si rompe in prossimità del raccordo e se è abbastanza “ricco” in lunghezza, si può tentare un intervento tampone, ma è un caso limite.

Si distinguono due tipologie: raccordo recuperabile filettato e raccordo recuperabile a gusci.

Il raccordo recuperabile filettato ottiene l’effetto di serraggio del tubo flessibile azionando una ghiera di bloccaggio. Il tutto è potenziato dalla conicità delle superfici affacciate e dalle rugosità interne alla ghiera. Le prestazioni sono decisamente inferiori rispetto al tipo graffato ma gli ingombri sono identici o leggermente maggiori.

Il raccordo a gusci (è detto anche a conchiglia) ha invece prestazioni identiche a quello graffato, essendo di fatto una morsa serrata con bulloni. La facilità di installazione o rimozione è ancora migliore di quello filettato ma l’ingombro è notevole e non sempre l’intervento tampone è possibile.

Raccorderia per tubi rigidi

La raccorderia per tubi flessibili può essere classificata come raccorderia normale e raccorderia speciale.

La raccorderia normale svolge le tipiche funzioni di collegamento tra tubi o di parti del sistema idraulico mediante i tubi stessi. La raccorderia speciale (complessa e varia) svolge sempre compiti di connessione ma decisamente più sofisticati. Un giunto girevole permette azionamenti di componenti idraulici su elementi rotanti. Il principio costruttivo ha molti punti in comune con le tenute meccaniche e consente rotazioni relative continue o alternate anche veloci e con possibilità di trasmettere elevata energia di pressione agli attuatori finali. Per i manutentori si tratta di componenti strategici, delicati (e molto costosi) che devono essere controllati sistematicamente. Anche il montaggio richiede perizia in quanto molti problemi nascono proprio da errori di montaggio (ortogonalità e allineamento).

L’uso di innesti rapidi permette ad esempio di sostituire rapidamente utensili oleodinamici su una stessa centralina di tipo mobile. La gru a cestello dei pompieri è dotata di una centralina idraulica mobile e l’innesto rapido permette di installare divaricatore, cesoia, martinetti e qualunque altra attrezzatura idraulica portatile in rapida successione e secondo necessità.

Un cenno alle guarnizioni

La tenuta degli accoppiamenti ( statici e dinamici) è in tutti i casi affidata alla deformabilità ed all’elasticità dei materiali costituenti le guarnizioni stesse. I problemi manutentivi derivano dall’usura e/o dall’incompatibilità tra elastomero e fluido impiegato. Ricordiamo ancora che i fluidi idraulici sono incomprimibili e che quindi anche una piccola perdita compromette la pressione di esercizio. Inoltre, le guarnizioni di un circuito sono numerosissime e quasi sempre invisibili, il che può rendere particolarmente lunga e difficile la ricerca del guasto.

Per contrastare l’usura è fondamentale il grado di lavorazione delle superfici in moto relativo e l’impiego di soluzioni costruttive capaci di compensare l’usura stessa (entro certi limiti). L’anello MIM con la molla interna è il più noto dei sistemi. Fondamentale è anche l’accuratezza del montaggio.

Il fenomeno più dannoso prodotto dall’incompatibilità tra elastomero e fluido impiegato è la contrazione del materiale di tenuta. E’ piuttosto raro e circoscritto e un buon produttore fornisce tabelle di compatibilità che permettono di evitarlo. Più frequenti ed altrettanto temibili sono le alterazioni di elasticità, resistenza, impermeabilità. Questo sia per cessione di componenti reciproca sia per vere e proprie reazioni chimiche.

Anche fluidi di uguale origine (es. sintetici /petroliferi) hanno comportamenti molto diversi rispetto agli elastomeri in funzione dei contenuti di famiglie di idrocarburi presenti nella loro composizione (es. prevalenza paraffinica piuttosto che aromatica). Nel primo caso resistono bene le gomme, nel secondo caso sono necessari polimeri fluorurati (es. Viton ).

L’analisi periodica dell’olio idraulico è una forma collaudata di manutenzione predittiva e permette di individuare (tra l’altro) anche impurità provenienti da usura e/o attacco chimico degli elastomeri a contatto col fluido.

I sistemi idraulici

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In questo articolo tratteremo in ottica di pratica quotidiana, i temi più comuni ed attuali della manutenzione dei sistemi idraulici. Si tratta di un mondo tanto vasto quanto vario ed in continua crescita: l’evoluzione di elettronica e tecnologia dei materiali rendono i sistemi idraulici sempre più affidabili , manutenibili ed efficienti.

Scopo dei sistemi idraulici è quello di conferire energia ad un fluido incomprimibile e di consentire all’utente di utilizzarla nei punti e nella quantità desiderati (energia di pressione, nel caso specifico). Stante la definizione di pressione ( forza per unità di superficie ) distribuendo la pressione su superfici adatte, questa viene convertita nel tipo di forza che si vuole ottenere: spinta, coppia (rotazione) e infinite combinazioni di entrambe le modalità: il braccio di un escavatore è uno degli esempi più classici. La forza esercitata per lo spostamento ottenuto corrisponde al lavoro. Con molta pazienza e con attrezzature adatte è possibile esercitare forze enormi anche con una pompetta manuale. Gli spostamenti saranno lenti, perché la pressione c’è ma il flusso di olio è minimo. Facendo entrare in gioco anche la portata ( pompe), lo spostamento, a parità di lavoro, avviene con maggiore velocità e il quadro si completa con l’intervento della potenza. Si possono fare paralleli a piacimento con le altre forme di energia, meccanica ed elettrica in particolare. Nel caso della meccanica, supponendo costanti pressione e portata dell’olio, il rapporto tra la sezione del tubo di mandata in un pistone e la sezione del pistone stesso equivale esattamente al rapporto di trasmissione tra pignone e corona. Alla riduzione di velocità dell’olio nel pistone corrisponde un’identica moltiplicazione della spinta rispetto a un pistone che avesse la stessa sezione del tubo di mandata; così come alla riduzione della velocità angolare della ruota mossa corrisponde un’identica moltiplicazione della coppia. Di seguito, altre interessanti analogie.

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Ferme restando le analogie, le varie forme di energia hanno peculiarità specifiche che le rendono preferibili per applicazioni altrettanto specifiche. Tentiamo una sintesi dei pro e dei contro della soluzione idraulica. I sistemi idraulici per trasmissione di potenza godono di considerevoli vantaggi sul piano operativo: sono adatti a funzionare in un ampio intervallo di potenza, consentono movimentazioni a bassa e ad alta velocità, con corse assai variabili, sviluppano potenze elevate in rapporto al loro volume (generatori ed attuatori di dimensioni compatte), sono relativamente semplici da gestire e mantenere e il loro costo è contenuto rispetto ai sistemi elettromeccanici operativamente equivalenti. Dal lato degli svantaggi si annovera: minor precisione di posizionamento e di regolazione della velocità, inquinamento dell’ambiente di lavoro (perdite di olio), sensibilità alle condizioni esterne, specie al gelo, impatto ambientale (nel caso di uso di olio come liquido vettore di pressione), scarsa efficienza energetica. Questo non solo per il sistema in sé, che talvolta deve forzatamente sprecare energia attraverso valvole tarate per limitare sovrappressioni ma anche perché l’energia di pressione viene conferita (ormai praticamente sempre all’olio) attraverso la trasformazione di energia meccanica proveniente da energia elettrica o da motori endotermici e successivamente ritrasformata in energia meccanica. A ogni anello della catena di trasformazione corrisponde un rendimento sempre minore del 100%. Gli aspetti energetici, viste le notevolissime potenzialità di efficienza e risparmio, vengono trattati espressamente in altro contesto. E’ quindi doveroso precisare che i “contro” sono relativi, non assoluti e che i progressi nella risoluzione dei medesimi sono continui e notevoli. Per fare un esempio, le moderne gru semoventi, comprese quelle mastodontiche, tutte ad azionamento idraulico, sono capaci di precisione e delicatezza stupefacenti.

Un sistema idraulico è un gruppo funzionale, cioè un insieme di componenti (meccanici, elettrici, etc.) che agendo di concerto svolgono una funzione principale. Un sistema idraulico o oleodinamico, comunque realizzato, svolge sempre la funzione di trasmettere energia da una “unità funzionale” a un’altra. L’energia viene ricevuta, trasmessa e ceduta da un fluido incomprimibile: l’olio. L’aggettivo “idraulico” che spesso ricorre è un’eredità delle prime applicazioni della possibilità di trasmettere energia e moltiplicare la forza tramite un fluido incomprimibile: in origine proprio l’acqua.

Tornando alle “unità funzionali” che costituiscono il Sistema Idraulico, ciascuna di esse è un insieme di “entità”, con caratteristiche proprie, che vengono combinate tra loro in modo da fornire un servizio specifico, funzione delle caratteristiche delle entità nonché delle modalità e dei criteri di assemblaggio delle medesime.

Per chiarire il concetto di “entità” riportiamo la definizione secondo UNI EN 13306:2003, paragrafo 3.1: ogni parte, componente, dispositivo, sottosistema, unità funzionale, apparecchiatura o sistema che possa essere considerato individualmente.

La definizione di cui sopra, la definizione e le precisazioni che seguono sono indispensabili per costruire l’anagrafica o equipment tree di qualsiasi gruppo funzionale di cui si voglia gestire la manutenzione o per il quale si vogliano effettuare analisi dei guasti con metodo rigoroso.

UNI 9910 (191.07.01) definisce infatti così la manutenzione:

Combinazione di tutte le azioni tecniche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un’entità in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta.

Per “vedere” allora un sistema idraulico con l’occhio del manutentore è indispensabile monitorare i fabbisogni di manutenzione (programmata e non) riferendoli alle entità specifiche presso cui insorgono ed alla logica gerarchica con cui sono aggregate per comporre il sistema.

Come prima suddivisione si consideri che in un circuito oleodinamico sono sempre presenti tre famiglie di unità funzionali “canoniche” che diventano quattro dovendosi considerare come unità funzionale anche le tubazioni che trasferiscono l’olio. E tutti noi sappiamo quanta manutenzione richieda il piping.

Le prime tre unità sono individuabili rispettivamente come “operatori”, “attuatori o motori” e “regolatori”. Tutto il ciclo richiede di essere regolato e controllato, in modo che la cessione dell’energia avvenga secondo le modalità richieste e i rendimenti auspicati.

Prima però occorre tentare una classificazione dei sistemi oleodinamici. Abbiamo usato il verbo “tentare” in quanto, data l’innumerevole tipologia di applicazioni, la cosa è quanto mai ardua. La letteratura più qualificata propone due modalità. Talvolta un sistema “sfugge” ad entrambe

  1. A) In funzione delle modalità di generazione ed erogazione della potenza idraulica. In quest’ottica compaiono:
  • Sistemi a portata costante : applicazioni industriali fisse e gruppi semoventi
  • Sistemi a pressione costante : applicazioni industriali fisse e gruppi semoventi
  • Sistemi a dispersione: aerospaziale e comunque speciali
  • Sistemi idrostatici : variatori di velocità con rapporto di trasmissione fisso o variabile
  1. B) In funzione del metodo di regolazione e di comando
  • Sistemi indipendenti (sistemi aperti): non c’è regolazione proporzionale
  • Sistemi asserviti o servosistemi (sistemi chiusi) : il sistema risponde proporzionalmente ai segnali impartiti.

Per semplicità ci atterremo alla classificazione (A).

In questo primo capitolo ci focalizzeremo sui “gruppi operatori” e in particolare sul loro sotto-assieme più comune e diffuso: la centralina oleodinamica, che, nella maggioranza dei casi, appartiene ai sistemi a portata costante, dove costante è la velocità dell’attuatore. Per avere diverse velocità ( avvicinamento e operativa ) spesso sulla centralina sono operative più pompe di differente portata. A volte sono calettate sullo stesso albero.

Le tipologie sono pressoché infinite: di seguito prendiamo in esame i quattro tipi di centralina idraulica più diffusi nelle applicazioni industriali fisse, considerando di aver a che fare con motori elettrici flangiati

Se i motori sono collegati alle pompe con giunti, in moltissimi casi questi sono a manicotto, in elastomero a dentatura interna e richiedono particolari attenzioni e ricambi sempre presenti a scorta. Questo in quanto, pur eseguendo cicli di controllo dell’usura (gioco e/o polverino a terra), i giunti fungono anche da parastrappi in caso di sovrasollecitazioni non prevedibili preventivamente e si rompono proteggendo motore e pompa.

Riportiamo di seguito quattro schede di manutenzione ciclica riservate ai manutentori. Attività come pulizia, controllo livelli e controllo perdite sono a carico dei conduttori dell’impianto.

Se sono formalizzate, come sarebbe opportuno, le attività di controllo a carico dei conduttori prendono il nome di automanutenzione e sono riportate su schede specifiche, in genere molto semplici, corredate da chiare fotografie ed indicazioni operative.

Le attività di automanutenzione costituiscono la base portante di un programma di manutenzione, in quanto coinvolgono direttamente chi opera vicino ad una linea o ad una macchina operatrice, permettendo di monitorarle in modo praticamente costante: si tratta di uno strumento semplice ed efficace per rilevare eventuali segnali premonitori di possibili guasti.

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Il monitoraggio degli impianti

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Ogni impianto presenta delle variazioni nel tempo di certe grandezze fisiche che, se monitorate con metodo, possono fungere da indicatori di malfunzionamenti. Una corretta attività di manutenzione, oggi, scaturisce da un compromesso: da un lato, è necessario prevenire rotture improvvise di componenti e attrezzature, che potrebbero causare un fermo impianto indesiderato, dall’altro, è necessario, per ovvi motivi economici, sfruttare il più possibile la durata di vita attesa dei componenti stessi.

TP_2011_06Oggi, tuttavia, trovare la soluzione ottimale fra queste due esigenze è possibile, poiché il mercato mette a disposizione un gran numero di strumenti, capaci di captare i “sintomi” dell’imminente cedimento di un componente, permettendo così di intervenire in modo programmato per la sua sostituzione.

Un impianto, infatti, manda dei veri e propri segnali, quali rumori, vibrazioni, sviluppo eccessivo di calore, assorbimenti di potenza anomali, alterazioni di velocità e numeri di giri e così via, che, se adeguatamente letti e interpretati, possono fornire un quadro delle condizioni generali di operatività dell’impianto. Informazioni molto utili, insomma, per pianificare le attività di manutenzione e mantenere nel tempo le prestazioni, la produttività e quindi la redditività dell’impianto.

Saper ascoltare

Fra i principali sintomi che rivelano il funzionamento di un sistema meccanico c’è, sicuramente, il rumore. Un cuscinetto in avaria, una bronzina esausta, così come un problema di lubrificazione, o anche un eccessivo sforzo su un organo rotante, solo per are alcuni esempi, danno luogo alla generazione di vibrazioni, anche nello spettro percepibile dall’orecchio umano. Saper “ascoltare” una macchina è un buon modo per prevenire cedimenti e rotture. Per fare questo, sono disponibili i fonoendoscopi. Questi strumenti sono oggi di tipo elettronico e digitalizzati e sono ingrado di isolare il rumore indagato da quello di fondo dell’ambiente circostante. Algoritmi specifici permettono poi un’analisi delle onde sonore, con strumenti quali l’analisi di Fourier, per capire, mediante la descrizione della funzione d’onda sonora, la tipologia e l’origine della sorgente e quindi prevedere il tipo di guasto correlato. Nel campo delle vibrazioni esistono poi i vibrometri, in grado di fornire dati sulle vibrazioni misurate, comprese velocità e accelerazione della vibrazione e ogni altro dato utile per definire il tipo e la sorgente della vibrazione.

Misurare la velocità

Oltre alle vibrazioni e al rumore, un sistema meccanico ha molti altri parametri che possono essere indagati. Per esempio i numeri di giri al minuto di un organo rotante, che può essere determinato con uno stroboscopio. Lo stroboscopio eroga brevissimi lampi di luce a forte intensità e frequenza, osservando l’oggetto in rotazione e determinandone così la velocità di rotazione. Sempre per la misura della velocità, sia di rotazione sia istantanea, sono utilizzabili anche i tachimetri, sempre più di tipo digitale.

Arrivare ovunque

A volte, per l’ispezione di una macchina, è necessario riuscire a vedere anche dove non è possibile arrivare fisicamente, a meno di non procedere allo smontaggio della macchina stessa. Nel quadro delle attività di manutenzione può essere necessario, inoltre, ispezioanare tubature e condotti, per individuare la presenza di sporcizia, impurità o occlusioni che potrebbero pregiudicare il funzionamento dell’impianto. Per queste situazioni, esistono gli endoscopi, strumenti che, grazie all’uso delle fibre ottiche, possono arrivare, con un tubo flessibile, in punti altrimenti irraggiungibili e fornire all’operatore una visione, mediante immagini, della situazione.

In campo elettrico

Molte volte, un potenziale problema a un impianto industriale può essere rilevato mediante misurazioni sulla parte elettrica: wattmetri, per misurare la potenza, amperometri, per la misura dell’intensità di corrente, voltmetri per la tensione e ohmetri per la misura della resistenza possono dare una diagnosi precisa su correnti di spunto eccessive, assorbimenti di potenza anomali, per esempio da parte di una pompa, rischi di corto circuito e così via. Oggi, tutti questi strumenti sono di tipo digitale e possono essere usati con facilità e in ogni ambiente a bordo macchina.

Quando i macchinari “hanno la febbre”

Se in un macchinario si sviluppa eccessivo attrito, o ci sono dissipazioni di potenza indesiderate, o ancora ci sono problemi di tipo elettrico, viene generato calore. Per esempio, un cuscienetto difettoso tende a creare più attrito, surriscaldando la zona circostante; oppure, per fare un altro esempio, se in un motore elettrico le correnti di spunto o anche di stazionario sono eccessive, si avrà la generazione di calore per effetto Joule. In ogni situazione dove la presenza di calore è indice di un malfunzionamento, la soluzione per l’indagine è una camera termografica. Questi strumenti realizzano immagini a raggi infrarossi dell’impianto e, con un software specifico, possomo creare delle vere e proprie “mappe termiche” dell’impianto e permettere così ai tecnici di localizzare le aree di maggior surriscaldamento, risalendo così alla causa di esso. Le camere termografiche sono molto utilizzate nel monitoraggio delle prestazioni di quadri e motori elettrici. Un’altra soluzione, per il rilevamento delle temperature, è rappresentata dai termometri, a contatto o a raggi infrarossi. Anche con i termometri è possibile localizzare i punti dove la macchina è più calda e trarre da queste informazioni le opportune decisione in materia di manutenzione e anche di sicurezza. Anche un’altra variabile di stato, la pressione, può essere misurata facilmente mediante manometri digitali, per rilevare eventuali malfunzionamenti in sistemi idraulici e penumatici. Una variazione anomala di pressione può essere sintomo di varie problematiche, quali il cedimento di guarnizioni, la presenza di fluido in moto turbolento, a causa di “gomiti” o occlusioni nelle condutture e così via.

I vantaggi del digitale

Oggi, gli strumenti di misura sono in gran parte digitali, o digitalizzati. In altri termini, la misura rilevata non è più riportata su un quadrante a lancetta, di tipo analogico, mediante sistemi meccanici di precisione, ma, con un trasduttore elettronico, la misura viene digitalizzata e riportata, in bit, su un display digitale. Questo ha fatto sì che molti strumenti di misura possono essere dotati di porte seriali, la più comune in questo settore è la RS232, per poter riversare i dati direttamente su un PC, dove un software, fornito dallo stesso costruttore dello strumento, può effettuare l’analisi dei dati e dei segnali.

La manutenzione degli strumenti

In genere, i costruttori degli strumenti corredano i loro prodotti con dei certificati di taratura. Ma anche gli strumenti di misura, necessari, come abbiamo visto, per un corretto monitoraggio di un impianto, necessitano di cura e attenzione, per poter mantenere le loro caratteristiche di precisione e di affidabilità. Gli strumenti di misura digitali sono per questo equipaggiati, mediante il software che li regola, di cicli specifici di taratura, in modo da potere, su comando dell’operatore e a intervalli periodici, recuperare pienamente le loro prestazioni.