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TPM Total Productive Maintenance

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Total Productive Maintenance è una metodologia finalizzata al miglioramento delle prestazioni di un sistema produttivo: essa è focalizzata sugli aspetti tecnici del processo produttivo, l’owner è comunque la Produzione, non (solo) la Manutenzione!
Infatti il termine “maintenance” indica non solo il termine manutenzione, ma anche l’azione di sostegno (al processo di eliminazione delle perdite, caccia agli sprechi e ricerca della eccellenza), con la partecipazione di tutti, in modo efficiente, efficace e propositivo, orientata al miglioramento continuo.

La TPM si articola su 5 pilastri:

  1. miglioramento delle prestazioni (OEE)
  2. manutenzione autonoma
  3. manutenzione pianificata
  4. formazione
  5. manutenibilità (Early Equipment Management)

Ad essi il JIPM (Japan Insitute of Plant Maintenance) ha aggiunto altri 3 pilastri

  1. quality maintenance (QM)
  2. amministrazione ed uffici
  3. sicurezza, salute e ambiente

Il pilastro caratteristici e più innovativo (rispetto al modello produttivo tradizionale) è costituito dalla Manutenzione Autonoma (di cui le 5S, caratteristiche del Toyota Production System costituiscono lo step iniziale), cioè dallo spostamento agli operatori di produzione di alcune attività di pulizia, ispezione e minuta manutenzione (asset care).
Molte aziende infatti hanno concentrato la loro azione sullo sviluppo di questo aspetto, ovviamente collegato alla crescita delle competenze, che si integra perfettamente con i concetti delle Lean Production.

La TPM migliora le persone, le persone migliorano i processi

La TPM, studiata ed introdotta nelle aziende giapponesi negli anni sessanta, è ormai riconosciuta in modo unanime come lo strumento più attuale ed efficace di gestione dei processi produttivi in un’azienda lean.

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Benefici attesi (Nakajima)

Piccola storia dei modelli produttivi

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La bottega artigiana ha costituito il nucleo originario della storia della laboriosità del genere umano: nel piccolo laboratorio si pensa e si costruisce un bene da offrire in un mercato di scambio e l’artigiano è garante in prima persona della qualità del suo prodotto, in quanto unico e profondo conoscitore del metodo per progettarlo e costruirlo. Il modo artigianale di costruire beni mantiene tuttora la caratteristica di privilegiare la qualità alla quantità: il target dell’artigiano è oggi generalmente costituito da un pubblico elitario e ristretto, che considera il valore e l’originalità dell’oggetto più del prezzo. Gli strumenti utilizzati fino al XVIII secolo erano semplici, pur essendo geniali: solo nei primi del Settecento sono messe a punto le tecnologie che permetteranno lo sviluppo della metallurgia del ferro e la diffusione della macchina a vapore. L’Ottocento infatti vede la nascita delle tecnologie moderne alla base della rivoluzione industriale, caratterizzata dalle prime macchine utensili, talvolta semoventi, e dallo spostamento dell’interesse del produttori dalla dimensione qualitativa verso quella quantitativa. Il sistema industriale risponde infatti alla necessità di soddisfare la domanda di beni di un maggior numero possibile di persone. Ai primi del novecento, negli Stati Uniti d’America la crescente ricchezza e la conseguente richiesta di beni di consumo primari o voluttuari permettono alle aziende di introdurre sul mercato un gran numero di prodotti caratterizzati da prezzo competitivo e facile reperibilità, realizzando la cosiddetta produzione di massa. Fra tutti i settori, quello automobilistico si distingue per il grande quanto rapido sviluppo e rappresenta un esempio emblematico della risposta industriale ad una situazione di mercato emergente; situazione che si osserva nei paesi in periodi di forte crescita sociale ed economica, come quella americana e, nel dopoguerra, quella italiana degli anni Sessanta del boom economico. Nel Nuovo Mondo appunto, con l’avvento della produzione di massa, l’organizzazione razionale del lavoro ha rappresentato, al momento della sua applicazione, un notevole salto di qualità dell’attività industriale, in quanto basata su una analisi del processo lavorativo estremamente rigorosa e su di un modello di funzionamento adatto alle risorse e alla cultura industriale ed alle necessità del mercato del tempo.

Modello americano

Grazie all’opera di Frederick W. Taylor, nello studio di tempi e movimenti durante le fasi di trasformazione, e di Henry Fayol, per quanto riguarda la struttura organizzativa, negli anni Trenta vengono teorizzati modelli organizzativi ed introdotte innovazioni tecnologiche che portano ad una razionalizzazione della produzione industriale, con l’introduzione di raffinati metodi di meccanizzazione e parcellizzazione del lavoro. Produzioni di massa caratterizzate da grandi volumi, standardizzazione spinta, indifferenziazione del fattore lavoro, queste sono state le basi concettuali e pragmatiche dei modelli organizzativi di Taylor e Fayol, concretizzati nel “Fordismo”, cioè nella loro applicazione pratica nelle fabbriche automobilistiche Ford nel Nord America. L’immagine data da Charlie Chaplin nel film “Tempi moderni” è radicata nella memoria dell’uomo come esempio emblematico, pur nella sua interpretazione artistica ed ironica, della difficile situazione ambientale del mondo del lavoro in quegli anni.

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In conseguenza di ciò, nel dopoguerra nascono e si sviluppano nuove teorie che hanno come fine la valorizzazione della componente sociale del lavoro: la società vive importanti momenti evolutivi, che sfoceranno nei moti studenteschi del Sessantotto ed nelle “lotte di classe” degli anni Settanta. La struttura tecnica ed organizzativa della fabbrica segue lo sviluppo tecnologico, adeguandosi al variare delle situazioni sociali esterne: sicuramente l’introduzione dell’automazione costituisce una svolta del modo di concepire l’attività produttiva.

Nel giro di pochi anni, in fabbrica compaiono le prime unità operatrici automatiche, poi i robot e l’elettronica di controllo dei processi: la macchina esegue il lavoro fisico ed allo stesso tempo fornisce i parametri di controllo delle eventuali derive di processo rispetto agli standard prefissati.

Dal punto di vista organizzativo, l’innovazione tecnologica, il cui sviluppo rapidissimo è dovuto all’avvento dell’elettronica, porta inevitabilmente ad una rarefazione della catena gerarchica tradizionale delegata al controllo e pone i presupposti per altri e più profondi mutamenti strutturali. La crisi del modello tayloristico si manifesta proprio con la scarsa reattività dei produttori ai cambiamenti improvvisi del mercato, a causa di inerzie aziendali dovute a processi decisionali lenti, caratterizzati da una scissione netta fra chi decide e chi esegue; il risultato che ne deriva porta a fornire prodotti e servizi inadeguati rispetto alla richiesta di qualità sempre crescente. Ecco che, dopo circa novanta anni dalla sua introduzione, il modello tradizionale dell’organizzazione in fabbrica si dimostra improvvisamente inadeguato a reggere i nuovi scenari di business e le dinamiche sociali e culturali di fine XX secolo. La conseguente revisione delle strutture organizzative porta a delineare nuove figure professionali, con ruoli operativi rivisti in funzione delle mutate condizioni di lavoro: al capo gerarchico si affiancano, con pari valenza, figure specialistiche nel governo dei processi e si incomincia ad aver coscienza che l’azienda vive come un organismo ed ogni suo organo è fondamentale per la sua crescita. Il salto epocale e qualitativo del modo di lavorare deriva dal riconoscimento della condizione di discrezionalità dell’operaio, che non si limita ad eseguire, ma anzi è chiamato a intervenire in modo attivo nel governo del processo. L’operatore si evolve in conduttore di sistemi complessi ed è responsabilizzato sul controllo delle derive qualitative del processo ed alla prevenzione dei guasti e dei difetti.

Modello giapponese

Negli anni Cinquanta e Sessanta prende corpo il modello di produzione giapponese, espresso appunto con lo schema e le regole della produzione snella, che, in estrema sintesi, potremmo identificare come quello in grado di produrre con facilità e flessibilità un prodotto di massa, secondo le logiche della produzione artigianale. Il sistema di produzione giapponese, nato e sviluppato negli anni sessanta nelle fabbriche Toyota, parte dal modello americano di produzione di massa, ma, invece che produrre grandi lotti di prodotto con necessità di scorte notevoli, punta sui piccoli lotti: in questo modo produce scorte minime e reagisce in tempi rapidi alla mutazione delle richieste di mercato. Uno studio condotto dal MIT (Massachussets Institute of Technology) di Boston, alla fine degli anni Ottanta, mise in evidenza come le industrie automobilistiche giapponesi riuscissero a produrre con minori spese rispetto alle concorrenti americane ed europee. Lo studio inoltre dimostrò che il successo dell’industria giapponese era stato possibile grazie ad un nuovo sistema di concepire i processi aziendali, definito appunto “Lean”, cioè snello. Il principio “Lean thinking” (pensiero snello), finalizzato alla caccia ed alla eliminazione degli sprechi che rallentano i processi aziendali, aumentandone i costi sia diretti che indotti, è applicato alla gestione della produzione, per nasce il termine “Lean production”.

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Dal termine in lingua inglese derivano poi quelli usati in letteratura tecnica e nel gergo delle aziende italiane, quali “produzione snella” e “fabbrica snella”. In modo molto sintetico, ma significativo, è possibile affermare che la principale novità del sistema di produzione snella consiste nel coinvolgimento di tutto il personale nell’attività di produzione e manutenzione degli impianti. Il sistema di gestione aziendale moderno si struttura per essere in grado di ridurre tutti i possibili sprechi e tendere costantemente all’obiettivo di fornire un prodotto in grado di soddisfare le aspettative del cliente. La scelta della struttura gerarchica deve permettere di spostare il potere decisionale al livello più basso possibile: per riuscirci bisogna però fornire agli operativi gli strumenti idonei per poter progettare ed attuare le decisioni. Per poter ottenere il risultato del pieno ed effettivo coinvolgimento delle risorse umane è necessario modificare la struttura organizzativa ed i livelli di responsabilità dei vari livelli gerarchici, adottando nuove metodologie e procedure operative. Anche dal punto di vista tecnologico e metodologico si assiste all’avvento di strumenti nuovi come i sistemi gestionali informatici, l’automazione dei cicli di produzione programmabili ed adattabili ai diversi lotti attraverso i quali si concretizza la possibilità di rendere flessibile la produzione e ridurre i costi di produzione .

Lean Production

I comportamenti legati al modello gerarchico-funzionale di origine tayloristica prevedono un flusso verticale dei problemi operativi e delle fasi decisionali, che si sviluppano lungo la gerarchia dell’organizzazione, rigidamente strutturata per funzioni. Nella fabbrica tradizionale viene privilegiata la logica funzionale, per cui ogni reparto od ufficio tende a raggiungere il massimo dei propri obiettivi, dando per implicita l’ottimizzazione degli obiettivi generali dell’azienda. L’esperienza di molti gruppi industriali, specialmente quelli di grandi dimensioni, ha ampiamente dimostrato che questa situazione è difficilmente realizzabile: risultati apprezzabili si ottengono solo a costo di complesse e faticose opere di mediazione, ma nella maggior parte dei casi la stessa struttura gerarchica tende per sua natura a nascondere le inefficienze del sistema. Infatti, nella scala meritocratica di valutazione dei risultati di un responsabile di funzione, il raggiungimento dell’obiettivo dell’ente o del reparto assegnato ha sempre una valenza maggiore rispetto a quello globale aziendale: pertanto, anche in caso di risultati generali non positivi, sarà comunque premiante per un manager il raggiungimento degli obiettivi particolari rispetto a quelli generali prefissati, ottenuti magari a discapito di altre funzioni aziendali. La rappresentazione grafica della struttura tradizionali assume un aspetto ramificato e distribuito su molti livelli gerarchici. Nell’ambito produttivo, ancor oggi si riscontrano (ma sono in calo) situazioni di competizione e contrapposizione fra produzione e manutenzione, con la prima interessata a produrre ad ogni costo e l’altra costretta a rincorrere guasti sempre più frequenti ed onerosi: è un circolo vizioso che porta a conseguenze pesanti per i costi diretti e indiretti derivanti, non più accettabili specialmente per aziende che operino in mercati altamente competitivi. L’avvento della Lean Production rappresenta un vero e proprio salto di qualità nel governo dei sistemi produttivi: la traduzione organizzativa del principio della produzione snella è nella abolizione delle funzioni concorrenti. In fabbrica chi produce ha anche la responsabilità di mantenere efficienti i mezzi dedicati alla produzione: in questo modo al responsabile della fabbrica snella riferiscono sia i reparti produttivi sia la manutenzione, che avranno quindi gli stessi obiettivi di qualità, produttività e livello di servizio. Nella fabbrica snella l’attenzione viene rivolta ai processi: struttura organizzativa, disposizione degli impianti e responsabilità del personale si adeguano alla nuova mappa, sia logica che fisica, dei processi produttivi identificati all’interno di una sito produttivo.

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Tale situazione porta il vantaggio di annullare gli interessi partigiani delle singole funzioni, in quanto queste concorrono alla realizzazione del prodotto con stessi obiettivi, seppure con diverse competenze. La logica del nuovo modello organizzativo permette di rendere più semplici sistemi produttivi complessi, puntando sulla mobilitazione di tutti e nell’abolizione della tradizionale distinzione fra chi pensa e chi esegue, con il conseguente spreco di intelligenza. I problemi devono essere risolti là dove si generano e dalle persone che, avendoli scoperti ed evidenziati, hanno pure le competenze per risolverli. Infatti le persone interessate alla fabbricazione di un prodotto, siano operativi di produzione oppure tecnici, lavorano in prossimità del luogo ove il prodotto si genera, così come tutte le attrezzature necessarie alla sua realizzazione sono dislocate nelle immediate vicinanze. Termini come coinvolgimento, motivazione e delega decisionale ed operativa prendono valore e diventano capisaldi gestionali del nuovo modello. L’organizzazione si preoccupa che le idee propositive vengano raccolte e che le persone siano stimolate a partecipare alle attività di miglioramento. Nella struttura di produzione snella le funzioni mettono direttamente a disposizione del processo di fabbricazione le loro risorse, delegandole alla prevenzione e soluzione dei problemi e alla gestione del flusso produttivo. Tale delega viene esercitata attraverso l’attività di piccoli gruppi di lavoro, coordinati da figure aventi il compito preciso di facilitare lo scambio di informazioni e competenze all’interno di esso, stimolando la collaborazione delle persone partecipanti, indipendentemente da livelli gerarchici e funzioni rappresentati.

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La delega decisionale permette di lavorare con un gruppo ridotto di livelli gerarchici, solo quelli che rispondono ad una effettiva esigenza di gestione. Ne consegue un reale allargamento delle aree di responsabilità dei partecipanti ed un arricchimento di contenuti professionali. La fabbrica snella è la risposta in termini di struttura operativa al nuovo modello produttivo; essa è rappresentata da un organismo costituito da varie piccole unità produttive, dette anche mini fabbriche, in cui si ritrovano applicati i principi organizzativi e le linee guida della produzione snella, riassumibili in:

  • coinvolgimento del personale;
  • creazione di gruppi di lavoro multifunzionali;
  • identificazione ed eliminazione degli sprechi;
  • adozione delle tecniche giapponesi di gestione della produzione;
  • adozione del miglioramento continuo.

La mini fabbrica costituisce perciò la cellula organizzativa di base della fabbrica snella, capace di presidiare gli obiettivi di qualità, servizio e costi di un segmento produttivo ed ha le caratteristiche di una fabbrica in miniatura. In essa si governano i fattori fondamentali della produzione:

  • prodotto/processo (quantità e qualità);
  • mezzi tecnologici di produzione (manutenzione);
  • risorse umane (addestramento);
  • flusso dei materiali prodotti, movimentati, immagazzinati (logistica);
  • costi di trasformazione legati a macchine e tipologie di prodotto;
  • sicurezza e ambiente.

Quali sono gli elementi che caratterizzano ed identificano una mini fabbrica?

  • Innanzi tutto essa coincide con un processo, in cui sono definite le specifiche di scambio (input-output) con i fornitori a monte ed i clienti a valle (le altre mini fabbriche).
  • Per essa è definito e misurabile il valore aggiunto attraverso indicatori prestazionali, detti KPI (Key Performance Indicator), attraverso i quali la mini fabbrica misura, valuta e governa le proprie prestazioni nei confronti dei clienti a valle.
  • Generalmente la mini fabbrica è caratterizzata da omogeneità tecnologica, utile per facilitarne l’autonomia nella sua gestione tecnica.
  • Infine, ha dimensioni gestibili a vista dal suo responsabile.

La mini fabbrica riproduce in piccolo i principi visti per il modello della fabbrica snella. Il concetto di unità produttiva elementare è stato interpretato in modo differente a seconda delle realtà in cui se ne è applicato il modello. In generale però la mini fabbrica deve essere un’entità di piccole dimensioni, semplice da gestire, compatta e ben definita in termini di prodotti e processi, organico e disposizione degli impianti.

Conclusioni

Lo scenario in cui operano i settori industriali ha visto aumentare in modo rapido la complessità delle relazioni fra le variabili in gioco, soprattutto a causa degli andamenti altalenanti delle principali economie, caratterizzate da crescente esasperazione della competitività e conseguente nervosismo. La globalizzazione degli effetti di eventi, purtroppo e spesso tragici, segnano in modo pesante la vita della gente comune e ne condizionano reazioni e progetti per il futuro. I mercati subiscono forti oscillazioni della domanda. In situazioni di estrema variabilità è molto difficile prevedere il futuro anche immediato: nel contempo il mercato rimane sempre più selettivo, con maggiori aspettative sulla qualità del prodotto e del servizio reso ed ancor più sul rapporto qualità/prezzo di vendita. Il consumatore diventa a pieno titolo il vero padrone del mercato: ne determina la quantità e la qualità, spingendo il produttore ad una risposta caratterizzata da una forte innovazione progettuale e tecnologica, dal miglioramento del servizio al cliente e dalla riduzione del prezzo di vendita. Il modello di produzione giapponese è ormai riconosciuto come quello in grado di produrre con facilità e flessibilità un prodotto di massa, con le caratteristiche qualitative della buona produzione artigianale.