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I professionisti dei Big Data

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Se è già scritto che Big Data «guideranno l’economia nei prossimi anni»: se questo avverrà, le aziende avranno bisogno di sviluppare delle risorse umane in grado di gestire questi Big Data, che in sintesi sono una collezione di dati informatici così estesa da richiedere tecnologie apposite per la propria elaborazione. In effetti, non che sia facile destreggiarsi tra estrazione e interpretazione dei numeri, soprattutto se si è sprovvisti della materia più preziosa: il capitale umano. Circa il 98% delle aziende intervistate (secondo un’indagine del gruppo Adecco e dell’Università Milano-Bicocca) sostiene infatti che i candidati siano assenti o «difficili da reperire» nel mercato italiano, nonostante una ricerca affidata per lo più ad agenzie di risorse umane e università. Tra i ruoli giudicati più interessanti nell’immediato spiccano Big Data analytics specialist (63,64%), data content&communication specialist (38,64%), Big Data architect (32,95%), data scientist (29,5%) e social mining specialist (13,6%). Tutte figure che costituiscono la filiera dello studio delle informazioni online, con profili più orientati all’analisi (analytics specialist) o all’approfondimento dei contenuti (content&communication specialist).

Qualcuno, però, obietta che il gap andrebbe letto da una posizione opposta a quella suggerita dalle imprese: i candidati non mancano, sono le aziende a offrire condizioni retributive e contrattuali poco competitive. Su scala internazionale, secondo una stima del portale DataJobs (inserire link: datajobs.com/big-data-salary), la retribuzione d’ingresso può oscillare tra i 50-75mila dollari. Un po’ difficile immaginare medie simili in Italia, Paese che “vanta” alcune delle retribuzioni più basse d’Europa nel settore dell’Ict.
Ciralli non ne è convinto: almeno nell’oasi dei Big Data, stipendi e prospettive di carriera possono fare gola a talenti qualificati. «Le aziende non sono poco attrattive e non è una questione retributiva, ma di formazione – dice In Italia, da una parte c’è bisogno di maggiore orientamento ai giovani per indirizzarli verso i percorsi più virtuosi finalizzati all’occupabilità e dall’altra ad incentivare la collaborazione tra impresa e scuola».